Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18986 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18986 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino nei confronti di: COGNOME NOME, nato a Torino il 24/05/1974; COGNOME Paolo nato a Chivasso il 17/01/1968; COGNOME NOME, nato a Locri il 04/02/1979;
nonché da:
COGNOME NOME nato a Santo Stefano in Aspromonte il 18/09/1965; COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 03/09/1962; COGNOME NOMECOGNOME nato a Platì il 05/09/1960;
avverso la sentenza del 4/10/2024 emessa dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsI; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi di COGNOME NOME, Vazzana
NOME e COGNOME NOME COGNOME nonché l’annullamento con rinvio in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale nei confronti di Aspromonte Domenico, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
gli Avvocati COGNOME Giuseppe e COGNOME NOME, in difesa di COGNOME NOME, chiedono l’accoglimento del ricorso;
l’Avvocato COGNOME CosimoCOGNOME in difesa di COGNOME NOME, si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento;
l’Avvocato COGNOME NOMECOGNOME in difesa di COGNOME NOME, si riporta ai motivi di ricorso;
l’Avvocato COGNOME COGNOME in difesa di COGNOME Antonio e Aspromonte Domenico, conclude per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso del Procuratore generale presentato nei confronti di Aspromonte Domenico, mentre per la posizione di COGNOME Antonio COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso;
l’Avvocato COGNOME NOMECOGNOME in difesa di Busso Paolo, conclude per l’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale o in subordine per il rigetto; l’Avvocato COGNOME GiuseppeCOGNOME in difesa di COGNOME NOMECOGNOME conclude per l’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale o in subordine per il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino, riformando in parte la sentenza di primo grado, confermava la condanna degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo 1) e COGNOME NOME anche per il delitto di autoriciclaggio (capo 8), nonché di COGNOME NOME per il reato di intestazione fittizia (capo 2) e autoriciclaggio (capo 8); nei confronti di COGNOME NOME veniva dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione al reato di accesso abusivo a sistema informatico (capo 63), mentre per il reato di abuso d’ufficio veniva pronunciata sentenza di proscioglimento stante l’inte rvenuta depenalizzazione ; veniva rigettato l’appello del Pubblico ministero avverso l’assoluzione di COGNOME NOME dal reato associativo e confermata la derubricazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (capo 64) nei confronti di Aspromonte, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con conseguente improcedibilità per mancanza di querela.
I fatti oggetto di giudizio hanno ad oggetto l a ‘locale’ di ‘ndrangheta operante nel Comune di Volpiano, già oggetto di altri procedimenti, definiti con sentenze passate in giudicato, nell’ambito dei quali era stata accertata l’operatività del sodalizio e il suo organigramma (si veda pg.12 e seg. sentenza di primo grado); il
presente procedimento si fonda principalmente sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME cl.88, nonché sugli accertamenti -anche mediante intercettazioni -da cui si traevano elemneti per confermarne l’attendibilità.
Ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, formulando tre articolati motivi.
2.1. Con il primo motivo, formulato in plurime censure, si contesta la conferma della sentenza assolutoria emessa in primo grado nei confronti di NOME COGNOME, in relazione al reato associativo di cui al capo 1).
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello, pur avendo accolto il motivo in ordine all’utilizzabili tà della conversazione ambientale n. 4050 del 16.5.2019, non ne aveva tenuto conto ai fini della valutazione della partecipazione di Aspromonte all’associazione . Si deduce, più in generale, il vizio di motivazione, contestandosi la valutazione riduttiva de gli elementi emersi nei confronti dell’imputato .
Il ricorrente lamenta anche l’omessa correzione della formula assolutoria , evidenziando come la Corte di appello non avesse ritenuto sussistente l’interesse a riconoscere l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto e non, come avvenuto in primo grado, perché il fatto non sussiste.
2.2. Con il secondo motivo, concernente il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (capo 64), il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 393 cod. pen., essendo stata così derubricata la contestazione originaria di estorsione.
Il fatto concerne la pretesa avanzata da Aspromonte e COGNOME NOME nei confronti dei fratelli COGNOME, dai quali avevano acquistato un ristorante e nei cui confronti avevano preteso la somma di €80.000 a titolo di risarcimento, in quanto una veranda del ristorante era risultata abusiva.
