Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23863 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23863 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME CUI CODICE_FISCALE NOME il DATA_NASCITA COGNOME NOME CUI CODICE_FISCALE NOME il DATA_NASCITA NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/06/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Il Proc. Gen. si riporta alla memoria depositata e alle conclusioni ivi espresse.
Nessuno è presente per la difesa degli imputati.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 giugno 2022, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del GIP del Tribunale della stessa sede che, in sede di rito abbreviato, aveva ritenuto COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME (in concorso con COGNOME, COGNOME NOME detto COGNOME, COGNOME detto COGNOME, per i quali si è proceduto separatamente), responsabili degli episodi di cessione di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 1, d.p.r. n. 309 del 1990) contestati, e cioè, rispettivamente: allo COGNOME ai capi 19, 20 e 91 dell’imputazione, al COGNOME ai capi 83, 86, 87, 89, 90 e 91 ed al COGNOME ai capi 29, 30, 34, 36, 37, 38, 38 bis, 39, 41, 76, 86 e 91; gli stessi erano stati condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rispettivamente: COGNOME NOME, alla pena di 4 anni di reclusione ed euro 20000 di multa, COGNOME NOME, alla pena di 4 anni di reclusione ed euro 20000 di multa ed COGNOME NOME alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione ed euro 24000 di multa.
Gli stessi imputati erano invece stati assolti quanto al reato di associazione, previsto dall’art. 74, commi 1 e 2, d.p.r. n. 309 del 1990, riferito alla ipotesi accusatoria secondo la quale gli stessi avevano costituito, con gli incarichi indicati in dettaglio per ciascun partecipante, al fine di commettere più delitti previsti dall’art. 73, comma 1, d.p.r. n. 309 del 1990. In Prato (FI) d gennaio a marzo 2018.
La sentenza di primo grado aveva fatto riferimento ai contenuti degli atti di indagine svolti dai Carabinieri, cd. operazione car sharing di cui alla comunicazione di notizia di reato dell’ 1.6.2018, svoltasi principalmente attraverso l’attività di intercettazione telefonica ed ambientale, tracciamento GPS delle auto in uso agli imputati, attività di osservazione che in un paio di occasioni avevano portato al sequestro di sostanza stupefacente.
L’appello era stato proposto da:
NOME NOME, quanto al giudizio di responsabilità in ordine al reato contestato al n. 20 della rubrica ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, chiedendo in ogni caso la riduzione della pena inflitta;
NOME , quanto al giudizio di responsabilità relativo ai capi 83, 86, 8 e 90 ed in ragione della omessa motivazione circa il contributo causale che l’imputato avrebbe fornito per la relativa realizzazione; la mancata qualificazione all’interno del quinto comma delle relative ipotesi e quanto al mancato riconoscimento della continuazione tra la pena inflitta con la sentenza impugnata e la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Prato n. 349/2019, divenuta irrevocabile;
NOME NOME quanto alla ritenuta responsabilità per i reati ascritti ai capi 29,30, 34, 37, 86, 91, all’omessa qualificazione dei fatti all’interno del comma quinto dell’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione e comunque in ordine alla riduzione della pena inflitta.
La Corte territoriale ha motivato il rigetto delle impugnazioni dei tre imputati per le seguenti ragioni.
Quanto ad COGNOME NOME :
In ordine ai capi 29 e 30, che riguardavano la cessione a NOME detto COGNOME di gr. 250 di sostanza stupefacente tipo cocaina, ed a NOME di g. 200 di cocaina, in Firenze il 15 febbraio 2018, vi erano stati serrati contatti telefonici, prima tra NOME COGNOME e COGNOME, con il quale aveva concordato la cessione di 250 g. di sostanza, che COGNOME avrebbe dovuto dare ad un suo cliente, raccomandandosi che fosse buona- e quelli successivi tra COGNOME e COGNOME che non lasciavano dubbi sulla avvenuta cessione; la Corte riporta, nella successione temporale esatta in cui erano stati registrati, i testi dei messaggi scambiati e da ciò assume trarsi l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti a carico dell’imputato anche in assenza di riRAGIONE_SOCIALE alternative.
