Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2156 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2156 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Iraq 1’1.7.1073
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 12.9.2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 12.9.2023, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari in data 16.4.2015 che condannava NOME COGNOME alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione e 180.000 euro di multa per il reato di cui all’art. 12, commi 3, lett. a), b), c) e d), 3-bis e 3-ter lett. b), D.Lvo n. 286 del 1998, perché, in concorso con altri, compiva atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato italiano di die cittadini extracomunitari, trasportati in un vano ricavato nel retro di un furgone imbarcato su una motonave greca.
La Corte d’Appello di Bari ha dato atto che l’imputato aveva proposto appello, chiedendo: 1) di dichiarare il difetto di giurisdizione, in quanto il trasporto dei clandestini era partito dalla Grecia, mediante l’utilizzo di una nave battente bandiera greca, e l’iter criminoso aveva avuto luogo ad Atene; 2) l’assoluzione nel merito per non aver commesso il fatto alla luce delle dichiarazioni testimoniali assunte in dibattimento; 3) il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. e del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Su tali motivi di appello, la Corte d’Appello ha risposto che: 1) sussiste la giurisdizione italiana, in quanto la condotta è stata posta in essere in parte nel territorio dello Stato italiano, nel porto di Bari dove sono sbarcati i coimputati del reato connesso che viaggiavano a bordo di un di un furgone in cui erano ospitati otto cittadini extracomunitari, e in Vigevano, dove si è consumato l’accordo criminoso finalizzato all’organizzazione del trasporto e dove è stato anche reperito il furgone, atteso che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione consiste anche nel compimento, oltre che del trasporto, di altri atti diretti a favorire l’ingresso illegali; 2) nel merito, a carico di COGNOME vi sono le convergenti chiamate in correità di COGNOME, COGNOME e COGNOME i quali lo hanno indicato come il principale organizzatore dell’operazione di immigrazione clandestina dalla Grecia, con dichiarazioni credibili, apparse coerenti nonché confermative delle dichiarazioni già rese nelle indagini preliminari e supportate da riscontri oggettivi, costituiti dalle dichiarazioni dell’ispettore di polizia COGNOME; 3) non poteva essere riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., in ragione del ruolo rilevante svolto dall’imputato, e la concessione della sospensione condizionale era inibita in radice dalla misura della pena inflitta, ben superiore a due anni di reclusione.
Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolandolo in due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione della sentenza in ordine al secondo motivo del suo atto di appello, con il quale aveva innanzitutto contestato che dalle dichiarazioni testimoniali emergesse la prova a carico di COGNOME, evidenziando che invece COGNOME, COGNOME e COGNOME non lo avevano riconosciuto, mentre COGNOME aveva precisato di non essere personalmente a conoscenza della presenza di COGNOME nel porto di Bari il 16.3.2011, avendo invece desunto la relativa circostanza da una relazione di servizio della Polizia Marittima (inutilizzabile, perché citata de relato), e aveva poi escluso che vi fossero conversazioni telefoniche attribuibili a COGNOME
Invece, la Corte d’Appello di Bari non ha preso in considerazione il motivo d’appello, perchè ha riportato sinteticamente le dichiarazioni dei quattro soggetti
indicati, ma senza tenere conto delle criticità evidenziate nell’atto di impugnazione e omettendo ogni valutazione delle specifiche doglianze.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod., proc. pen., la inosservanza dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione.
Denuncia, in particolare, la insufficienza del riscontro esterno desunto dalla testimonianza di COGNOME, perché l’atto di appello a pag. 6 aveva contestato l’acquisizione della relazione di servizio di altro autore, nonostante la opposizione della difesa dell’imputato, e, dunque, la sua inutilizzabilità. Invece, la Corte d’Appello ha fondato la sua valutazione di attendibilità del teste proprio sulle risultanze della relazione di servizio. Inoltre, non aveva tenuto conto che non era stata accertata la titolarità in capo ad Aziz dell’utenza telefonica che gli era stata attribuita.
Censura, altresì, la contraddittorietà tra la chiamata di correità di COGNOME e le altre dichiarazioni acquisite. Secondo il primo, NOME sarebbe stato presente all’interno della Mercedes che, condotta da COGNOME, scendeva da Vigevano a Bari per il viaggio preparativo, mentre COGNOME non parla di COGNOME e non lo riconosce nemmeno in fotografia; anche COGNOME e COGNOME non riconoscono l’imputato.
