Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44815 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44815 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PAVIA il 11/09/1968
avverso la sentenza del 27 maggio 2024 della CORTE di APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Si dà atto che il ricorso è stato trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’ar 23 co.8 D.L. n. 137/2020 e del successivo art. 8 D.L. 198/2022.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano con sentenza del 27 maggio 2024, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pavia in data 22 settembre 2022 ed appellata dall’imputato NOME COGNOME dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’appellante limitatamente alle condotte precedenti al 26 settembre 2016 per intervenuta prescrizione e, per l’effetto rideterminava la pena inflitta per le residue condotte di appropriazione indebita nella misura di dieci mesi di
reclusione e 450,00 euro di multa; revocava, altresì, le statuizioni civili a seguito della revoca della costituzione della parte civile, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Avverso la predetta decisione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione formulando a tal fine cinque distinti motivi per i quali chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
Con il primo motivo eccepisce ex art. 606, comma 1 lett. B) e C), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 521, 522 e 533, comma 1, cod. proc. pen., nonché degli articoli 593-bis e 605 cod. proc. pen., deducendo che l’affermazione di colpevolezza contenuta nella sentenza impugnata riguarderebbe un episodio (quello relativo alle somme non versate all’agenzia di viaggio dalle coppie COGNOME-Giardini e Capece-Tessara per un viaggio alle Maldive) non contemplato nel capo di imputazione, già ritenuto estraneo alla contestazione dal giudice di primo grado e in ordine al quale non vi sono state modifiche del capo di imputazione. Lamenta, altresì, la manifesta illogicità della motivazione sul punto.
3.1. Con il secondo motivo eccepisce ex art. 606, comma 1 lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 192 e 193, e 533 cod. proc. pen., nonché il vizio motivazionale per mancanza di motivazione o comunque per manifesta illogicità della stessa. Il motivo verte sull’erronea valutazione e la totale disapplicazione del risultato del giudicato civile formale e sostanziale tra NOME COGNOME e la persona offesa NOME COGNOME, formatosi in forza della sentenza n. 1104/2021 della Corte di appello di Milano, sezione lavoro.
3.2. Con il terzo motivo eccepisce ex art. 606, comma 1 lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 81 cpv., e 61 n.7, cod. pen., attesa l’ambiguità e/o l’illogicità della pronuncia circa la sussistenza del reato continuato, la mancata individuazione dei singoli episodi di appropriazione indebita e di quello ritenuto il reato più grave ai fini della continuazione, nonché l’omessa individuazione della data di ultima consumazione dei supposti illeciti. Si evidenzia che tali omissioni della motivazione non consentono la necessaria verifica sulla sanzione applicata, ossia se la pena base individuata corrisponda ai criteri di cui all’articolo 133 cod. pen.; lo stesso dicasi per la determinazione della pena ai sensi dell’articolo 81 cpv., cod. pen., essendo la relativa statuizione assolutamente priva di motivazione in merito all’esatto numero di fatti reato considerati, all’entità de singoli aumenti di pena, né a quanto ammonti la riduzione di pena per effetto delle dichiarate prescrizioni dei fatti commessi in data antecedente al 24 settembre 2016.
Deduce, inoltre, l’ambiguità e l’illogicità della sentenza impugnata quanto all’affermazione dell’aggravante del danno patrimoniale di particolare gravità, la cui entità è stata ritenuta in misura complessiva, senza tener conto che alcuni dei presunti ammanchi/appropriazioni non potevano essere più considerati ai fini dell’aggravante in quanto collegati a condotte considerate poi prescritte.
3.3. Con il quarto motivo eccepisce ex art. 606, comma 1 lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 192, commi 1 e 2, e 533, cod. proc. pen. In particolare, il ricorrente deduce che il reato contestato a COGNOME è quello previsto dall’articolo 646 cod. pen., di cui, però, non è stata fornita la prova al di là di ogni ragionevole dubbio né dal Tribunale di Pavia, né dai giudici della Corte di appello di Milano, che non avrebbero adeguatamente motivato circa le modalità, le circostanze temporali e fattuali mediante le quali il ricorrente si sarebbe appropriato di somme di denaro della RAGIONE_SOCIALE la cui esatta entità non sarebbe stata neppure mai esplicitata.