In ordine al capo 30, la Corte ha precisato che gli accordi erano intervenuti tra NOME e NOME secondo lo schema della consegna a mani di NOME, previa fissazione dell’orario dell’appuntamento, preavvisato dal NOME che aveva comunicato di aspettare l’altro, che aveva assicurato il proprio arrivo, al bar. Da ciò, la Corte ha tratto l’esistenza di una prassi tra i due, al fine di concordare l cessione e poi mandare altri soggetti per la consegna, come emergeva chiaramente in una precedente telefonata fra NOME e NOME, la numero 377 del 13 Febbraio 2018.
Quanto al capo 34, la sentenza della Corte d’appello ha accertato, contrariamente all’assunto della difesa, che il GIP, COGNOME dopo la minuziosa ricostruzione dei contatti fra COGNOME, COGNOME, NOME e NOME COGNOME aveva concluso nel senso che risultava sufficientemente accertato che nell’ambito di una richiesta di sostanza stupefacente avanzata da COGNOME con urgenza, evidentemente perché un suo cliente attendeva la sostanza, il NOME era contattato da NOME ed otteneva la collaborazione di NOME per portare lo stupefacente in un luogo accessibile per lo stesso NOME; NOME non faceva domande alla richiesta di NOME e si muoveva subito per ottemperare a quanto richiesto, risultando perfettamente consapevole del carattere illecito della condotta, come dei suoi specifici connotati, e certo sapeva che la sostanza che si intrometteva a consegnare a NOME era stupefacente tipo cocaina. I colloqui diretti fra NOME e NOME in prossimità della consegna non lasciavano dubbi sulla
fornitura in precedenza concordata. La Corte territoriale riporta il testo conversazione numero 3 del 27 Febbraio 2018 alle 18:00:05:02 (posto che il primo ha chiamato il secondo, chiedendo se il fratello gli ha scritto per 100 p per NOME, ottenendo rassicurazione con l’indicazione che erano stati lasc dove c’è l’orologio;
quanto al capo 37 la difesa aveva opposto che non potesse desumersi una cessione di stupefacente dal semplice scambio di messaggi tra NOME NOME NOME acquirente, ritiene la Corte d’appello che lo scambio di messaggi co chiaro scopo di fissare un appuntamento non vada letto isolatamente ma nel contesto dell’articolata ricostruzione dei fatti da parte della polizia giu ripresa nella sentenza del GIP, il quale spiega la triangolazione delle telef fra NOMENOME NOME il cliente per la cessione di 100 g. di sostanza e dell’ che NOME dà ad NOME di occuparsi di quello che ne voleva prendere due da 50;
quanto al capo 86, in cui NOME dopo l’incontro che insieme a NOME ha con NOME sulla loro autovettura, dice ‘erano 97 grammicompresa la plastica, ch secondo la difesa ] non significa detenere in quel momento quel quantitativo di sostanza stupefacente, ritiene la Corte che anche in questo caso l’estrapolazi di un passaggio della sentenza equivaleva ad ignorare l’articolato conte compiutamente ricostruito dal GIP, che, nel ripercorrere gli esiti delle indagi era soffermato sulla numerose intercettazioni nelle quali emergeva che NOME e NOME erano in procinto di procurarsi la cocaina, perché c’erano due clien volevano ciascuno 100 pezzi. Durante i colloqui i due imputati parlavano d prezzo, e po dei contatti con il fornitore (tale NOME) e della qualità, te NOME che fosseqpolverelíe non4sassof; 1 il colloquio citato dalla difesa risaliva ad alcune ore dopo / quando evidentemente la transazione era conclusa / ed a conferma di ciò il GIP aveva riportato anche il tenore dei colloqui del gi successivo in cui si era fatto espresso riferimento ai conteggi relativi grammi; anche in questo caso, le intercettazioni avevano dato l’eviden dell’avvenuta acquisizione della sostanza da parte degli imputati. Quanto medesimi argomenti difensivi svolti dallo stesso difensore con riferimento a posizione di COGNOME, il relativo motivo di appello è stato disatteso; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
quanto al capo 91 secondo la difesa / non ci sarebbe prova del coinvolgimento di NOME in quanto NOME nelle dichiarazioni rese in una memori depositata aveva detto di aver ceduto la sostanza a COGNOME, senza specifica né qualità né quantità, quindi non vi sarebbe riscontro del coinvolgimento NOME e dell’effettiva consumazione del fatto nei suoi elementi costitutivi, in questo caso, í , la Corte d’appello rinvia alla precisa sequenza dell intercettazioni riportate dalla sentenza di primo grado, dalle quali emerge l’acquirente NOME COGNOME aveva avuto il primo contatto proprio con NOME
mergerebbero quindi chiaramente gli accordi fra NOME e NOME NOME ed i riferimenti a NOME quale fornitore ed il fatto che la sostanza fosse stata data a NOME non voleva dire che la cessione non fosse anche nell’interesse di NOME, che, come si era visto, aveva creato il contatto con il cliente.