Si contesta il mancato riconoscimento dell’aggravante di cui all’art.416 -bis.1 cod. pen., oltre che in relazione a ll’uso del metodo mafioso, anche nella forma dell’agevolazione ; inoltre, la Corte di appello avrebbe omesso di valorizzare, sempre ai fini della qualificazione del reato ai sensi dell’art. 629 cod. pen., l’intervento di NOME COGNOME, concorrente nel medesimo reato, il quale aveva agito al fine di ottenere un tornaconto personale (€10.000 a titolo di compens o per l’in termediazione tra Famularo e Vazzana).
2.3. Con il terzo motivo, concernente il reato di cui all’art. 615 -ter cod. pen. contestato a Busso Paolo, si deduce la violazione dell’art. 131 -bis cod. pen., difettando i presupposti per riconoscere la tenuità del fatto.
Nell’interesse di COGNOME NOME è stato formulato un unico motivo di ricorso, per vizio di motivazione, con il quale si censurano plurime carenze argomentative in ordine al riconoscimento del ruolo di partecipe alla ‘ locale ‘ di Volpiano
3.1. Il ricorrente censura, in primo luogo, la mancanza di motivazione, sottolineando come la Corte di appello abbia trattato in maniera sostanzialmente unitaria e indifferenziata la posizione dei fratelli COGNOME, omettendo di procedere ad un vaglio individualizzato; in alcuni passi della motivazione, peraltro, si sarebbe fatto riferimento al ruolo associativo del padre dei fratelli COGNOME, introducendo una non consentita interferenza tra le responsabilità del ricorrente e quelle del genitore.
3.2. Il ricorrente contesta la motivazione evidenziando plurime criticità e, in particolare:
-non era stata rilevata la sua presenza presso il bar INDIRIZZO, indicato quale luogo di abituale ritrovo degli associati;
-il collaborante riferiva di informazioni risalenti nel tempo (2008);
-la presunta affiliazione viene riferita dal collaborante quale notizia appresa de relato ;
-non era emersa alcuna delle condotte espressamente contestate quale espressione della partecipazione;
-era indimostrata l’affermazione secondo cui i fratelli COGNOME a avessero investito in attività alberghiera il provento dell’attività della ‘locale’ di Volpiano;
-nei plurimi procedimenti penali che, fin dal 2000, avevano interessato la locale di Volpiano, non era mai emersa la partecipazione del ricorrente;
-in motivazione si riteneva accertata la mera ‘appartenenza’ al sodalizio, concetto giuridico distinto da quello di ‘partecipazione’ .
3.3. In relazione ai riscontri acquisiti rispetto alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, il ricorrente contesta che:
-non vi sarebbero intercettazioni a riscontro della chiamata in correità;
-i fatti descritti da COGNOME risalgono al 2008, mentre non vengono forniti elementi di conoscenza riferiti all’attualità;
-non risulterebbe la frequentazione con altri associati, bensì occasionali contatti con NOME e NOME COGNOME (genericamente indicati come appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta) ;
-mancherebbero elementi fattuali dai quali desumere che, nel rapportarsi con Busso, il ricorrente abbia fatto valere la forza di intimidazione derivante dall’appartenenza al sodalizio.
3.4. La difesa del ricorrente depositava una memoria sostanzialmente riepilogativa dei motivi già proposti, evidenziando di aver appreso, da fonti aperte, dell’avvenuta collaborazione con la giustizia , in data antecedente alla sentenza di appello, di NOME COGNOME, appartenente alla locale di Volpiano. Poiché non vi era stato alcun ulteriore apporto probatorio a seguito della predetta collaborazione, la difesa ne deduce a contrario che il collaborante non abbia riferito elementi utili a carico di Vazzana
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati formulati tre motivi di ricorso, preceduti da un ampio richiamo alle ragioni dedotte dai giudici di merito a conferma delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME
4.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione alla ‘locale’ di Volpiano, censurando specifici elementi posti a fondamento della condanna e, in particolare, si afferma che:
-non sussistevano elementi dai quali desumere che la provvista economica necessaria per l’acquisto della licenza commerciale per bar ed albergo (risalente al 1984) derivav a dall’illecita attività di traffico di stupefacenti svolta da NOME COGNOME (padre di NOME), essendo stato questi condannato per fatti riferiti al periodo 1986-1992 e, quindi, successivi rispetto al predetto acquisto;
-i successivi acquisti riferibili ai Vazzana trovavano lecita giustificazione nel reimpiego dei proventi dell’attività imprenditoriale;