3.4 Con il quinto motivo eccepisce ex art. 606, comma 1 lett. B) ed E), cod. proc. pen. in riferimento all’art. 163 cod. pen., poiché la sentenza impugnata non avrebbe motivato in ordine alla permanenza della sospensione condizionale della pena, di cui sarebbe meritevole il ricorrente in quanto persona incensurata, rilevando che la sentenza di primo grado subordinava il beneficio al pagamento, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, della provvisionale liquidata in favore delle costituite parti civili, mentre la Corte territoriale ha revocato, come dichiarato in dispositivo, le relative statuizioni civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo di ricorso esso è manifestamente infondato. Dalla lettura della sentenza della Corte di appello (si veda in particolare da fine pag.13 a inizio pag.14) emerge che i giudici di appello hanno escluso che le somme non versate dalle coppie COGNOMECOGNOME e COGNOMECOGNOME per il viaggio alle Maldive siano state oggetto di giudizio, tant’è che sul punto hanno affermato: «In questo caso, in realtà, si verserebbe al più in ipotesi di mala gestio. Invero, la contestazione attiene alla somma versata in contanti dai clienti e mai versata nelle casse della società, considerata negli ammanchi del 2017, quindi già ricompresa nel calcolo ritenuto dal giudice di primo grado». Le condotte di appropriazione indebita oggetto della sentenza impugnata non comprendevano, perciò, le somme non versate all’agenzia
di viaggi RAGIONE_SOCIALE dalle coppie COGNOME
Giardini e COGNOME
COGNOME in ragione della scelta di COGNOME di praticare un ingiusto sconto sul costo del viaggio, che la Corte territoriale ha derubricato come mera ipotesi di mala gestio ad opera dell’imputato nel suo agire come dominus di fatto della citata agenzia di viaggi ove lavorava.
2.1. Quanto al secondo motivo di ricorso relativo alla totale disapplicazione o comunque all’erronea valutazione del risultato del giudicato civile tra COGNOME e la parte civile NOME COGNOME, anche sotto il profilo del travisamento delle prove in atti, giova ricordare la consolidata giurisprudenza di legittimità al riguardo. La Suprema Corte (Sez.3, n.17855 del 19/03/2019, Rv.275702-01) ha affermato il seguente principio: «In tema di prova documentale, le sentenze irrevocabili pronunciate in un giudizio civile o amministrativo non sono vincolanti per il giudice penale che, pertanto, deve valutarle a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. ai fini della prova del fatto in esse accertato. (In motivazione, la Corte ha osservato che, secondo il principio generale fissato dall’art. 2 cod. proc. pen., al giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito e che l’unica disposizione che attribuisce espressamente “efficacia di giudicato” nel processo penale a sentenze extra-penali è l’art. 3, comma 4, cod. proc. pen. con riferimento alla “sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza”)». Ed ancora, sotto diverso profilo, ma in termini del tutto analoghi ha sostenuto che: «L’utilizzo delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ex art. 238-bis cod. proc. pen., riguarda esclusivamente quelle rese in altro procedimento penale e non anche quelle rese in un procedimento civile, adottando i due ordinamenti processuali criteri asimmetrici nella valutazione della prova; pertanto le sentenze di un giudice diverso da quello penale, pur se definitive, non vincolano quest’ultimo, ma, una volta acquisite, sono dal medesimo liberamente valutabili» (così Sez.5, n.41796 del 17/06/2016, Rv.268041-01; conf. Sez.5, n.14042, del 04/03/2013, Rv.254981-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di appello si è attenuta ai suddetti principi, affermando sul punto la correttezza della sentenza del Tribunale di Pavia, in particolare che: «..il giudice di primo grado ha ritenuto vincolante l’accertamento in sede civile rispetto agli effetti propri della sede, escludendo il diritto al risarcimento del danno patrimoniale in favore della parte civile la cui domanda è stata rigettata in via definitiva, non altrettanto ha valutato in ordine alla rilevanza del giudicato civile rispetto all valutazione della responsabilità penale. Peraltro, altrettanto condivisibilmente, la sentenza di primo grado ha escluso il rilievo dei limiti di prova valevoli per il
giudizio civile, ai sensi dell’articolo 193 cod. proc. pen., valutando le risultanze dei provvedimenti giudiziari di quella sede ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen., unitamente a quelli emersi nel corso del dibattimento penale». Nel proseguo, la sentenza ha argomentato, con motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicità e/o contraddittorietà, in ordine alla valutazione delle scritture contabili delle conclusioni espresse dal C.T.U. in sede di causa civile, sostanzialmente negli stessi termini del giudice di primo grado.