Quanto alla impugnazione di COGNOME, riferita ai reati contestati sub capi 83, 86 (di cui già al comune motivo di NOME) 87 e 90/ la Corte territoriale,. ha osservato l’infondatezza della tesi difensiva, rispettivamente:
in quanto la cessione era stata preceduta dagli accordi tra NOME, NOME e NOME, che era colui il quale, secondo la puntuale ricostruzione del GIP, faceva da intermediario per ottenere la sostanza da destinare all’ignoto acquirente attraverso NOME;
in quanto, a prescindere dalla titolarità della vettura Fiat 500 TARGA_VEICOLO al cui interno era avvenuta l’unica conversazione relativa alla cessione a terzi di 250 gr. di droga, si trattava di una intercettazione ambientale con protagonisti prima NOME (cioè NOME) ed il cliente, e poi NOME (NOME) e non era l’unica intercettazione che riguarda i due all’interno della medesima vettura, come si desume dalla intercettazione n. 1320 del 4 maggio 2018, ove NOME dice a NOME di parcheggiare qui, con ciò potendosi arguire che il COGNOME fosse alla guida del mezzo;
in quanto il colloquio captato in ambientale sempre nella stessa autovettura Fiat 500 era avvenuto tra NOME e NOME, il quale aveva spiegato di essersi procurato la sostanza da NOME (NOME) e che si trattava di 50 pezzi dati a 1600 euro, senza ricarico ulteriore.
Anche l’impugnazione proposta da COGNOME NOME, relativa al reato di cui al capo 20 dell’imputazione, era infondata in quanto il riconoscimento della voce dell’imputato era stato effettuato dalle forze dell’ordine, che avevano ascoltato le conversazioni dei soggetti intercettati, ed era un dato di esperienza che l’ascolto ripetuto della stessa voce consente di associare quella voce sempre alla stessa persona e non era un caso che la giurisprudenza di legittimità avesse ritenuto che ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazio intercettate il giudice ben possa utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali ” degli agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento atto a suffragare il riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario. Avendo l’imputato optato per il rito abbreviato, sostiene la Corte, lo stesso ha accettato il compendio probatorio cristallizzato con la chiusura delle indagini, limitando quindi la possibilità d offrire elementi in senso contrario, che comunque erano stati ugualmente rAt propostile disattesi già dal giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che la
documentazione attestante il rapporto di lavoro in essere momento del fatto non escludesse la possibilità che l’imputato potesse fruire di un lasso di tempo libero dal lavoro per portare a termine l’attività criminosa. Tale valutazione è stata ritenuta condivisibile dalla Corte d’appello, visto che la difesa si era limitata a produrre una busta paga relativa al mese in cui era stato commesso il reato e non le attestazioni dell’orario di lavoro svolto il giorno 8 Febbraio 2018. La Corte ha pure considerato che il reato è stato commesso a Firenze, e la sede lavorativa dell’imputato era a Prato che, come è noto, si trova a breve distanza da Firenze.
Quanto poi al riconoscimento della voce di COGNOME, era stata proprio la difesa a ricordare come sia avvenuta, citando la comunicazione di notizia di reato per zione car sharing(ille pagine 18 e 19; infatti, dopo aver captato la voce di COGNOME durante l’intercettazione ambientale all’interno della Fiat 500 Abarth targata TARGA_VEICOLO, la vettura era stata sottoposta a controllo ed al suo interno vi era per l’appunto COGNOME, il quale, dopo aver ripreso la marcia, aveva raccontato a COGNOME, nel corso di una telefonata, di essere stato fermato a Quarrata dalle forze dell’ordine di Pistoia, che l’avevano portato a Pistoia e poi lo avevano rilasciato. Dunque, il riconoscimento era andato ben oltre l’ascolto vocale di poche brevi intercettazioni, perché vi era stato persino un contatto diretto con gli operanti. Inoltre, quanto all’esito dell’operazione, anche in questo caso compiutamente ricostruita dal GIP, la tempistica e il tenore del colloquio intercettati e dei soggetti coinvolti non potevano lasciare spazio a letture alternative , neanche prospettate dalla difesa.