-in ogni caso, l’acquisto dell’hotel er a avvenuto in epoca di molto antecedente rispetto all’accertamento dell’esistenza della locale di Volpiano (data ta, nella sentenza ‘Minotauro’ al 1994) ;
-il prestito di €60.000 che il ricorrente avrebbe ricevuto da NOME COGNOME non potrebbe fungere da riscontro alle dichiarazioni del collaborante, posto che questi non aveva riferito alcunchè in ordine a tale episodio;
-le condotte relative all’acquisto del ristorante ‘Lago Reale’ non potevano inserirsi nell’abito dell’attività associativa, tant’è che non era stata neppure contestata l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen.;
-la messa a disposizione di un alloggio in favore di NOME NOME non era riconducibile ad una forma di sostentamento in favore di un associato, essendo frutto di una compensazione con il prestito in precedenza ricevuto da COGNOME NOME;
-era frutto di travisamento della prova dichiarativa l’affermazione secondo cui COGNOME aveva dato €4500 ad COGNOME NOMECOGNOME per contribuire al sostentamento degli affiliati in stato di detenzione, posto che il collaboratore
aveva precisato che l’importo gli era stato versato da COGNOME NOME (padre di NOME) riferendo che si trattava di un prestito, tant’è che la somma era stata restituita;
-le richieste di ospitalità presso l’Hotel Vazzana, da parte di NOME e NOME COGNOME erano state espressamente osteggiate dal ricorrente, il quale imponeva al fratello NOME di far alloggiare i predetti presso un altro hotel, non appartenente alla loro famiglia.
4.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando che il ricorrente era stato ritenuto affiliato alla locale di Volpiano in epoca antecedente al 27 febbraio 1991, mentre tale sodalizio veniva accertato come costituito a far data dal 1994 (sentenze COGNOME e Cerbero), il che renderebbe incompatibile l’ipotesi della partecipazione ad un’associazione che, nel 1991, non era venuta ad esistenza. Al contempo, verrebbe privata di rilevanza probatoria l’acquisto di beni nel periodo 1984 -1989, posto che anche tale condotta si porrebbe a notevole distanza temporale rispetto alla costituzione dell’associazione.
4.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla condotta di autoriciclaggio (capo 8), asseritamente commessa mediante l’impiego della somma di €40.000, procurata da NOME NOME, per l’acquisto del ristorante ‘Lago Reale’.
Evidenzia il ricorrente che, ove venga meno il reato presupposto costituito dalla partecipazione all’associazione di stampo mafioso, ne deriverebbe anche l’esclusione della responsabilità per il delitto di autoriciclaggio.
Nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME condannato per i reati di cui ai capi 2) e 8), sono stati formulati due motivi di impugnazione.
5.1. Con il primo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine al reato di intestazione fittizia (capo 2) di società riconducibili al ricorrente, al fine di eludere l’applicazione della normativa in materia di misure di prevenzione.
Con specifico riguardo alla società RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente evidenzia l’ assoluta carenza di riscontri rispetto alle dichiarazioni accusatorie rese dal collaborante COGNOME NOMECOGNOME avendo questi riferito che l’imputato era titolare di una società avente ad oggetto la rivendita di caffè, mentre, dagli accertamenti svolti, emergeva che la RAGIONE_SOCIALE si occupava della gestione di bar.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe frainteso l’argomentazione difensiva fondata sul richiamo alla sentenza, resa in altro procedimento, nei confronti del coimputato COGNOME che era stata richiamata non già in relazione all’esito (essendo terminata con la condanna per il medesimo reato di cui al capo 2), bensì in ordine
a quella parte della motivazione in cui l’appartenenza di COGNOME al contesto malavitoso non era stato ritenuto elemento di riscontro rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.
5.2. Con il secondo motivo, si censura il vizio di motivazione in ordine al reato di autoriciclaggio contestato al capo 8), in concorso con COGNOME NOME, relativo al versamento di una somma di denaro impiegata per l’acquisto del ristorante ‘Lago INDIRIZZO‘, formalmente intestato a NOME COGNOME (ex moglie di Vazzana).
Il ricorrente censura la ricostruzione dei fatti operata sulla base delle intercettazioni captate, sottolineando come nel corso delle conversazioni cui partecipava COGNOME Domenico, questi affermava circostanze false in ordine all’intestazione del ristorante, tant’è che lo stesso Aspromonte, in sede di esame, ammetteva la falsità.
