Domicilio Fiscale Reati Tributari: la Cassazione Fa Chiarezza sulla Competenza Territoriale
La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di frodi fiscali: la determinazione del giudice competente. Il caso analizzato riguarda l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e solleva una questione fondamentale: la competenza si radica nella sede operativa dell’azienda o nel suo domicilio fiscale reati tributari? La decisione offre un’interpretazione chiara e rigorosa della normativa, consolidando un principio fondamentale per la difesa e l’accusa in questo tipo di procedimenti.
I Fatti del Processo: Fatture False da una Società Cartiera
Al centro della vicenda vi è l’amministratore di una società a responsabilità limitata, condannato per aver inserito nella dichiarazione fiscale annuale otto fatture relative a operazioni considerate inesistenti. Tali fatture erano state emesse da un’altra società, risultata essere una classica “società cartiera”: priva di una sede reale, con una contabilità incompleta e parte di una più ampia organizzazione fraudolenta. Le fatture, per un imponibile di oltre 347.000 euro e un’IVA di quasi 77.000 euro, attestavano prestazioni lavorative che, secondo l’accusa, non erano mai state fornite.
I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, avevano confermato la colpevolezza dell’imprenditore. Avevano ritenuto provato che la società emittente fosse fittizia e che la società beneficiaria non avesse mai realmente utilizzato il personale indicato nelle fatture, evidenziando anche le modalità anomale con cui erano stati presi i contatti tra le due aziende (tramite un semplice volantino).
Il Ricorso in Cassazione: Tre Motivi di Doglianza
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su tre argomenti principali:
1. Incompetenza Territoriale: Si sosteneva che il tribunale competente non fosse quello del domicilio fiscale (Monza), ma quello della sede operativa (Bergamo), dove l’attività d’impresa veniva concretamente svolta.
2. Vizio di Motivazione sulla Prova: La condanna, secondo il ricorrente, si fondava su mere presunzioni legate alla natura di società cartiera dell’emittente, senza prove concrete che le prestazioni lavorative non fossero state effettivamente rese.
3. Contraddittorietà: Si eccepiva una contraddizione tra il riconoscere la società emittente come una “cartiera” e, al contempo, ipotizzare che avesse realizzato una somministrazione irregolare di manodopera, che presuppone una qualche effettività della prestazione.
La Decisione della Cassazione sul Domicilio Fiscale e Reati Tributari
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettando tutte le argomentazioni difensive e fornendo chiarimenti importanti su ciascun punto.
Il Principio del Domicilio Fiscale per la Competenza
Sul primo e più rilevante motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato in materia di domicilio fiscale reati tributari. L’art. 18, comma 2, del D.Lgs. 74/2000 stabilisce che per i delitti dichiarativi, come l’utilizzo di fatture false, il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il proprio domicilio fiscale. Si tratta di un criterio formale che non ammette deroghe basate sulla localizzazione della sede operativa. La Corte ha specificato che non vi è spazio per interpretazioni alternative: la legge individua nel domicilio fiscale l’unico criterio per radicare la competenza territoriale in questi specifici reati.
La Valutazione della Prova
In merito al secondo motivo, la Cassazione ha sottolineato che la censura del ricorrente era di natura fattuale e, come tale, non ammissibile in sede di legittimità. I giudici di merito avevano adeguatamente motivato la loro decisione, basandosi non su mere presunzioni, ma sull’analisi dell’intera istruttoria dibattimentale. Era emerso che la società dell’imputato non aveva mai impiegato i dipendenti forniti dalla società cartiera e che non vi era alcuna giustificazione economica o organizzativa per ricorrere a un fornitore esterno tramite modalità così anomale.
L’assenza di Contraddittorietà
Infine, la Corte ha smontato anche la presunta contraddizione. I giudici di merito non hanno mai affermato che vi fosse stata un’effettiva prestazione di manodopera. Al contrario, hanno accertato che la società emittente era una cartiera e che le prestazioni fatturate non erano mai state eseguite. L’operazione era fittizia in toto, finalizzata unicamente a creare costi inesistenti per abbattere il carico fiscale.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sul rigore della legge e su un orientamento giurisprudenziale consolidato. La scelta del legislatore di ancorare la competenza al domicilio fiscale per i reati dichiarativi risponde a un’esigenza di certezza giuridica. Il momento consumativo di tali reati coincide con la presentazione della dichiarazione dei redditi, un atto formale che si lega inscindibilmente al domicilio fiscale del contribuente. Qualsiasi altro criterio, come la sede operativa, introdurrebbe elementi di incertezza e potenziale conflitto. La motivazione della Corte, inoltre, evidenzia come il ricorso tentasse di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, chiedendo una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Suprema Corte.
Le conclusioni
La sentenza in esame rafforza un punto fermo nella giurisprudenza sui reati fiscali: la competenza territoriale per i delitti connessi alla dichiarazione dei redditi si determina esclusivamente sulla base del domicilio fiscale. Questa pronuncia serve da monito per gli operatori del diritto, chiarendo che le eccezioni di incompetenza basate su criteri fattuali come la sede operativa sono destinate all’insuccesso. Dal punto di vista sostanziale, la decisione conferma che la prova della natura di “società cartiera” dell’emittente, unita ad altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, è sufficiente a fondare una sentenza di condanna per l’utilizzatore delle fatture false, a meno che quest’ultimo non fornisca una prova rigorosa dell’effettività delle prestazioni ricevute.
Come si determina il tribunale competente per i reati di dichiarazione fiscale fraudolenta?
Per i reati che si consumano con la presentazione della dichiarazione fiscale, come l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, la competenza territoriale è stabilita in base al luogo in cui il contribuente ha il proprio domicilio fiscale, come previsto dall’art. 18 del D.Lgs. 74/2000.