Rileva, ancora, la contraddittorietà della chiamata in correità di COGNOME caratterizzata da imprecisioni e incertezze, perché all’udienza del 3.4.2014 aveva riconosciuto COGNOME in foto, ma non era stato in grado di dirne né il nome né la nazionalità, ciò che poi faceva solo alla successiva udienza del 18.12.2014. Tuttavia, tale riconoscimento era inficiato dal fatto, riferito dallo stesso COGNOME, che aveva subito una paralisi al nervo ottico e che non vedeva quasi più da un occhio mentre dall’altro vedeva pochissimo.
Contrastanti tra loro sono da considerarsi anche le dichiarazioni di COGNOME, COGNOME e COGNOME. COGNOME ha riferito che COGNOME era giunto a Bari sulla Mercedes condotta da COGNOME, mentre COGNOME (che era insieme a COGNOME) ha dichiarato che COGNOME era già ad Atene e COGNOME a sua volta ha affermato la presenza di COGNOME nel porto di Bari.
Con requisitoria scritta del 30.9.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, osservando che: in ordine al primo motivo, le doglianze difensive trovano adeguata risposta nelle argomentazioni della sentenza, non essendo necessario che ogni doglianza sia specificamente confutata ove sia logicamente incompatibile con la decisione impugnata, che è peraltro una doppia conforme; in ordine al secondo motivo, il ricorrente sollecita una rilettura delle prove e l’autonoma adozione di parametri diversi di
ricostruzione del fatto, laddove l’interpretazione delle risultanze probatorie attiene al merito e sul punto la motivazione delle sentenze non è inficiata da vizi di macroscopica illogicità, mentre sulla inutilizzabilità della relazione di servizio la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non viola il divieto di testimonianza indiretta dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. il teste che riferisca delle attività di indagine svolte da altro ufficiale di polizia giudiziaria.
In data 12.10.2024, il difensore del ricorrente ha trasmesso una memoria difensiva di replica, all’esito della quale ha reiterato la richiesta di annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Con il primo motivo, si censura che la sentenza di secondo grado abbia omesso di prendere integralmente in considerazione uno dei motivi di appello proposti avverso la sentenza di primo grado, con cui era stato addotto che le dichiarazioni di almeno quattro soggetti smentissero la affermazione della responsabilità penale di Aziz.
All’esame di tale motivo di ricorso, deve premettersi la considerazione che si è in presenza di una c.d. “doppia conforme”, la quale ricorre quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12.6.2019, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16.7.2013, Rv. 257595 – 01).
Sotto questo profilo, la Corte d’Appello di Bari ha dato espressamente atto di giudicare corretto il ragionamento del giudice di primo grado, il quale ha ritenuto la sussistenza della responsabilità del ricorrente sulla base delle complessive risultanze probatorie.
In particolare, il Tribunale collegiale di Bari ha considerato che nei confronti di NOME fossero ravvisabili una pluralità di convergenti chiamate in correità nonché deposizioni testimoniali qualificate, sulla base delle quali potersi affermare che egli fosse il principale organizzatore dell’operazione di immigrazione clandestina dalla Grecia, anche perché riscontrate dalle intercettazioni telefoniche e dagli atti irripetibili di indagine.
La sentenza di primo grado ha dato atto che COGNOME aveva dichiarato di aver conosciuto in Italia COGNOME uno degli organizzatori del trasporto dei clandestini, e di
averlo poi reincontrato direttamente ad Atene dove tramite lui era stato ospitato dal coimputato COGNOME. Ha dato atto, altresì, che a carico di COGNOME militavano anche le dichiarazioni di COGNOME, il quale ha riferito di essere stato ingaggiato proprio dall’odierno ricorrente come interprete. Ha richiamato, ancora, l’interrogatorio dinanzi al g.i.p. di Pollastri, il quale a sua volta aveva inserito nell’organizzazione Aziz, conosciuto in un esercizio pubblico di Vigevano. Quanto all’ispettore COGNOME, poi, la sentenza ha affermato che costui avesse accertato personalmente la presenza di COGNOME nel porto di Bari al momento dell’imbarco per la Grecia con la localizzazione dell’utenza telefonica a lui in uso.
In definitiva, il Tribunale di Bari ha ritenuto provata la responsabilità di COGNOME sulla base delle convergenti chiamate in correità di COGNOME, COGNOME e COGNOME che lo hanno indicato come il principale organizzatore dell’operazione e che sono stati motivatamente giudicati credibili.
La Corte d’Appello di Bari ha poi, a sua volta, precisamente indicato ed esposto gli elementi a carico di COGNOME, individuandoli nelle dichiarazioni dei soggetti indicati anche dalla sentenza di primo grado.