Per converso, le intercettazioni captate il 26 giugno 2018, ove correttamente intese, fornivano la prova dell’estraneità del ricorrente rispetto all’acquisto del ristorante, posto che COGNOME NOME negava in maniera netta che il fratello NOME, per acquistare il ristorante, avesse ottenuto un prestito da NOME.
La difesa, inoltre, torna a ribadire che la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che COGNOME avesse versato denaro a Vazzana per ringraziarlo di averlo assunto presso il suo hotel, in tal modo consentendogli di acced ere all’affidamento in prova. Tale vicenda, infatti, si era svolta a notevole distanza temporale rispetto ai fatti oggetto di contestazione, il che rendeva anomalo l’adempimento di un debito di riconoscenza.
Peraltro, la Corte di appello avrebbe omesso di valorizzare il contenuto delle intercettazioni, poi confermate in sede dibattimentale, in cui NOME COGNOME riferiva di aver ricevuto da COGNOME NOME la somma di €30.000 e di averne utilizzato €14.000 per l’acquisto del ristorante. Vi sa rebbe, pertanto, una insanabile discrasia tra il presunto prestito di €40.000 da parte di NOME in favore di COGNOME, rispetto alla minor somma che COGNOME riferisce esser stata impiegata per l’acquisto del ristorante.
La prova della falsità di quanto sostenuto da COGNOME nella conversazione in cui riferiva del prestito ricevuto da COGNOME, doveva essere desunta anche da quanto riferito in ordine alla restituzione della stessa, non essendo emerso in alcun modo che -come riferito da COGNOME -il debito contratto da COGNOME sarebbe stato posto in compensazione con l’omesso pagamento del corrispettivo per il godimento di immobili da parte di COGNOME NOME, fratello dell’imputato.
Infine, si ribadisce che Aspromonte aveva falsamente affermato di aver mentito a NOME COGNOME circa la provenienza del denaro impiegato da Vazzana per l’acquisto del ristorante , al dichiarato fine di indurre il predetto a dissuadere la
sorella NOME dall’assumere in proprio la gestione del ristorante.
Il ricorrente contesta l’utilizzabilità della conversazione n. 4040 del 16 maggio 2019 intercettata in altro procedimento e ritenuta dai giudici di merito come di per sé dimostrativa del coinvolgimento di COGNOME nell’acquisto del ristorante.
Sul punto si ritiene che fosse corretta l’ordinanza resa dal Tribunale di Ivrea che, applicando i principi affermati dalla sentenza ‘Cavallo’ delle Sezioni unite, aveva escluso l’esistenza di una connessione ex art. 12 cod. proc. pen. che legi ttimasse l’utilizzazione dell’intercettazione acquisita in separato procedimento.
Nell’interesse di COGNOME COGNOME nei cui confronti ha proposto ricorso il Procuratore generale in relazione al reato di cui al capo 64), la difesa ha depositato una memoria con la quale si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, evidenziando come lo stesso consista in una mera rivalutazione in punto di fatto, inidonea a dimostrare la manifesta illogicità o contraddittorietà della sentenza impugnata. In particolare, sottolinea la difesa come il ricorso non si confronti con la specifica argomentazione recepita dai giudici di merito, secondo cui Spagnolo non pose in essere alcuna condotta di minaccia o violenza nei confronti della persona offesa.
In rito, si eccepisce l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, ritenendo applicabile il novellato disposto dell’art. 5 93, comma 2, cod. proc. pen. (come modificato dall ‘art.2, comma 1quinquies , lett.p, l. 9 agosto 2024, n. 114) che, per le sentenze di proscioglimento relative ai reati di cui all’art. 550 comma 1, cod. proc. pen., non consente l’appello della parte pubblica. Trattandosi di norma processuale entrata in vigore prima dell’emissione della sentenza emessa dalla Corte di appello, la stessa doveva ritenersi applicabile al giudizio de quo .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale è fondato nei limiti di seguito specificati.
Deve preliminarmente evidenziarsi come, in presenza di sentenze assolutorie conformemente pronunciate in primo e secondo grado, il ricorso in cassazione non è consentito per far valere il vizio di motivazione (art. 608, comma 1bis , cod. proc. pen.).
Il ricorso proposto in relazione all’assoluzione di Aspromonte per il reato associativo è dichiaratamente proposto per vizi di motivazione, contestandosi la ricostruzione del fatto e il presunto travisamento della prova. Il vizio denunciato, ricondotto dallo stesso ricorrente nell’ipotesi di cui all’art. 606, lett.e), cod. proc.
pen., è inammissibile a fronte della cosiddetta ‘ doppia conforme ‘ di proscioglimento, sicchè i motivi non possono essere esaminati nel merito.
