Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19142 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19142 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIZZIGHETTONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza del Tribunale di Cremona e della sentenza impugnata limitatamente alla condanna per COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in quanto i reati sono estinti per prescrizione, con conseguente annullamento della condanna al risarcimento del danno in favore dei medesimi;
letta la memoria del difensore delle parti civili Banca Credito Padano Banca di Credito Cooperativo, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, AVV_NOTAIO e sentito lo stesso, il quale ha chiesto il rigetto del Ricorso per Cassazione presentato dall’imputata COGNOME con la conferma, in ogni sua parte, della sentenza impugnata;
letta la memoria del difensore delle parti civili COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME e sentita la stessa, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso per Cassazione presentato dall’imputata COGNOME con la conferma, in ogni sua parte, della sentenza impugnata;
udito il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 4 ottobre 2023, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile di diversi episodi del reato di truffa continuata, aggravata ai sensi degli artt. 61 n. 7 e 11 cod. pen..
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore dell’imputata, rilevando che la prova della colpevolezza si era basata sulla documentazione creata dal Credito Padano, querelante e parte civile costituita, in assenza di qualsiasi accertamento circa la provenienza e l’attendibilità, visto che nessun sopralluogo e/o accesso ai terminali della banca era stato compiuto dalla Guardia di Finanza; secondo la Corte di appello l’affidabilità della documentazione risultava confermata da numerosi testimoni, che però non erano stati indicati; inoltre, l’indagine sulla disponibilità patrimoniale dell’imputata aveva totalmente ignorato le successioni ereditarie e gli investimenti che giustificavano il patrimonio della stessa; con riferimento ai moduli in bianco che sarebbero stati rinvenuti nell’armadio della COGNOME, gli stessi non erano mai stati prodotti dalla banca; non vi era prova che le operazioni di bonifico contestate al capo B) di imputazione fossero riferibili alla COGNOME.
1.2 Il difensore lamenta che con riferimento alle operazioni di liquidazione delle polizze vita intestate ai correntisti e di cui la COGNOME avrebbe chiest indebitamente a proprio favore la liquidazione anticipata, erano le società di assicurazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE da individuare quali persone offese del reato di truffa; la Corte di appello aveva però erroneamente ritenuto che legittimate a proporre querela erano anche i terzi danneggiati dal reato di truffa (i correntisti titolari delle polizze): la sentenza impugnata doveva pertanto essere annullata sul punto per mancanza della condizione di procedibilità.
1.3 Quanto alla posizione di NOME COGNOME, deceduto prima della scoperta dei fatti in contestazione, il difensore osserva che la Corte di appello aveva rilevato la sussistenza della condizione di procedibilità nella querela proposta dalla moglie NOME COGNOME, non cointestataria del conto titoli, poiché subentrata nel patrimonio in qualità di erede: la statuizione era censurabile in quanto confondeva il diritto di querela con il diritto patrimoniale, ben potendo (e dovendo) il secondo essere tutelato per il tramite dell’azione civilistica, mentre il diritto di querela soggetto alla soccombenza prevista dall’art. 126 cod. pen.
1.4 Con riferimento al capo A) dell’imputazione, il difensore eccepisce che, vista l’assenza di artifici e raggiri rivolti nei confronti dei clienti della banca una loro cooperazione artificiosa ai fini delle disposizioni patrimoniali, le condotte
contestate avrebbero dovuto essere ricondotte nella fattispecie di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 comma 1 n. 2 cod. pen.
1.5 Relativamente alle operazioni di trasferimento titoli dal dossier intestato a NOME COGNOME a quello intestato a NOME COGNOME, e dal dossier cointestato a NOME COGNOME e NOME COGNOME a quello intestato a NOME COGNOME, il difensore osserva che i fatti erano prescritti già alla data della sentenza di primo grado e non, come ritenuto dalla Corte di appello, nelle more del deposito della motivazione; pertanto, andavano revocate le statuizioni civili.
1.6 Il difensore eccepisce che non poteva essere condivisa la tesi -fatta propria dalla Corte di appello- secondo cui la cooperazione artificiosa richiesta nel delitto di truffa consisteva nell’assenza di reazione da parte dei clienti della banca per cui i fatti di cui al capo B) dell’imputazione avrebbero dovuto essere più propriamente riqualificati in termini di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 comma 1 n.2 cod. pen. o di frode informatica ex art. 640 ter cod. pen.; la riqualificazione nel reato di truffa informatica imponeva l’annullamento della sentenza relativamente al capo B) dell’imputazione perché trattasi di fattispecie per cui è previsto lo svolgimento dell’udienza preliminare con trasmissione degli atti al Pubblico Ministero.
