Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12156 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12156 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nata a Milano il 23/09/1975 COGNOME NOME nato a Milano il 21/02/1965
entrambi rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 20/06/2024 della Corte di appello di Milano, terza sezi penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto non ess stata avanzata dalle parti la richiesta di trattazione orale;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate dal sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatament alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pe all’imputata COGNOME con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Mila il rigetto dei ricorsi nel resto;
lette le conclusioni scritte depositate dall’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME in veste di parti civili, c
chiesto il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti alla refusione degli onorari di difesa per il presente grado di giudizio; lette le conclusioni scritte dell’avv. bcopo COGNOME difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Milano in data 25/01/2023 che, all’esito di giudizio dibattimentale, aveva dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto di minaccia aggravata e irrogato alla prima la pena di mesi sette di reclusione e al secondo la pena di mesi sei di reclusione, con condanna di entrambi al risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella veste di parti civili, da liquidarsi in separata sede e al pagamento di provvisionale quantificata in euro 1.000,00 ciascuno.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite il comune difensore fiduciario, articolando cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza, contraddittorietà e illogicità in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui al capo B) ascritto a NOME COGNOME e a NOME COGNOME in concorso tra loro, nonché travisamento delle testimonianze rese da NOME e NOME.
La sentenza di appello si limita a riportare la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, senza rispondere alle puntuali doglianze difensive.
I giudici di merito non hanno dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili i testimoni introdotti a discarico dalla difesa COGNOME
La Corte di appello è incorsa nello stesso errore di valutazione del Tribunale laddove ha affermato che la Camasso, nel pomeriggio del 23 maggio 2020, aveva minacciato, precedentemente alla aggressione subita, la figlia di NOME NOME (NOME) con un coltello, circostanza che non è provata. Tale intimidazione è frutto di pura invenzione da parte di NOME ” condita” a più riprese dalla madre NOME e dai testi della difesa NOME ( COGNOME e COGNOME) che sono inattendibili, come emerso in sede di controesame. I giudici di merito hanno ritenuto che le fantomatiche minacce narrate da NOME trovassero conferma in due frasi riferite dai testimoni della difesa COGNOME e COGNOMECOGNOME e COGNOME) che sono state, tuttavia, estrapolate dal loro contesto, così attribuendo loro un significato diverso da quello reale. Leggendo le trascrizioni sul punto v
(allegate al presente ricorso) si comprende come, inserita nel contesto di rifermento, l’affermazione della COGNOME laddove aveva dichiarato di avere sentito NOME dire alla madre” no, non salgo perché la NOME mi vuole picchiare” era da interpretarsi nel senso che la NOME era solita millantare minacce o aggressioni verbali inesistenti al solo fine di provocare la COGNOME. Allo stesso modo andava letta la testimonianza di COGNOME che ha riferito di avere udito la NOME gridare: “papà, papà, NOME mi ha presa con il coltello”.
Gli screzi tra la COGNOME e NOME sono precedenti ai fatti per cui è processo; dopo il verificarsi degli stessi i due NOME (padre e figlio), con la scusa di volere vendicare la propria congiunta, aggredivano la coppia COGNOME– COGNOME, distruggendo la portineria armati di bastone e cercando di entrare nel loro appartamento attiguo. È in questo contesto che si inseriscono le minacce proferite dai due coniugi nei confronti dei NOME che, tuttavia, non avvenivano utilizzando un coltello, come invece sostiene la Corte di appello. E’ lo stesso agente COGNOME ad escludere che la COGNOME avesse utilizzato un coltello per minacciare i due NOME.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza, contraddittorietà e illogicità in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui al capo D) ascritto all’imputata COGNOME.
In merito alla colpevolezza dell’imputata i giudici di merito non hanno motivato, in particolare la Corte territoriale si è limitata ad affermare l’infondatezza dell’appello senza in alcun modo pronunciarsi sulle censure prospettate dalla difesa nell’atto di gravame ove si evidenziava, da un lato, che la deposizione dell’agente COGNOME aveva consentito di delineare una ricostruzione del fatto diversa da quella accreditata dal Tribunale (escludendo che l’imputata avesse proferito frasi di valenza minatoria nei confronti di NOME COGNOME dall’altro si sottolineava che il giudice di primo grado aveva ignorato la testimonianza COGNOME
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza, contraddittorietà e illogicità in punto di insussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa; travisamento delle prove con riferimento alla ritenuta sussistenza di minacce da parte della coppia COGNOME– COGNOME rivolte a NOME con l’uso di un coltello, avvenute contestualmente all’aggressione realizzata in danno degli imputati ad opera di NOME e NOME.