Il ricorrente ha censurato la sentenza di appello, oltre che per l’esito, anche per la mancata correzione della formula assolutoria adottata in primo grado, lì dove Aspromonte è stato assolto ‘per chè il fatto non sussiste ‘, anziché ‘per non aver commesso il fatto’.
La doglianza sollevata dal ricorrente, pur in astratto fondata non essendo contestabile l’erroneità della formula assolutoria, non è suscettibile di trovare rimedio nel giudizio di cassazione, dovendosi condividere la tesi, già recepita dalla Corte di appello, volta ad evidenziare la carenza di interesse alla mera modifica della formula assolutoria.
Il ricorrente sostiene che, ove non si correggesse l’assoluzione ‘ perché il fatto non sussiste ‘ e venendosi a formare il giudicato su tale aspetto, ne conseguirebbe la necessità dell’estensione degli effetti nei confront i degli altri coimputati, condannati per il medesimo reato associativo.
La tesi non è condivisibile, posto che la formula assolutoria, ove frutto di un evidente errore materiale inequivocabilmente desumibile dal raffronto con la motivazione, non determina alcun giudicato in ordine all’accertamento della sussistenza dell’associazione e, quindi, non potrà neppure essere invocata da altri coimputati in loro favore.
2.1. Anche gli altri motivi di ricorso formulati dal Procuratore generale, con riferimento al proscioglimento dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, così come diversamente qualificata l’originaria imputazione di estorsione (capo 64), sono inammissibili.
A tal riguardo deve, in primo luogo, sottolinearsi come il ricorso, pur formalmente proposto anche per violazione di legge, presuppone necessariamente un sindacato sulla motivazione, il che rende applicabile il limite all’impugnabilità della doppia sentenza di proscioglimento di cui all’art. 608 cod. proc. pen.
La diversa qualificazione giuridica della condotta invocata dal ricorrente presuppone, infatti, una ricostruzione alternativa del fatto, dovendosi escludere che la condotta fosse finalizzata ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione risarcitoria, come invece ritenuto dai giudici di merito.
La Corte di appello, con motivazione non suscettibile di contestazione in questa sede, ha ritenuto che effettivamente la pretesa esercitata dagli imputati fosse relativa ad una controversia civilistica circa la spettanza o meno di una riduzione sul prezzo di acquisto del ristorante Lago Reale, a fronte delle irregolarità urbanistiche relative alla veranda dello stesso.
A fronte del dato fattuale, così come accertato, è corretta la derubricazione
del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sicchè la diversa qualificazione giuridica proposta dal Procuratore generale presupporrebbe la preventiva rivisitazione della descrizione del fatto, mediante l’esclusione dell’esercizio di una pretesa astrattamente tutelabi le in sede giudiziaria.
I rapporti tra la violazione di legge per errata qualificazione giuridica del fatto e vizio della motivazione, sono stati compiutamente esaminati dalla giurisprudenza di legittimità.
Sia pur con riguardo alla speculare problematica nel giudizio civile di legittimità, le Sezioni unite hanno affermato che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez.U civ., n. 10313 del 5/5/2006, Rv. 589877).
In ambito penale si è conformemente affermato che il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta), e va tenuto distinto dalla deduzione di un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez.5, n. 47575 del 7/10/2016, COGNOME, Rv. 268404).
Sulla base di tali principi, è corretto affermare che, in presenza di una ‘doppia conforme’ di proscioglimento, è inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero con il quale si censuri l’erronea qualificazione giuridica del reato sul presupposto che la ricostruzione in fatto, operata dai giudici di merito, sia errata, posto che in tal caso la doglianza è riferita ad un vizio della motivazione, non deducibil e ai sensi dell’art. 608, comma 1 -bis , cod. proc. pen.
Il vizio di violazione di legge, infatti, è deducibile nel solo caso in cui la
ricostruzione del fatto non sia oggetto di contestazione e si deduca esclusivamente la erronea riconduzione della condotta in una determinata fattispecie di reato.
2.2. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso del Procurato generale proposto avverso l ‘assoluzione pronunciata nei confronti di Aspro monte, COGNOME NOME e COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
È fondato, invece, il ricorso proposto nei confronti di Busso, nei cui confronti la Corte di appello ha ritenuto sussistente la particolare tenuità del fatto relativamente al capo 63), avente ad oggetto il reato di cui all’ art.615-ter cod. pen. , per il quale l’imputato era stato condannato in primo grado.