La sede operativa di un’azienda può influenzare la competenza territoriale per i reati tributari?
No, la sentenza chiarisce che per i reati dichiarativi non c’è spazio per derogare al criterio formale del domicilio fiscale. La localizzazione della sede operativa è irrilevante per determinare il giudice competente in questi casi.
È sufficiente provare che la società emittente è una “cartiera” per condannare chi utilizza le sue fatture?
No, ma è un elemento di prova fondamentale. La sentenza sottolinea che i giudici di merito devono accertare che le prestazioni indicate nelle fatture non siano state effettivamente ricevute dal destinatario. Nel caso specifico, è stato provato che i dipendenti menzionati nelle fatture non erano mai stati impiegati dall’azienda dell’imputato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5694 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5694 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Grumello del Monte il 12/05/1952, avverso la sentenza in data 06/02/2024 della Corte di appello di Milano, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udita per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 6 febbraio 2024 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza in data 2 maggio 2023 del Tribunale di Monza, ha revocato la confisca diretta del profitto del reato e ha confermato la condanna per il reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 commesso in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e consistente nellardichiarazione di otto fatture per operazioni inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per un ammontare complessivo di euro 347.696,00 a titolo di imponibile e di euro 76.493,12 a titolo di IVA.
2.L’imputato ricorre per cassazione deducendo la violazione di legge con riferimento all’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000 per essere competente il Tribunale di Bergamo (primo motivo), la violazione di legge per difetto di prova del reato (secondo motivo), il vizio di motivazione perché RAGIONE_SOCIALE era stata considerata una cartiera ma si era ritenuto che avesse realizzato una somministrazione irregolare di manodopera (terzo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è nel complesso infondato. I Giudici di merito hanno ricostruito in fatto che la RAGIONE_SOCIALE, di cui è legale rappresentante NOME COGNOME ha utilizzato nella dichiarazione per l’annualità 2014 otto fatture per operazioni inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, società cartiera, senza sede e uffici, attivata a giugno 2013 con un solo dipendente, diventati quattro a dicembre, che in pochi mesi aveva registrato un volume di affari di euro 500.000 con il triplo dei costi. Le sue scritture contabili erano incomplete ed erano depositate presso lo studio di un ragioniere commercialista che gestiva numerose altre cartiere che facevano parte della medesima organizzazione fraudolenta. Le fatture utilizzate dalla C.G.R. avevano a oggetto le prestazioni lavorative di dipendenti che passavano da una società all’altra del gruppo di cartiere per pochi mesi e recavano indicazioni estremamente generiche. La C.G.R. aveva documentato i suoi rapporti commerciali con i clienti finali, ma non l’utilizzo del personale procurato dalla RAGIONE_SOCIALE, e anzi era emerso che il COGNOME aveva saputo di questa società da un volantino consegnatogli da un procacciatore di affari ed era entrato in contatto con la stessa senza fare verifiche di alcun tipo. I Giudici di merito hanno quindi accertato l’illecita somministrazione di manodopera, dissimulata attraverso fittizie e quanto mai generiche indicazioni inserite nelle fatture di prestazioni di servizi, che poi erano state utilizzate dal COGNOME nella dichiarazione dei redditi della C.G.R. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il primo motivo di ricorso attiene all’eccezione di incompetenza territoriale che è già stata respinta con corretta motivazione giuridica dalla Corte di appello. Il ricorrente ha dedotto che il domicilio fiscale della RAGIONE_SOCIALE era in Verano Brianza, provincia di Monza, mentre la sede operativa era in Chiuduno, in provincia di Bergamo. Pertanto, ha sostenuto che la competenza territoriale spettasse al Tribunale di Bergamo e non a quello di Monza. Sennonché l’art. 18, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che per i delitti del capo I del titolo II, tra cui quel dell’art. 2, il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale per cui correttamente è stata ritenuta la competenza del Tribunale di Monza. La tesi difensiva secondo cui la competenza si radica nel luogo del
domicilio fiscale solo se coincida con la sede operativa non ha riscontro normativo perché per i reati dichiarativi, quale quello in esame, non vi è spazio per deroga al criterio formale del domicilio fiscale (Sez. 3, n. 17702 del 30/01/201 COGNOME, Rv. 275700 – 01).
Il secondo motivo inerisce alla valutazione della prova. Il ricorrente h dedotto la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., sostenendo che la condann fosse fondata non su prove certe, ma su inammissibili presunzioni di secondo grado correlate alla natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE. La censura non ha colto punto focale della decisione. La Corte territoriale ha ribadito che l’istrutt dibattimentale ha consentito di accertare che la C.RAGIONE_SOCIALE. non aveva utilizzato dipendenti della RAGIONE_SOCIALE di cui alle otto fatture. La C.G.R. aveva solo impiegat e non vi era giustificazione dell’utilizzo di ulteriore manodopera reclut attraverso un meccanismo anomalo e cioè il contatto tramite un volantino di un procacciatore di affari con la RAGIONE_SOCIALE con cui il COGNOME aveva avuto labilissi rapporti. La censura è quindi fattuale e generica e come tale esula dalla cognizion del giudice di legittimità.
Il terzo motivo individua una contraddizione tra la fittizietà della cartier l’effettività della prestazione di manodopera da parte della RAGIONE_SOCIALE, ma si fond su un’errata interpretazione delle sentenze di merito che hanno, invece, accertat che la RAGIONE_SOCIALE era una cartiera e che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai utilizzato dipendenti forniti dalla RAGIONE_SOCIALE di cui alle otto fatture esposte in dichiarazio
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso vada rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, il 17 ottobre 2024
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