Deve essere, peraltro, evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del giudice di prime cure, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13/07/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654-01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell’art. 606 lett. E) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, COGNOME, Rv.273217-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv.253099-01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652-01). Questa Corte, infatti, con orientamento (si veda Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, Rv. 272018-01; Sez. 6, n.19710 del 3/2/2009, Rv. 243636-01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità per il reato di appropriazione indebita aggravata), il vizio di travisamento dei fatti o della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Tanto premesso, rileva il Collegio come nel caso in esame non si versi in ipotesi di travisamento dei fatti o della prova nei termini sopra specificati e Corte di Cassazione – copia non ufficiale
che, peraltro, la Corte di appello, ha fornito adeguate risposte ai motivi di impugnazione, enucleando con chiarezza le condotte illecite del ricorrente. In conclusione, la difesa si duole del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, che in modo congruo ed esaustivo hanno ritenuto la configurabilità del delitto di cui all’art. 646, cod. pen., dichiarando di non condividerlo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, COGNOME, Rv.280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv.265482-01). Per queste ragioni il motivo si presenta come inammissibile.
2.2. Anche il terzo motivo è inammissibile, seppure sotto altri profili. In particolare, con riguardo alla censura relativa all’art. 81, comma secondo, cod. pen., si rileva che essa è stata sollevata per la prima volta con il presente ricorso, non essendo stata formulata prima con i motivi di appello, così violando la regola della cosiddetta catena devolutiva che è il cardine del giudizio impugnatorio.
Con riferimento, invece, alla parte del motivo riguardante il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 61 n.7, cod. pen., su cui la Corte territoriale h argomentato in maniera specifica, si osserva che la difesa, sostanzialmente, non si è confrontata con quanto sostenuto con puntualità dalla sentenza impugnata (si vedano pag.14/15), incorrendo, perciò, nel vizio di aspecificità del motivo di ricorso. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, innanzitutto e indefettibilmente, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo, dunque, va valutata anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità della impugnazione, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01 e Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione).
Va ribadito, dunque, che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni
che contestino, in termini assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino – come nel caso di specie – di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di gravame non sono stati accolti (Sez. 2, n.33580 del 1/08/2023, COGNOME + altri, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv.281521-01; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611-01).
2.3. Con riguardo al quarto motivo, esso risulta inammissibile in quanto anch’esso aspecifico. Come già evidenziato si è di fronte ad una decisione cosiddetta “doppia conforme”, in cui i giudici di merito, adottando i medesimi criteri nella valutazione delle prove, hanno affermato la responsabilità penale del ricorrente con motivazioni adeguate, puntuali e non viziate da contraddittorietà e/o manifesta illogicità.
Il ricorrente ripropone, sotto la veste della possibile violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., le medesime censure, già oggetto dell’atto di appello, circa la fondatezza delle prove accusatorie utilizzate, senza però confrontarsi con le ampie argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. È, quindi, precluso alla Corte di Cassazione di rivalutare nel merito il compendio probatorio, in assenza delle violazioni di legge e dei vizi di motivazione genericamente indicati nel motivo di ricorso.
2.4. Anche il quinto motivo è inammissibile perché manifestamente infondato. Infatti, la Corte di appello in relazione alle statuizioni civili, ha rilevato che il rela motivo dell’atto di appello era assorbito e superato dall’intervenuta revoca della costituzione delle parti civili, specificando che «per tale ragione, deve essere revocata tanto la condanna al risarcimento del danno morale, quanto la subordinazione della pena sospesa al relativo versamento», confermando per il resto, come indicato in dispositivo, la sentenza di primo grado. Sicché risulta che il presente motivo di ricorso non tiene conto di quanto affermato dalla motivazione, ossia che la Corte di appello revocava la statuizione di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale in favore delle parti civili, confermando per il resto la sentenza impugnata, formula che ricomprende, quindi, anche la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta all’imputato.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Preside te