La motivazione sulla base della quale la Corte di appello ha ritenuto la particolare tenuità del fatto è obiettivamente contraddittoria.
Nella sentenza impugnata, infatti, si evidenziano in primo luogo una pluralità di elementi che descrivono una apprezzabile offensività della condotta tenuta da COGNOME in qualità di pubblico ufficiale appartenente al Corpo di Polizia municipale del Comune di Volpiano.
In particolare, si dà atto della sussistenza dell’aggravante dell’abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale; che l’imputato aveva tratto in errore l’addetta all ‘ufficio anag rafe al fine di ottenere l’indirizzo di residenza di NOME COGNOME su richiesta di COGNOME NOME; che il certificato di residenza, pur potendo essere richiesto da chiunque, presuppone l’indicazione all’ufficiale dell’anagrafe dello specifico motivo della richiesta, di cui si deve dare menzione e il richiedente deve essere identificato; si dava atto, inoltre, della sostanziale messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale nei confronti di un appartenente alla criminalità organizzata, sottolineandosi anche la tempestività con la quale l’informazione era stata fornita; veniva anche riconosciuto che COGNOME non avesse alcuna remora ad abusare della qualifica rivestita, come risultante anche dai fatti oggetto della contestazione del reato di abuso d’ufficio di cui al capo 62) (per il quale era intervenuta condanna in primo grado e assoluzione in appello, per effetto della sopravvenuta depenalizzazione).
In buona sostanza, a fronte di plurimi, oggettivi e obiettivamente gravi elementi atti a dimostrare che il fatto non aveva una offensività minima, la Corte di appello ha ritenuto di dar rilievo al fatto che il dato fornito dal Busso era legittimamente conoscibile e che, per il rilascio del certificato, il privato avrebbe dovuto sostenere l’es b orso di €16 , sicchè il danno patrimoniale risulterebbe assolutamente modesto.
Le argomentazioni valorizzate dalla Corte di appello sono manifestamente viziate. In primo luogo, deve segnalarsi la sostanziale irrilevanza dell’importo
evaso per effetto della mancata richiesta, nelle forme dovute, del certificato cui era interessato COGNOME Giuseppe.
Nel caso di specie, infatti, il reato per il quale si procede non è posto a tutela del patrimonio, bensì della riservatezza dei dati contenuti in sistemi informatici, il cui accesso è sottoposto a precise limitazioni.
Quanto detto, comporta che l’offensività doveva essere valutata non già con riguardo al danno patrimoniale, bensì alla lesione dei beni oggetto di tutela da parte della norma incriminatrice.
Parimenti è censurabile l’aver valorizzato a fronte di plurimi elementi contrari -il fatto che il dato di conoscenza indebitamente fornito da Busso sarebbe stato legittimamente conoscibile da parte di COGNOME NOME.
Come si è già evidenziato, il privato avrebbe potuto conoscere l’altrui residenza anagrafica solo ed esclusivamente formalizzando la richiesta e specificando i motivi, l’offensività della condotta, pertanto, non deve essere focalizzata sul mero aspetto dell’astratta conoscibilità del dato, bensì sull’elusione delle modalità previste per la legittima acquisizione dell’informaz ione.
In conclusione, si ritiene che il ricorso del Procuratore generale debba essere accolto sul punto, con conseguente annullamento con rinvio per nuovo esame, dovendo il giudice del rinvio valutare l’offensività della condotta nel suo complesso, tenendo conto della natura del reato, del bene giuridico tutelato, dell’abuso della qualità che ha reso possibile la sua commissione e inserendo il fatto nell’ambito dei rapporti esistenti tra Busso e Vazzana.
4. Il ricorso di COGNOME NOME è infondato.
Il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione rappresentando una pluralità di aspetti di dubbia valenza probatoria ai fini della dimostrazione della sua appartenenza alla locale di Volpiano, nonchè la carenza di effettivi riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.
Si tratta di doglianze che, in concreto, si risolvono in una riproposizione di questioni di puro merito, senza che dalla sentenza impugnata emergano effettivi profili di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Deve, altresì, evidenziarsi l’infondatezza del vizio di motivazione desunto dal fatto che la posizione di NOME COGNOME sarebbe stata esaminata congiuntamente a quella del fratello NOME, senza operare un’effettiva distinzione di ruoli.
