Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29536 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29536 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di appello di Cagliari , sezione distaccata di Sassari ha rigettato l’impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Cagliari e, per l’effetto, ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Nuoro aveva assolto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati di illegale detenzione e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo, fucile o comunque un’arma lunga, e di ricettazione della medesima arma per insussistenza del fatto.
Entrambe le sentenze di merito, con valutazioni conformi, hanno ritenuto priva di adeguato riscontro probatorio la ricostruzione accusatoria secondo cui NOME e NOME COGNOME avevano messo in vendita l’arma di provenienza delittuosa, ricevuta da NOME COGNOME e da NOME COGNOME separatamente giudicati, materialmente consegnandola, in cambio della somma di 1,600 euro versata a titolo di prezzo, a NOME COGNOME presso il distributore di benzina IP, in località NOME COGNOME lungo la SS 389 bis in agro di Mamoiada.
Rispondendo ai rilievi dell’atto di gravame del Pubblico ministero, la Corte distrettuale, premesso che gli elementi dedotti, di natura prettamente indiziaria e spesso privi di aggancio nel materiale probatorio utilizzabile per la decisione, non avevano forza dimostrativa per superare l’alternativa ricostruzione cui era pervenuto il Tribunale e, anzi, finivano per sollecitare una lettura della vicenda del tutto congetturale.
Più nel dettaglio ha osservato:
le intercettazioni telefoniche intercorse tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel periodo dal 12 al 19 febbraio 2016, dimostrano, a tutto concedere, che gli interlocutori si sono accordati sullo scambio di “qualcosa”, probabilmente un’arma, senza tuttavia fornire elementi utili sia per individuarne le caratteristiche e le modalità con cui sarebbe stata da lì a poco consegnata all’acquirente, sia per identificare in NOME COGNOME la persona che avrebbe dovuto riceverla. Alla luce della genericità delle informazioni è, dunque, impossibile veri ti are la
corrispondenza tra il progetto delittuoso oggetto dei dialoghi e gli avvenimenti osservati dalla polizia giudiziaria presso il rifornitore di NOME COGNOME. L’unico dato certo che può trarsi dalle conversazioni, ossia l’importo del prezzo della concordata compravendita nella misura di 1.600,00 euro, apparentemente conforme al versamento effettuato dal NOME sulla carta PostePay del COGNOME dopo l’incontro con COGNOME, non è dirimente perché suscettibile di interpretazione alternativa parimenti plausibile/
nessun affidamento può porsi sulla “diretta constatazione” della consegna dell’arma da parte della polizia giudiziaria perché le dichiarazioni rese sul punto dagli operatori che hanno eseguito l’attività investigativa sono intrinsecamente contraddittorie ed inverosimili, rendendo inconsistenti le accuse formulate.
L’appuntato COGNOME e l’appuntato COGNOME hanno ammesso di non essere riusciti a documentare a mezzo riprese fotografiche il momento della cessione dell’arma ed hanno riferito circostanze fortemente condizionate dai preconcetti formatisi in seno all’attività investigativa espletata in precedenza.
A prescindere dalle pur insuperabili imprecisioni e contraddizioni sulla posizione dalla quale avevano assistito alla consegna dell’arma a COGNOME nel corso dell’appostamento, è decisivo osservare che, a fronte della concorde affermazione di entrambi di aver personalmente veduto e fotografato il passaggio di un’arma lunga dal COGNOME al COGNOME, con la specificazione che essa arma era stata occultata per mezzo di un telo nero che ne disvelava comunque l’entità e le dimensioni (pari a circa un metro), le foto scattate in concomitanza, anziché comprovare l’assunto, lo hanno smentito.
Sulla scorta di una più attenta osservazione del fascicolo fotografico e degli ingrandimenti prodotti dalla Difesa, è risultato incontrovertibile che roggetto lungo” descritto dagli appuntati ed indicato nelle foto altro non era che un elemento dello sfondo, sempre presente, a seconda delle diverse angolazioni, in tutte le foto riproduttive di un’aiuola o fioriera davanti alla quale era transitato COGNOME.
Non è certa l’identificazione nella persona di COGNOME del conducente del veicolo che, nella prospettazione accusatoria, avrebbe ottenuto la consegna dell’arma.