Quanto poi alla impugnazione del Pubblico Ministero, la Corte ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione, in quanto i dati offerti dall’accusa pur trovando rispondenza nella comunicazione di notizia di reato finale e nella testimonianza del luogotenente COGNOME, non aveva consentito di superare il ragionevole dubbio, già evidenziato dal giudice di primo grado, sull’esistenza dello stabile accordo tra gli imputati con lo scopo di dare esecuzione ad un comune programma.
Avverso tale sentenza ( ricorre per cassazione a mezzo del proprio difensore NOME COGNOME sulla base dei seguenti motivi / così sintetizzati:
con un primo motivo, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con particolare riguardo all’articolo 533, comma 1, cod. proc. pen., nonché la manifesta illogicità, la carenza e la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza in ordine alla riconosciuta responsabilità penale di NOME, rispetto al reato contestato al capo 20) dell’imputazione. In particolare, si deduce che, nel primo motivo d’appello, avverso la sentenza del GIP, era stata criticata la valutazione del giudice in ordine alla prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della responsabilità del
ricorrente in ordine alla condotta contestatagli in concorso con NOME COGNOME, avente ad oggetto la cessione a NOME, avvenuta a Firenze l’otto Febbraio 2018, di 1 kg di sostanza stupefacente di tipo cocaina.
Sostiene il ricorrente che le indagini avevano avuto origine dal procedimento penale promosso dalla Procura della Repubblica nei riguardi di un cittadino di origine albanese, tale NOME COGNOME, dedito nel 2017 e nel 2018 all’approvvigionamento di cocaina di alcuni connazionali ed in tale contesto le utenze telefoniche in uso al NOME venivano sottoposte ad intercettazioni. Per tale ragione, era emerso anche il contatto telefonico con lo NOME e, nel corso dell’attività investigativa espletata, l’attribuzione delle singole conversazioni ascoltate e la riconducibilità agli imputati delle utenze intercettate era avvenuta essenzialmente mediante il metodo del riconoscimento vocale effettuato dagli agenti operanti;
il GIP era giunto alla conclusione circa la sussistenza della penale responsabilità del ricorrente essenzialmente attraverso il tenore dello scambio di un snns intervenuto l’otto Febbraio 2018 fra l’utenza 3246874935, in tale occasione attribuita al predetto NOME e l’utenza 3248643262 in tale occasione attribuita a NOME, nonché dalla conversazioni telefoniche fra l’utenza 3292966722, attribuita a NOME e l’utenza 3286612712, attribuita a NOME; in particolare, intorno alle 15:12 dell’otto Febbraio 2018 dall’utenza 3246874935 in uso a NOME (detto NOME) veniva inviato un sms all’utenza NUMERO_TELEFONO nell’occasione attribuita allo COGNOME, con cui veniva chiesto se il secondo ” fosse in giro” ed alla cui domanda veniva risposto “sono a casa”. Dopo pochi minuti, l’utilizzatore dell’utenza NUMERO_TELEFONO diceva allo stesso interlocutore di prendere un pacco e portarlo al “libertà”; l’utilizzator comunicava, sempre mediante snns, che “sarebbe andato NOME in città in quel momento”;
l’utilizzatore dell’utenza 3246874935, ovvero NOME.comunicava tramite sms che l’utilizzatore dell’utenza 3248643262 la desse a NOME, il quale doveva portargliela subito in INDIRIZZO. Qualche minuto dopo il soggetto ritenuto essere NOME comunicava mediante sms che “quello era andato via” ed il NOME gli diceva di venire via, per cui l’utilizzatore dell’utenza NUMERO_TELEFONO acconsentiva. Al contempo, l’utilizzatore dell’utenza 3348342269, attribuita a NOME COGNOME, detto NOME, alle 15:19 circa inviava un sms all’utenza in uso al NOME; in seguito, le utenze cellulari in uso ai due soggetti agganciavano la medesima cella telefonica di Firenze INDIRIZZO. Dalle 15:25 tra le utenze in uso al NOME ed a colui che nell’occasione è stato ritenuto essere COGNOME COGNOME intercorrevano varie comunicazioni, sempre tramite sms;