La Corte di appello ha escluso la configurabilità della legittima difesa in relazione al capo B) con motivazione contradditoria e illogica rispetto a quanto affermato ed evidenziato in ordine alla condotta serbata dai due NOME, descritti
in sentenza come autori di una vera e propria aggressione ai danni della Camasso e del Todisco nei confronti dei quali si erano scagliati brandendo bastoni e minacciandoli di morte.
La Corte territoriale pare inoltre avere escluso la legittima difesa in quanto la COGNOME aveva minacciato con un coltello NOMECOGNOME ma così argomentando ha finito per escludere l’esimente rispetto ad un fatto che non è oggetto del processo.
Ha poi totalmente omesso di pronunciarsi in merito alle ragioni per le quali ha ritenuto di escludere l’esimente con riferimento al capo D).
2.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza, contraddittorietà e illogicità in punto di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello non ha esaustivamente argomentato in ordine alla determinazione della sanzione base per il capo B) che è la medesima per entrambi gli imputati senza alcuna diversificazione con riferimento al disvalore delle rispettive azioni.
Ha poi erroneamente negato la sospensione condizionale della pena all’imputata COGNOME affermando che ella ne aveva già fruito due volte quando, invece, a suo carico risulta un unico precedente per fatti commessi nel 2014 con condanna a tre mesi di reclusione, condizionalmente sospesa.
2.5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza, contraddittorietà e illogicità in punto di quantificazione della provvisionale nella misura di euro 1.000,00 riconosciuta ai due Federico, nella loro veste di parti civili.
Tale liquidazione è sproporzionata per difetto e la Corte di appello non ha tenuto in debito conto la documentazione e le prove dichiarative in atti che attestano gravi danni materiali e non, ben superiori alla modesta somma assegnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va dichiarato inammissibile.
I primi tre motivi di doglianza, da valutarsi congiuntamente in quanto tra loro intrinsecamente connessi, sono aspecifici e non consentiti in quanto reiterativi delle doglianze già dedotte in appello e volti a sollecitare in questa sede una rivisitazione di profili attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, già vagliati ed affrontati dalla Corte territoriale con
motivazione adeguata, non manifestamente illogica e scevra da profili di travisamento delle prove.
Avuto riguardo alla struttura dell’apparato argomentativo sviluppato nella sentenza impugnata e alla natura delle doglianze prospettate nei primi tre motivi di ricorso, occorre ricordare che, allorquando ci si trovi di fronte ad una “doppia conforme” affermazione di responsabilità, la giurisprudenza pacifica di questa Corte è nel senso che la sentenza appellata e la pronuncia del giudice di secondo grado, ove non vi sia difformità nella valutazione dei punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197250; Sez. 3, n.4700 del 14/02/1994, COGNOME, Rv. 197497; Sez. 2, n. 5112 del 02/03/1994, COGNOME, Rv. 198487; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; Sez. 6, n. 224079 del 20/11/2003).
Tanto precisato, la sentenza impugnata (pagine da 1 a 3) ha richiamato l’intero compendio probatorio e ha condiviso le valutazioni del primo giudice circa la decisività, con riferimento ad entrambi gli addebiti contestati ai capi B) e D), delle testimonianze, convergenti e disinteressate, rese dai tre agenti di polizia che avevano assistito ai fatti (COGNOME, COGNOME e COGNOME), da reputarsi del tutto attendibili e, da sole, sufficienti a ricostruire con certezza i fatti accaduti, anch con in relazione alle condotte intimidatorie serbate, proprio al loro cospetto, sia dal COGNOME che dalla COGNOME, quest’ultima direttamente osservata con in mano un coltello, in occasione di quanto accaduto il giorno 23 maggio 2020 (capo B) e udita proferire minacce di morte nel corso del secondo intervento effettuato il giorno successivo (capo D). La sentenza impugnata ha altresì condiviso la ricostruzione del Tribunale per quanto concerne l’antefatto all’episodio avvenuto il 23 maggio, fondata sul racconto di NOME NOME ritenuto, a sua volta, attendibile in quanto significativamente riscontrato dai testimoni introdotti dalla stessa difesa COGNOME (COGNOME NOME e COGNOME NOME).