Non solo nessun investigatore presente ha visivamente identificato COGNOME tra le persone presenti mentre l’intestazione a suo nome del mezzo di trasporto del latte presente presso il distributore di benzina non è elemento dirimente /posto che in esito agli accertamenti compiuti subito dopo l’appostamento presso la sua azienda, COGNOME era stato sorpreso alla guida di un’autocisterna diversa da quella fotografata, a lui parimenti intestata. Né può trarsi la prova della presenza del COGNOME al distributore durante l’appostamento dalla circostanz che lo
stesso interessato, in sede di interrogatorio di garanzia, a domanda del Giudice, avesse risposto “sì forse è stato visto il manico della scopa”, non potendosi escludere che l’imputato si sia limitato, con tale affermazione, a formulare una mera ipotesi, come peraltro suggerisce il fatto che nel corso dell’interrogatorio il COGNOME non ha mai confermato la sua presenza sul posto dove sarebbe avvenuta la consegna dell’arma il 19 febbraio 2016, limitandosi a riferire di essersi spesso rifornito di carburante presso il menzionato distributore IP di aver effettuato in diverse occasioni acquisti di materiale vario, tra cui guanti e scope.
L’importo di 1.600,00 euro, di cui si parla nelle intercettazioni telefoniche tra il COGNOME e il COGNOME NOME nonché in una conversazione tra il COGNOME NOME ed il COGNOME, sia pure con riferimento ad una fattura, effettivamente coincide con importo effettuato sulla carta PostePay del COGNOME dal rifornitore di NOME COGNOME -tuttavia COGNOME – escusso a dibattimento – ha indicato quale verosimile prezzo di un’arma lunga quello di euro 1.200,00/1.300,00 (e non di euro 1.600,00), ascrivendo la somma di 1.600,00 euro di cui al processo ad un pregresso debito del COGNOME nei suoi confronti, stante anche il fatto che quest’ ultimo non era mai stato puntuale nei pagamenti. In ogni caso non risulta dimostrato il pagamento del prezzo da parte dell’acquirente finale COGNOME.
Ricorre il Procuratore generale della Corte di appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari articolando due motivi congiuntamente trattati con cui denuncia vizio di motivazione a mente dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. e violazione di legge processuale a mente dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte territoriale abbia seguito un percorso argomentativo caratterizzato da lacunosità e disorganicità, oltre che da intrinseca contraddittorietà, e non si sia uniformata ai criteri codicistici in tema di valutazione della prova indiziaria, come interpretati dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.
La sentenza impugnata ha erroneamente interpretato il contenuto delle conversazioni intercettate perché si è astenuta dal procedere ad una valutazione unitaria così come sollecitato nell’atto di appello.
Dal testo dei dialoghi, ripkati nel corpo della motivazione, si comprende chiaramente che gli interlocutori hanno portato avanti una trattativa per la cessione di un oggetto, variamente denominato proprio in ragione della sua natura illecita, ma facilmente identificabile con un’arma, che, grazie all’intervento decisivo dei correi NOME COGNOME e NOME COGNOME, in diretto contatto con il fornitore COGNOME, era stata venduta al prezzo di 1.600,00 euro a COGNOME, al quale doveva essere consegnata nel corso di un incontro fissato presso il distributore di benzina
dove era stato predisposto l’appostamento della polizia giudiziaria e sono state scattate le fotografie che dimostrano l’esecuzione dello scambio.
Alla consegna materiale dell’arma è seguito il pagamento del prezzo concordato, con il versamento della somma di 1.600,00 euro, eseguito mediante ricarica, eseguita subito dopo, da un barista della carta PostePay di COGNOME.
La negativa valutazione sull’attendibilità degli operatori che hanno eseguito l’appostamento non tiene conto della precisione del loro narrato, nient’affatto condizionato dalla conoscenza delle risultanze delle indagini compiute fino a quel momento, e dell’acquisizione di riscontri, a cominciare dalle dichiarazioni rese dall’imputato COGNOME.
L’appuntato COGNOME e l’appuntato COGNOME hanno descritto concordemente la dinamica dell’intera scena, precisando ripetutamente di avere direttamente osservato NOME COGNOME prendere dalla macchina un oggetto e consegnarlo a COGNOME.