in particolare, il secondo chiedeva “dove l’avesse messa, perché non riusciva a trovarla” ed il NOME diceva che si trovava sopra l’armadio, dietro la coperta. Alle 16, colui che secondo gli agenti operanti risultava essere NOME COGNOME, con l’utenza 3292966722, in realtà da sempre in uso al coindagato NOME COGNOME, chiamava all’utenza 3286612712, attribuita a NOME COGNOME, e quest’ultimo gli chiedeva dove si trovasse, NOME rispondeva di aver passato il ponte nuovo ed il NOME gli consigliava allora di mettere il navigatore perché si trovava a soli 500 m dal luogo in cui si trovava il NOME stesso in INDIRIZZO lo diceva che andava bene e subito alle 16:11 il cielo tta contattava l’utilizzatore dell’utenza NUMERO_TELEFONO mediante smCgli diceva di essere in zona l . un minuto dopo giungeva tramite un sms alla risposta kdammi mezz’ora e ci vediamo al Bella bld(Intanto, alle 16:26, il NOME chiamava ancora l’utenza NUMERO_TELEFONO chiedendo a chi rispondeva se avesse passato il ponte; il soggetto ritenuto NOME NOME diceva che era già lì ed il NOME replicava che stava arrivando; il NOME alle 16:30 richiamava allora lo COGNOME e gli diceva che tra un minuto sarebbe arrivato da lui e che aveva lasciato l’auto lontano. Il NOME, alle 16:37, richiamava poi ancora la medesima utenza e diceva allo NOME di incontrarsi in piazza vicino al tabacchino. Come si evinceva da quanto riportato dagli agenti operanti nell’informativa redatta, al momento dell’incontro tra NOME NOME e NOME, il primo risultava in compagnia di NOME perché nelle conversazioni con NOME ( NOME) lo NOME utilizzava proprio il telefono di NOME;
il giudice di primo grado, secondo il ricorrente, aveva pertanto fondato il proprio convincimento sulla base degli elementi sopra evidenziati senza tenere in considerazione le osservazioni avanzate dalla difesa di COGNOME NOME in sede di discussione di giudizio abbreviato; in primo luogo, quanto alla circostanza per cui dalla comunicazione di notizia di reato redatta dagli agenti che avevano effettuato l’indagine non si evinceva in alcun modo su quale base l’utenza 3292966722 fosse stata attribuita in termini di assoluta certezza a COGNOME NOME, né in base a quale Xelemento probatorio si era ritenuto che gli stessi fossero assieme al momento della consegna del pacco, atteso che nel caso di specie non sussisteva alcuna attività di osservazione e controllo della vicenda da parte dei militari operanti. Inoltre, per quanto riguarda le altre conversazioni, il ricorrente aveva evidenziato che nel caso di specie si trattava di sms, non di conversazioni telefoniche dalle quali sarebbe stato possibile udire le voci da due interlocutori, per cui non si comprendeva quali fossero quegli elementi probatori certi, tali da ritenere provato l’utilizzo da parte di NOME NOME dell’utenza 3248643262, soprattutto in considerazione della circostanza per cui dalla lettura dell’informativa finale redatta dagli agenti operanti dall’utenza era sempre stata attribuita esclusivamente ad COGNOME NOME; ancora, nel Febbraio del 2018
NOME risultava sottoposto alla misura della detenzione domiciliare con autorizzazione a recarsi al lavoro dal lunedì al venerdì dalle 6:00 alle 17:00, presso la ditta RAGIONE_SOCIALE, con sede in Prato in INDIRIZZO; quest’ultima circostanza risultava attestata dalle buste paga e anche dalla comunicazione notizia di reato redatta dai carabinieri di Borgo San Lorenzo, dove veniva dato atto del contenuto dell’ordinanza di applicazione della misura della detenzione domiciliare con autorizzazione a recarsi al lavoro; pertanto, essendo 1’8 Febbraio 2018 un giovedì, alle 15:12 e seguenti, il ricorrente non poteva certo trovarsi a casa a scambiarsi snns con NOME, mediante un’utenza telefonica dallo stesso mai usata;
la Corte d’appello di Firenze, con la propria pronuncia, aveva aderito alle conclusioni formulate dal GIP solo in forza del riconoscimento della voce dell’imputato da parte delle forze dell’ordine, che avevano ascoltato le conversazioni; secondo quanto affermato dalla Corte d’appello, la documentazione versata in atti dalla difesa di NOME, e cioè le buste paga relative all’attività lavorativa, non avrebbe avuto il valore di un elemento sintomatico di segno contrario rispetto al riconoscimento vocale. Tale circostanza viene confutata dal ricorrente in quanto NOME, in data 8 Febbraio 2018, non aveva indubbiamente fruito di un lasso di tempo libero dal lavoro utile a commettere la condotta, in quanto in caso contrario tale circostanza sarebbe stata riportata all’interno della busta paga nella voce corrispondente a ferie e permessi, né poteva trovarsi, alle 15:00, nel territorio fiorentino attesa la misura alternativa della detenzione domiciliare in quel momento in essere, quindi alle 15:12 e seguenti e alle 16:26, certamente non avrebbe potuto trovarsi presso il residence di Paperino e scambiarsi SMS con NOME, mediante l’utenza telefonica NUMERO_TELEFONO da sempre attribuito esclusivamente ad NOME NOME ed a NOME, nè avrebbe potuto trovarsi a Firenze insieme a NOME COGNOME, al fine di incontrarsi con NOME, utilizzando l’utenza NUMERO_TELEFONO, in uso da sempre a NOME COGNOME; la decisione impugnata, senza alcun reale vaglio critico e non considerando l’assenza di univoci accertamenti in fase di indagini, aveva ritenuto accertata la responsabilità dell’imputato; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