1.7 Con riferimento alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravità di cui all’art. 61 n.7 cod. pen., il difensore lamenta che le argomentazioni della Corte di appello erano prive di fondamento, poiché la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità avrebbe dovuto essere accertata considerando ogni singolo episodio di truffa contestato.
1.8 II difensore osserva, con riguardo alla entità della pena, che la Corte di appello non aveva preso in considerazione la volontà manifestata dall’imputata di risarcire il danno, con un continuo richiamo ad episodi pregressi, mai contestati e per i quali non era mai intervenuto alcun accertamento; errata era anche la motivazione relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
1.9 n difensore rileva che la Corte di appello aveva confermato la condanna per l’episodio di truffa contestato al capo B) dell’imputazione consumato ai danni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, malgrado il reato fosse già prescritto al momento della sentenza di secondo grado.
1.10 n difensore lamenta che era stata confermata dalla Corte di appello la legittimità della richiesta risarcitoria avanzata dalla banca, legittimando quind un’azione di regresso da parte della banca nel procedimento penale in assenza di specifica previsione normativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve essere ricordato che con riguardo alla decisione in ordine all’odierna parte ricorrente ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado.; il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in c l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19/10/2009, COGNOME, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/6/2007, COGNOME, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, COGNOME, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure dell’appellante, è giunto, con riguardo alla posizione dell’imputata, alla medesima conclusione della sentenza di primo grado, evidenziando che la documentazione prodotta è stata confermata dai testimoni sentiti nel corso del dibattimento, sulla attendibilità dei quali non risultava (e non risulta) solleva alcuna censura; irrilevante è, pertanto, che nella motivazione della sentenza della Corte di appello non siano stati indicati in maniera specifica i testimoni posto che nel caso di cd. “doppia conforme” la sentenza di appello, nella sua struttura argonnentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prov con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale; la Corte di appello ha anche confutato la censura difensiva sulla mancata produzione dei moduli in bianco, la cui esistenza era stata direttamente constatata dai funzionari di banca sentiti come testimoni, mentre, quanto ai bonifici, già la sentenza di primo grado aveva rilevato che le operazioni di cassa avvenivano durante la pausa pranzo, quantb solo la COGNOME restava all’interno della banca (teste COGNOME).
1.2 Corretta è la decisione della Corte di appello di ritenere legittimatè; a proporre querela i correntisti titolari delle polizze, che non sono terzi danneggiati dal reato posto che, in tema di truffa, la persona offesa dal reato, titolare del dirit di querela, è il detentore del bene giuridico leso o messo in pericolo e, dunque, colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione delittuosa correlative al conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente; non vi è dubbio che siano stati i correntisti che avevano sottoscritto le polizze a subire un danno patrimoniale dalla condotta dell’imputata, visto che le somme da loro depositate presso l’assicurazione a titolo di investimento erano state disinvestite in favore di terz estranei.
1.3 Quanto al terzo motivo di ricorso, si deve ribadire che in relazione al reato di truffa, la querela è stata ritenuta valida sia se presentata dalla vittim degli artifici e raggiri, sia se presentata dalla persona che ha patito il dann patrimoniale, ove non coincidenti (Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268382; Sez. 2, n. 20169 del 03/02/2015 COGNOME, Rv. 263520; Sez. 2, n. 27571 del 21/05/2009, COGNOME, Rv. 244665): tale interpretazione si spiega con la duplice direzione offensiva della condotta illecita che caratterizza la truffa: questa s estrinseca sia nell’azione decettiva, sia nell’acquisizione del profitto, sicché possibile che la persona raggirata sia diversa da quella che patisce il danno della condotta truffaldina.
Pertanto, correttamente sono state ritenute valide sia la querela sporta da NOME COGNOME, vedova di NOME COGNOME e che era subentrata nel patrimonio di quest’ultimo, che quella presentata dalla banca (vedi pag.51 sentenza impugnata).