Non si configura il dedotto travisamento di tali testimonianze. Il semplice confronto tra il tenore di tali portati dichiarativi (come testualmente trascritte alle pagine 9 e 10 del ricorso che reca in allegato anche le relative trascrizioni) e la parte di essi riportata nella sentenza impugnata (foglio 3) consentono di apprezzare come effettivamente la testimone NOME in dibattimento abbia riferito di avere sentito NOME pronunciare la frase ” No, non salgo perché NOME mi vuole picchiare” e come COGNOME NOME, dal canto suo, abbia dichiarato di avere udito distintamente il dialogo tra NOME e la figlia
nel corso del quale quest’ultima, urlando, aveva detto ” papà, papà, NOME mi ha preso con il coltello”.
Va dunque escluso l’errore “sul significante” nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado (non sul “significato”, atteso il divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova).
L’esame congiunto delle due pronunce dei giudici di merito consente, quindi, di affermare che il giudizio di colpevolezza dei due ricorrenti riposa su un costrutto argomentativo congruo e logico.
La Corte territoriale ha anche compiutamente argomentato in ordine alla esclusione della scriminante della legittima difesa con considerazioni non manifestamente illogiche ed aderenti alle risultanze processuali.
Sul punto ha valorizzato, da un lato, l’antefatto verificatosi nei minuti appena precedenti il verificarsi dell’episodio contestato al capo B) allorquando l’imputata per prima aveva minacciato con un coltello NOME, scatenando così la ritorsione dei due NOME e dall’altro, la circostanza che l’uso di tale oggetto a scopo intimidatorio, come anche il proferire minacce di morte, non erano da considerarsi condotte messe in atto a fini difensivi, bensì espressione di un rapporto altamente conflittuale e oppositivo con la famiglia NOME estrinsecatosi in agiti aggressivi anche da parte della coppia COGNOME– COGNOME.
Generico, è anche il quarto motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello (pag. 9) ha ritenuto congrua la pena rispettivamente inflitta agli imputati in ragione della gravità delle condotte minacciose da ciascuno serbate, così valorizzando le modalità dell’azione che costituisce uno degli indici di commisurazione della sanzione penale previsti dall’art. 133 cod. pen.
Va ricordato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME Daniele, Rv. 281217-01, in motivazione; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851).
Quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena all’imputata COGNOME la Corte territoriale ha motivatamente escluso tale beneficio in quanto già usufruito per due volte, proprio come risulta dal certificato penale in atti.
E’ inammissibile, in quanto non deducibile in questa sede, anche il quinto motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione in punto di quantificazione della provvisionale assegnata a NOME Federico e NOME Giuseppe, nella loro veste di parti civili.
Secondo una risalente pronuncia delle Sezioni Unite, «il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento» (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli Rv. 186722). Trattasi di un principio che il collegio condivide e che è stato costantemente ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 5001 del 17/01/2007, COGNOME, Rv. 236068; Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011. COGNOME, Rv. 250934; Sez. 6 n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536; Sez. 2 n. 49016 del 06/11/2014, NOME, Rv. 261054; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486) da recentissime pronunce (Sez. 2, n. 48859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773-02; non massimate: v. Sez. 6, n. 28858 del 03/04/2019, Paggi; Sez. 5, n. 19700 del 05/03/2019, Oleari; Sez. 1, n. 29845 del 19/06/2018, dep. 2019, Raeli).
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende, nonché, in solido tra loro, la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da NOME e NOME COGNOME nella loro veste di parti civili, che si liquidano in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge, tenuto conto del contenuto delle conclusioni scritte depositate dal difensore le cui conclusioni scritte che ha apportato un apprezzabile contributo con la prospettazione di concreti argomenti diretti a contrastare l’iniziativa degli imputati per la tutela dei loro interessi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME Giuseppe e NOME NOMECOGNOME che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 23/01/2025