La censura non tiene conto del fatto che i due fratelli COGNOME avevano una posizione per molti versi sovrapponibile, essendo indicati entrambi quali appartenenti al sodalizio e coinvolti nella gestione di attività imprenditoriali,
finalizzate al reimpiego di proventi illeciti, riconducibili ad attività familiari, in gran parte avviate dal padre dei predetti.
In buona sostanza, le sentenze di merito descrivono un contesto familiare in cui i fratelli COGNOME e il padre gravitano storicamente nell’ambito malavitoso , il che rende obiettivamente non distinguibile gli apporti da ciascuno prestato, se non in presenza di singoli e specifici reati scopo.
4.1. Ulteriore aspetto di doglianza è quello relativo alla presunta mancata individuazione dell’apporto causale fornito da NOME COGNOME al sodalizio, essendosi dato rilievo alla mera nozione di ‘appartenenza’, senza specificare le effettive condotte partecipative.
Anche su tale aspetto, tuttavia, il ricorso si limita a prospettare censure alla motivazione che non tengono adeguatamente conto della ricostruzione operate nelle conformi sentenze di merito, nelle quali si descrive il ruolo dell’imputato, indicato quale soggetto che si occupava del reimpiego di proventi illeciti, investiti principalmente nell’attività alberghiera e di ristorazione.
4.2. Parimenti infondate sono le censure mosse alla valutazione di attendibilità e ai riscontri esterni individuati in relazione alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.
In particolare, si evidenzia la discrepanza temporale tra i fatti narrati e i riscontri addotti a sostegno delle dichiarazioni del collaboratore.
Si tratta di un profilo inidoneo a inficiare la tenuta motivazionale della sentenza impugnata, soprattutto se letta congiuntamente all’esaustiva ricostruzione operata nella sentenza di primo grado.
Il dato che emerge è che le dichiarazioni rese da COGNOME si inseriscono appieno in un quadro complessivo che corrobora le stesse, soprattutto in relazione al dato oggettivo della indisponibilità di redditi di accertata provenienza lecita idonei a giustificare gli investimenti compiuti dalla famiglia COGNOME, a riprova della fondatezza delle accuse mosse dal collaborante.
4.3. In conclusione, quindi, può agevolmente affermarsi che il ricorso proposto da COGNOME NOME debba essere rigettato, posto che le plurime e articolate doglianze contenute nell’impugnazione vanno a sindacare singoli aspetti della motivazione, senza considerare l’apparato argomentativo nella sua completezza, nonché obliterando le ancor più puntuali considerazioni svolte nella sentenza di primo grado.
Ne consegue l’insussistenza di profili motivazionali suscettibili di essere ritenuti manifestamente illogici o contraddittori, con la conseguente infondatezza del ricorso.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME pone essenzialmente questioni di fatto, sollecitando la rivalutazione di elementi asseritamente non valutati correttamente da parte dei giudici di merito.
Al netto delle plurime e inammissibili deduzioni fattuali, l’aspetto maggiormente rilevante riguarda la discrepanza temporale tra l’asserita appartenenza al sodalizio, risalente alla fine degli anni ’80 , e la costituzione della locale di Volpiano, temporalmente collocata a partire dal 1994.
La difesa ha sostenuto che non si potrebbe ritenere l’attendibilità della ricostruzione secondo cui COGNOME era partecipe di un’associazione ancor prima che la stessa fosse stata costituita.
La tesi, per quanto suggestiva, non è condivisibile.
Le sentenze di merito hanno fornito un quadro complessivo della partecipazione dei componenti della famiglia COGNOME all’associazione di tipo ‘ndranghetistico, descrivendo uno stabile e consolidato inserimento nel contesto criminale di riferimento che, evidentemente, presupponeva l’adesione al sodalizio a prescindere dalle diverse articolazioni temporali da questo assunte nel corso del tempo.
La ricostruzione operata sulla base delle dichiarazioni del collaboratore tiene conto dell’intera vicenda della famiglia COGNOME a e tale elemento è stato correttamente valorizzato al fine di valorizzare la stabilità nel tempo dell’intraneità in contesti malavitosi. A fronte di una storica appartenenza all’associazione di stampo mafioso, non vi è alcuna incompatibilità con la circostanza (peraltro evocata, ma non oggetto di specifico accertamento in questo procedimento) secondo cui locale di Volpiano avrebbe iniziato ad operare dal 1994.