L’infortunio fotografico”, consistito nella errata indicazione nella didascalia dell’album di un tubo in propilene che stava sullo sfondo come l’arma oggetto dlela consegna, è stato enfatizzato pur non avendo alcuna effettiva rilevanza sul complessivo compendio probatorio se si considera che solo grazie alla percezione visiva di quanto accaduto e non certo a seguito dell’osservazione delle fotografie ancora non stampate, i militari operanti sono stati in grado sin dall’immediatezza di informare i colleghi dandogli l’indicazione di fermare il camion di COGNOME
La presenza di COGNOME al distributore, ammessa, sia pure in termini dubitativi, dallo stesso interessato nell’interrogatorio, è confermata dalla sequenza delle conversazioni telefoniche intercorse con NOME COGNOME, mentre l’avvenuto pagamento del prezzo a parte di COGNOME è l’unica conseguenza logica che può trarsi dal buon esito della trattativa, dalla successiva consegna dell’arma e dalla contestuale ricarica da parte di NOME della carta intestata al fornitore iniziale, COGNOME. In senso contrario non possono valorizzarsi le dichiarazioni di COGNOME, il quale ha reso affermazioni generiche sui prezzi di mercato senza mai smentire quanto affermato nelle indagini preliarmi sul possibile riferimento della somma incassata all’arma ceduta, su intermediazione di COGNOME, ai COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
Occorre premettere che la pronuncia assolutoria avversata è confermativa di quella di primo grado. In tale situazione processuale, come noto, deve applicarsi l’art. 608, comma 1-bis, cod. proc. pen., comma introdotto dall’art., comma 69,
23 giugno 2017, n. 103, secondo il quale “Se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606.
Nel caso di una c.d. doppia conforme di assoluzione, come quello in verifica, non è, quindi, più consentito al pubblico ministero di muovere censure alla motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., potendo ricorrere per cassazione, in sostanza, soltanto per violazione di legge
Non è sufficiente ai fini dell’ammissibilità del ricorso il richiamo tra le censure dedotte al vizio di violazione della legge processuale ai sensi dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. In disparte del mancato sviluppo di tale formale deduzione con specifiche argomentazioni, va ribadito, in continuità con la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione, che le doglianze cui si deduce la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’erronea o comunque inadeguata applicazione dei criteri di valutazione delle prove, anche di natura indiziaria (art. 192, comma 2, cod. proc. pen.), non hanno ad oggetto il vizio di “violazione di legge” né ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, e che, pertanto, può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, RAGIONE_SOCIALE, dep. 2020, Rv. 278196- 02; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271294; Sez. 4, 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 – 02). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’esclusione del potere di ricorso del pubblico ministero, in caso di doppia conforme assolutoria, con riferimento ai soli profili involgenti l’accertamento probatorio e le incongruenze o illogicità della motivazione non è né irragionevole, né sproporzionata. Al contrario, la scelta del legislatore, oltre a rispondere all’esigenza di rispettare il principio di ragionevole durata del processo, previsto all’art. 111, secondo comma, Cost., nonché all’esigenza di deflazione del giudizio di legittimità, è coerente con il rafforzamento del principio della presunzione di non colpevolezza dell’imputato, stabilizzata dall’esito assolutorio dei due gradi di giudizio di merito, con approfondimento di aspetti e di elementi di fatto, non
rivisitabili né riesaminabili in sede di legittimità sotto il profilo delle incongruenz motivazionali, posto che la presenza di due pronunce assolutorie di per sé denota l’esistenza di un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell’imputato (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280631; Sez. 4, n. 53349 del 15/11/2018 NOME, Rv. 274573). La sussistenza o meno della colpevolezza dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio”, secondo quanto richiesto, ai fini della condanna, dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. costituisce la risultante di una valutazione e la previsione di un secondo grado di giurisdizione trova giustificazione proprio nell’opportunità di una verifica piena della correttezza delle valutazioni del giudice di primo grado, sicché il potere di impugnazione riconosciuto al Pubblico Ministero soccombente trova ragione nella necessità di verificare la ricorrenza di possibili errori compiuti dal primo giudice. Pertanto, poiché il secondo grado mira a raggiungere un giudizio di “certezza” sulla colpevolezza dell’imputato, il conforme esito assolutorio dei giudizi di merito rafforza la presunzione di non colpevolezza e, attestando l’esistenza del ragionevole dubbio sul punto, giustifica la riduzione dei margini di impugnazione della pubblica accusa, limitati alla sola violazione di legge (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020 -dep. 12/02/2021-, COGNOME, Rv. 280631 – 01). Proprio in merito al canone di giudizio necessario ai fini della sentenza di condanna, questa Corte ha, inoltre, affermato il principio secondo cui “per effetto del rilievo dato alla introduzione del canone «al di là di ogni ragionevole dubbio», inserito nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139), nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”, posto che “la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza” (Sez. U, n.27620 de128/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Lamentando il ricorso del Procuratore Generale ricorrente, sia nella forma che nella sostanza, un vizio di motivazione, mentre poteva essere proposto solo per violazione di legge, deve esserne dichiarata l’inammissibilità ai sensi dell’art. 608 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso.. Così deciso, in Roma 4 giugno 2024 Il Consigliere estensore