1.4 Relativamente alla eccepita erronea qualificazione del reato di cui ai motivi 1.4 e 1.6, si deve ribadire che “è configurabile il delitto di truffa nel caso cui il danno della vittima si realizzi per effetto di un suo comportamento omissivo, determinato dalla condotta ingannevole dell’imputato. (Fattispecie in cui l’investitore, ingannato dalla rappresentazione prospettatagli dal dipendente dell’istituto di credito attraverso l’elaborazione di documentazione contabile artificiosamente creata per celare le perdite, proseguiva nella gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti)” (Sez. 5, n. 33796 del 11/05/2023, Morandi, Rv. 285199); correttamente, pertanto, la Corte di appello ha dato rilievo al comportamento omissivo da parte dei correntisti, che hanno proseguito nell’affidamento dei propri soldi alla gestione della ricorrente, malgrado gli artific e raggiri posti in essere dalla stessa (manomissione degli indirizzi di residenza e conseguente mancata informazione sullo stato dei conti correnti).
Né si può ritenere che il reato avrebbe dovuto essere qualificato quale frode informatica, in quanto delitto di frode informatica di cui all’art. 640-ter cod. pe ha la medesima struttura ed i medesimi elementi costitutivi della truffa, dalla quale si differenzia solamente perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non la persona, di cui difetta l’induzione in errore, bensì il sistema informatico d pertinenza di quest’ultima attraverso la sua manipolazione: nel caso in esame, come correttamente osservato dalla Corte di appello a pag. 59 della sentenza impugnata, non vi è stata alcuna manipolazione o alterazione dei dati informatici, visto che la COGNOME si è limitata ad utilizzare lo strumento informatico (il terminal della banca lasciato acceso dai cassieri) per mettere in atto le truffe.
1.5 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto presuppone accertamenti di merito, che non competono a questa Corte; si deve comunque rilevare che I delitto di truffa si consuma nel momento in cui l’autore della condotta fraudolenta ottiene l’ingiusto profitto della propria attività criminosa e nel caso in esame, tale momento coincide con quello nel quale i titoli di COGNOME, COGNOME e COGNOME sono pervenuti sul conto corrente della ricorrente (6 marzo 2013, vedi pagg.19 e 20 sentenza Corte di appello), con conseguente manifesta infondatezza del motivo.
1.6 Quanto all’aggravante di all’art. 61 n. 7 cod. pen., è vero che ai fini dell’applicazione al reato continuato dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 7, cod pen., la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere effettuata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato (vedi da ultimo, Sez. 2, n. 51735 del 31/10/2023, Bani, Rv. 285678 – 02), ma la Corte di appello ha evidenziato che le persone offese hanno subìto danni da un minimo di € 4.188,02 ad un massimo di C 112.000,00, con una consistenza economica particolarmente gravosa (pag. 60 sentenza Corte di appello), giudizio di merito su cui non è ammissibile un sindacato da parte di questa Corte.
1.7 Relativamente alla pena, vi è ampia motivazione nelle pagine 61 e 62 della sentenza impugnata, che rende irrilevante il riferimento ai fatti non oggetto di contestazione; quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nell’atto di appello non veniva espresso alcun motivo per il quale la ricorrente sarebbe stata meritevole del beneficio, per cui nessun onere motivazione sul punto aveva la Corte di appello.
1.8 Quanto al nono motivo di ricorso, anche in questo caso si deve rilevare che il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla data in cui il denaro è giunto
sul conto corrente nella disponibilità dell’imputata, con conseguente manifesta infondatezza del motivo.
1.9 Infine, l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile per non essere stato proposto in appello; alla luce di quanto disposto dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869). Il principio trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.
2. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; la ricorrente deve inoltre essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civile costituite, non sussistendo motivi per la compensazione, per la cui liquidazione si è tenuto conto della complessità della vicenda, del numero delle parti civili e dell’impegno profuso nella redazione delle memorie depositate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputata, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili rappresentate dall’AVV_NOTAIO che liquida in complessivi euro 10.000,00, oltre accessori di legge e dalle parti civili rappresentate dall’AVV_NOTAIO che liquida in complessivi euro 10.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 27/03/2024
Il consigliere estensore NOME COGNOME
DEPOSITATO IN CANCELLARIA SECONDA SEZIONE PENALE 15 MAG. 2024
IL FUNZIONARIO Ql1.2D
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