– con il secondo motivo di ricorso, si deduce la manifesta illogicità, la carenza e la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza, con particolare riguardo al profilo della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello non abbia in alcun modo motivato la propria decisione, se non mediante il mero riferimento alla congruità ed alla proporzionalità della pena così come irrogata dal Giudice di primo grado, senza giustificare quali fossero le ragioni effettivamente sussistenti ed ostative alla concessione del beneficio in
questione nella massima estensione, venendo in tal modo meno al proprio obbligo motivazionale; avrebbe dovuto infatti quantomeno far emergere in misura sufficiente il pensiero dell’organo giudicante circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato.
Con altro ricorso, impugnano la sentenza, attraverso il proprio difensore, COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base dei seguenti motivi, illustrati in sintesi:
con il primo motivo, si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al fatto che nessuno degli specifici episodi di detenzione e cessione di stupefacenti era stato effettuato unitamente al sequestro della sostanza stupefacente e quindi non era stato possibile quantificarne il principio attivo, con la conseguenza che in tale ipotesi occorreva riconoscere la sussistenza dell’ipotesi di reato di cui al quinto comma dell’articolo 70 D.P.R. 309 del 90, perché il mancato accertamento del principio attivo doveva risolversi, per la regola del favor rei, a favore dell’imputato, in assenza di altri elementi dai quali dedurre una diversa ipotesi; il giudice erroneamente aveva respinto l’assunto solamente per via della sussistenza di sei episodi nell’arco di un mese e mezzo. Il dato non sarebbe però significativo, perché la frequenza e la reiterazione è prevista anche per ipotesi di lieve entità, e, a maggior ragione, se la contestazione si riduce ad un numero inferiore come ritenuto dallo stesso pubblico ministero;
con il secondo motivo, relativo al solo imputato COGNOME, si deduce l’omessa motivazione sulla richiesta di continuazione fra reati, essendosi limitata la Corte territoriale ad affermare che la distanza di 9 mesi tra le condotte accertate non consentiva di ritenere sussistente l’unicità di disegno criminoso; deduce il ricorrente che il fatto per il quale era stato arrestato a Prato era successivo ai fatti contestati nell’attuale processo e, con sentenza del 13 novembre 2019 n.349 del 2019 del Tribunale di Prato, ormai irrevocabile, ittar stata riconosciutA la circostanza attenuante di cui al comma 7 dell’articolo 73 d.p.r. 309 del 1990, per aver reso dichiarazioni collaborative in ordine alla persona che lo riforniva di sostanze stupefacenti, come risultava dalla nota della Questura di Prato, unitamente all’annotazione del 17 gennaio 2019, dalle quali emergeva l’apporto che aveva fornito per il prosieguo delle indagini. Non vi sarebbero dubbi quindi che l’episodio del 16 gennaio 2019, per il quale vi era la sentenza definitiva, era l’ultimo anello di una catena di episodi di spaccio che si erano verificati per il contatto con i medesimi fornitori presso la località Paperino di Prato e in ragione dei collegamenti creatisi all’interno del residence omonimo. Sulla unicità del disegno criminoso vi era totale omissione di motivazione;
il terzo motivo comune a COGNOME e ad COGNOME si riferisce all’omessa motivazione sul perché le attenuanti generiche non erano state concesse nella massima estensione.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte/chiedendo il rigetto del ricorso proposto dal difensore dello COGNOME, e, quanto ai ricorsi proposti dai difensore di COGNOME e COGNOME, l’annullamento con rinvio limitatamente al secondo motivo del ricorrente COGNOME. Rigetto nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente all’esame dei singoli motivi dei ricorsi, va evidenziato che ci si trova di fronte ad una “doppia conforme” affermazione di responsabilità per quanto rileva in questa sede – e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
E’, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, Rv. 256096, non massimata sul punto; conf. Sez. 3, n, 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4.2012, COGNOME, Rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, COGNOME ed altri, Rv. 197250). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall’appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà alla verifica della congruità e logicità delle risposte forni alle già menzionate censure.
Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e
adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, COGNOME e altro, Rv. 250900; Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992, COGNOME ed altri, Rv. 191488).
Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, COGNOME ed altri Rv. 254107, Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015, dep. 19/02/2015, Rv. 262423).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono “l’ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (Sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, COGNOME, Rv. 223061).
2. E’ stato anche sottolineato da questa Corte che / in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la denunzia di minime incongruenze argonnentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argonnentatívo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell’8.2.2013, Reggio, Rv. 254988).
Non e’, dunque, censurabile in sede di legittimità la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata. Pertanto, anche il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perché non è necessario che il giudice confuti esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma è sufficiente che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Sez. 2, 12/02/2009, n. 8619).
3. La precedente analitica esplicitazione dei singoli motivi di ricorso, in uno con la tecnica argomentativa della sentenza di appello che ha confutato le varie deduzioni difensive, peraltro in ipotesi di c.d. “doppia conforme”, consente di evidenziare, in questa sede, la presenza di comuni profili di infondatezza, trasversali alle varie questioni eccepite con le diverse doglianze.
La quasi totalità di esse risultano, infatti, reiterative di censure già dedotte con gli atti di appello e motivatamente respinte dai giudici di secondo grado, conseguentemente rendendo i proposti ricorsi privi di un adeguato confronto critico con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugNOME (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
In ogni modo, i ricorsi, laddove sindacano l’apparato motivazionale inerente all’accertamento delle responsabilità degli imputati, afferiscono alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione delle prove assunte, e cioè a questioni non passibili di valutazione in questa sede di legittimità. Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimit denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
E’, poi, ravvisabile nei proposti ricorsi il tentativo di effettuare una diversa considerazione delle risultanze scaturite dalle conversazioni captate, rispetto a come interpretate, con apparato motivazionale privo di manifesta illogicità, da parte dei giudici di merito. In materia di intercettazioni telefoniche, infatti costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01). Ne consegue che la prospettazione di un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito è ammissibile in sede di legittimità solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso – non ricorrente nel caso di specie – in cui sia stato indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558-01).
5. Vanno quindi esaminati i singoli ricorsi. In particolare, quanto al ricorso proposto dal difensore di NOME COGNOME, il primo motivo è inammissibile.
Richiamata la premessa generale di cui sopra, sono inammissibili le doglianze eccepite nel motivo introduttivo, con cui il ricorrente ha lamentato l’erronea ed omessa percezione delle conversazioni intercettate, che, a suo dire, avrebbe comportato l’illegittimo riconoscimento della sua responsabilità penale per il delitto ascrittogli.
In proposito, infatti, è sufficiente fare richiamo alle considerazioni sopra espresse in questa parte motiva, mediante le quali si è ribadito che l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate è questione di fatto rimessa al vaglio di giudice di merito, non sindacabile in questa sede di legittimità – se non nei limiti della manifesta illogicità dell’irragionevolezza della motivazione, non ravvisabile nel caso di specie – e che l’avvenuta considerazione di esse, in uno con le ulteriori acquisizioni probatorie, ha consentito ai giudici di merito, con valutazione del tutto logica e congrua, di ritenere configurata l’ipotesi rubricata al capo 20.
Il ricorrente auspica solo una rivalutazione in fatto delle emergenze probatorie acquisite, il che non è consentito a questa Corte di legittimità a fronte di valutazioni con cui i giudici di merito hanno esposto, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
E’ noto, in proposito, come il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio” non possa essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di riRAGIONE_SOCIALE alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina – come invero accaduto nel caso di specie – da parte del giudice di appello (così, tra le altre, Sez. 1, n. 5351.2 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600-01).