A fronte di ciò, risulta dalla stessa sentenza di secondo grado che con l’atto d’appello l’imputato avesse protestato che dalle dichiarazioni di altri soggetti risultasse la sua estraneità al fatto per cui era stato condannato.
In particolare, era stato rappresentato che: COGNOME NOME aveva escluso la partecipazione di COGNOME alla intera vicenda; COGNOME NOME, che aveva accompagnato il cugino NOME COGNOME in Grecia con un’altra auto, aveva riferito di non riconoscere COGNOME; COGNOME NOME, finanziatore di una delle vetture e procacciatore del furgone, neppure aveva riconosciuto NOME.
A questo proposito, va rilevato, intanto, che dalla sentenza di primo grado risulta che COGNOME e COGNOME, arrestati di ritorno dalla Grecia con il furgone che trasportava i migranti, nel successivo interrogatorio al pubblico ministero fecero anche i nomi di COGNOME, COGNOME e COGNOME, quali complici che avevano procurato il camion e che si erano recati con loro in Grecia: sicché si tratta di imputati in reato connesso, con tutte le conseguenze che ne discendono in termini di valutazione del loro narrato.
In ogni caso, ove anche le dichiarazioni dei tre soggetti indicati nel ricorso contengano divergenze rispetto alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME appare evidente che riguardino parti della ricostruzione del fatto relativamente rilevanti e che eventuali incongruenze non minano la credibilità complessiva dei dichiaranti e la plausibilità dell’intera ricostruzione, come delineata nelle sentenze di merito anche sulla base di riscontri esterni.
Il ricorso evidenzia essenzialmente che COGNOME e COGNOME neghino ovvero non ricordino la presenza di COGNOME a bordo della Mercedes che viaggiò da Vigevano
al porto di Bari. Ma la circostanza che il ricorrente fosse o mano su quella vettura che si è imbarcata dal capoluogo pugliese per la Grecia è di limitata rilevanza in sé, non avendo nemmeno il ricorso contestato le fasi precedenti e quelle successive del coinvolgimento di COGNOME: ove anche non si potesse ritenere provata, ciò non depotenzierebbe decisivamente di attendibilità le chiamate in correità che riguardano la sua responsabilità nell’organizzazione del trasporto illecito di extracomunitari.
Sotto questo profilo, va ribadito che, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata.
Di conseguenza, è irrilevante l’eventuale silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non è necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 3, n. 3239 del 4/10/2022, dep. 2023, Rv. 284061 – 01; Sez. 5, n. 1666 dell’8/7/2014, dep. 2015, Rv. 261730 – 01).
In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), la denunzia dell’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell’8/2/2013, Rv. 254988 – 01).
Quanto al secondo motivo, una parte delle doglianze in esso riportate – e, cioè, quelle relative ancora alle contraddizioni tra le chiamate in correità su cui si è fondata la affermazione di responsabilità di COGNOME e le altre dichiarazioni di scienza acquisite – si possono considerare già disattese sulla base di quanto osservato a proposito del primo motivo di ricorso, in quanto sostanzialmente reiterative.
Rimane la censura relativa alla inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste COGNOME ispettore di polizia, nella parte in cui riferiva nella propria deposizione il contenuto di una relazione di servizio redatta da altri appartenenti alla polizia giudiziaria, tuttavia mai sentiti in dibattimento.
A questo proposito, può essere utilmente richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui non viola il divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen. la deposizione di ufficiale o agente di polizia giudiziaria che riferisca non in merito a dichiarazioni di terzi, ma sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti nello stesso contesto investigativo (Sez. 3, n. 6116 del 14/1/2016, Rv. 266284 – 01; Sez. 6, n. 53174 del 27/9/2028, Rv. 274614 – 01).
Nel resto, il motivo di ricorso si sofferma sulla censura di insufficienza, ai fini della prova delle responsabilità di COGNOME, delle dichiarazioni dei soggetti su cui invece le sentenze di merito hanno fondato la condanna del ricorrente.
Ma si tratta essenzialmente di doglianze che attaccano la persuasività della motivazione e che sollecitano una lettura alternativa dei dati probatori sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti della sentenza, mediante l’attribuzione alle prove di un significato diverso onde giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.
In questo modo, tuttavia, il ricorso richiede al giudice di legittimità una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione, indicati dal ricorrente come dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito: si tratta di una valutazione che è però preclusa nel giudizio di cassazione (Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
Anche il secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere disatteso.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato in quanto complessivamente infondato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18.10.2024