Nel caso di specie, infatti, non viene descritta una iniziale appartenenza ad una associazione di tipo diverso, bensì si è ritenuto che la famiglia COGNOME (il padre prima e poi entrambi i figli) siano sempre stati affiliati alla ‘ndrangheta, il che ha comportato la loro partecipazione anche alla locale di Volpiano, dal momento della sua emersione.
5.1. Il terzo motivo di ricorso, concernente il reato di autoriciclaggio è generico, posto che l’esclusione della sua configurabilità viene desunta per derivazione dall’insussistenza del reato associativo. Ne consegue che, una volta rigettati i motivi sul reato presupposto, il motivo relativo all’autoriciclaggio rimane sfornito di argomentazioni.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
6.1. Il ricorrente censura la ricostruzione della condotta di intestazione fittizia contestagli al capo 2), concernente l’attribuzione delle quote della società
RAGIONE_SOCIALE a dei prestanome.
In primo grado, si era pervenuti all’accertamento della r esponsabilità dell’imputato sulla base delle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME, inoltre, la Corte di appello valorizzava il fatto che il coimputato del ricorrente, separatamente giudicato, era stato condannato per il suddetto fatto.
Nella sentenza impugnata venivano esaminate le presunte discrasie tra l’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE e la descrizione dell’attività da tale società svolta secondo la versione resa dal collaborante, ritenendosi che non vi fossero differenze tal i da far ritenere dubbi circa l’individuazione della società oggetto di intestazione fittizia.
A fronte di tali dati, il ricorrente ripropone questioni di puro merito già esaminate, tentando di dimostrare -mediante ampi richiami alla deposizione resa dal collaborante -come la società in oggetto fosse dedita alla compravendita di bar e non già alla torrefazione , in tal modo cercando di inficiare l’attendibilità del dichiarante.
A prescindere dall’inammissibilità di una rivalutazione nel merito delle prove acquisite, deve sottolinearsi come il ricorrente non si confronti con l’obiettiva irrilevanza delle presunte imprecisioni in cui sarebbe incorso il collaborante, omettendo del tutto di prendere atto della valutazione di attendibilità resa dai giudici di merito.
Né a diversa conclusione si perviene valorizzando il fatto che il coimputato COGNOME, separatamente giudicato, non sia stato ritenuto appartenente alla locale di Volpiano, posto che il reato di cui all’art. 512 -bis cod. pen. non presuppone che gli autori siano necessariamente associati ad un sodalizio mafioso. Al contempo, l’estraneità di COGNOME non è un elemento che, di per sé, consente di ritenere l’inattendibilità della chiamata i n reità formulata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME.
6.2. I restanti motivi di ricorso attengono al reato di autoriciclaggio contestato al capo 8), concernente l’ impiego di denaro proveniente da attività illecita per rilevare il Ristorante Lago Reale.
Il ricorso sollecita una rilettura critica del percorso argomentativo senza, tuttavia, evidenziare profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, bensì prospettando una lettura alternativa, volta a dimostrare che le intercettazioni, nel corso delle quali Aspromonte faceva riferimento alla titolarità del locale in capo ad Agresta, contenevano affermazioni false.
Premesso che non è consentito in questa sede di procedere ad una rilettura delle intercettazioni, deve evidenziarsi come il ricorso non si confronti con un dato che -correttamente -è stato ritenuto altamente indicativo dell’effettiva titolarità
del ristorante in capo al ricorrente. Si tratta della conversazione n.4050 del 16 maggio 2019 (si veda pg.56 sentenza di appello), nel corso della quale due soggetti, appartenenti al medesimo contesto criminale, facevano espressamente riferimento al fatto che il ristorante INDIRIZZO apparteneva al ricorrente.
Il dato probatorio, obiettivamente rilevante, non è suscettibile di censura in questa sede, neppure sotto il profilo della eccepita inutilizzabilità dell’intercettazione.
La difesa, infatti, ha genericamente dedotto l’inutilizzabilità richiamando le conclusioni cui era giunto, sul punto, il giudice di primo grado, senza in concreto illustrare i motivi per cui il ribaltamento, in sede di appello, della decisione in ordine alla possibilità di acquisire la suddetta intercettazione, non fosse corretta.
Sul punto, pertanto, il ricorso è aspecifico, il che non consente di sindacare il vizio dedotto dal ricorrente.
Alla luce delle considerazioni svolte, i ricorsi proposti da COGNOME NOME e NOME, nonché da COGNOME NOME, devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
PQM
In parziale accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Paolo limitatamente all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del Pubblico ministero.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 aprile 2025