Il secondo motivo proposto da NOME COGNOME, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione, è infondato. Il ricorrente, reiterando il motivo proposto in appello, non spiega le ragioni per le quali sia il giudice di primo grado che quello di appello avrebbero dovuto accogliere la richiesta, posto che, ad avviso della Corte territoriale, la pena irrogata dal primo giudice (di anni 4 di reclusione ed euro 20000 di multa) era congrua e prossima al minimo. Il ricorrente, si limita a lamentare una carenza di motivazione ma non illustra le circostanze che ritiene ingiustificatamente obliterate.
Quanto ai contenuti della motivazione, la Corte di cassazione (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021 Rv. 281217 – 01) ha avuto modo di precisare che la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente
che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzioNOMErio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost.
Dunque, non può ci si può dolere della mancata considerazione di circostanze favorevoli neanche prospettate.
Anche i ricorsi proposti dal difensore di COGNOME e COGNOME sono infondati
Quanto al primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, va ritenuta priva di pregio la doglianza con cui i ricorrenti hanno dedotto vizio di motivazione per non essere stati qualificati i fatti loro contestati nella più lieve ipotesi di cui D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
In proposito, infatti, deve darsi conto dell’indirizzo interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità per cui il riconoscimento dell’indicata fattispecie richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Ferretti, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610-01).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entità alla luce d criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruito, si riflett nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
Ciò premesso, deve ritenersi, allora, che, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano offerto una motivazione adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità, essendo stato conferito rilievo, in modo logico e congruo, alla frequenza delle cessione ed alle non modiche quantità di stupefacente ceduto, caratterizzante la condotta dei due
prevenuti nell’illecito mercato delle sostanze stupefacenti. Quindi, il giudice di merito ha del tutto correttamente mostrato di aver valutato i dati probatori disponibili, negando la ricorrenza del fatto di lieve entità sulla base di elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fini dell’esclusione della minima offensività.
10. Il secondo motivo del ricorso proposto nel solo interesse di NOME x è pure infondato.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello con il quale NOME COGNOME aveva lamentato il mancato accoglimento da parte del Tribunale della continuazione tra la pena inflitta con la sentenza impugnata e quella già irrogata con la sentenza n. 349/2019 del GUP di Prato, con esclusivo riferimento al tempo intercorso tra i reati in considerazione.
In questa sede, il ricorrente ripropone la medesima doglianza, lamentando che il diniego non abbia valutato 19: i dei chiaro nesso tra le condotte oggetto del presente procedimento e quelle relative alla sentenza citata, che aveva dato atto delle dichiarazioni collaborative rispetto al medesimo concorrente nel traffico di stupefacenti.
Va : , rilevato che il riconoscimento della continuazione necessita di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori – quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici su indicati se i successivi risultino, comunque, frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
L’entità del disegno criminoso postula, pertanto, che l’agente si sia ovviamente rappresentato ed abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non predetermiNOME di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale processione alle devianze, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, NOME, Rv. 284420; Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615).
Alla luce di tali principi, non può ritenersi che la sentenza impugnata abbia immotivatamente respinto il motivo, non essendo presenti elementi univoci ed
evidenti che imponessero il riconoscimento della continuazione, trattandosi d fatti distanziati significativamente nel tempo.
11. Quanto al terzo motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, va ricordato che la Corte di appello ha motivato, al punto 6 di pag. 11, sia in ragione motivo d’appello che sollecitava la qualificazione dei fatti contestati ai dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, che in ordine alla richiest riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima espansione ed ha ritenuto la stessa richiesta non accoglibile in ragione del fatto che la irrogata dal primo giudice era del tutto congrua e proporzionata rispetto a gravità dei fatti contestati, considerato che la pena base è stata individua misura prossima al minimo edittale.
Dunque, nessun errore o vizio è imputabile alla sentenza impugnata, che ha correttamente applicato il principio, sopra ricordato, (Sez. 2, n. 17347 26/01/2021 Rv. 281217 – 01) secondo cui, ai fini del disconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo, è sufficiente che n b.z L U NOME I riferimento&luHy sfa -vd -revoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, si abbi riguardo al trattamento sanzioNOMErio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost.
12. In definitiva, i ricorsi vanno rigettati e gli imputati condannati alle s processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti alle spese processuali. Così deciso nella camera di consiglio, il 12 aprile 2024.