Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17252 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17252 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1225/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 08/04/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
R.G.N. 5502/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato a Soave il 27/06/1998
avverso l’ordinanza dell’08/01/2025 del Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, avanzata da NOME COGNOME in relazione a titolo esecutivo sospeso a norma dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., sull’assorbente rilievo della inidoneità, ai fini dell’esecuzione della misura alternativa, del domicilio sito in Gela, INDIRIZZO in quanto oggetto di abusiva occupazione.
Ricorre COGNOME per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia.
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. Pen.), sostenendo che il Tribunale di sorveglianza avrebbe fatto riferimento, per negare il beneficio, ad un requisito (quello del domicilio legittimamente posseduto) non previsto dalla legge. La condizione giuridica dell’immobile rappresenterebbe un fattore non influente sul rispetto delle prescrizioni proprie della misura alternativa, che il condannato avrebbe comunque garantito.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il travisamento istruttorio, facendo rilevare di avere indicato come suo domicilio, nell’istanza di concessione della misura alternativa, l’immobile sito in Gela, INDIRIZZO e non quello di INDIRIZZO
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 23550 del 01/12/2022, dep. 2023, COGNOME), da cui non vi è ragione per discostarsi, né la detenzione domiciliare, né l’affidamento in prova al servizio sociale possono essere concessi al condannato che abiti in un immobile occupato abusivamente (anche se fosse in corso una procedura di regolarizzazione dell’occupazione e vi fosse il regolare pagamento del canone di uso dell’appartamento).
Tale principio discende espressamente, rispetto alla detenzione domiciliare, dal combinato disposto dell’art. 47ter , comma 4, Ord. pen., e dell’art. 284, comma 1ter , cod. proc. pen., che espressamente vieta l’esecuzione di tale tipo di misura presso un immobile di quel tipo.
Il divieto appare, tuttavia, ugualmente stringente riguardo all’affidamento in prova al servizio sociale, che presuppone la costante reperibilità del soggetto presso un luogo adeguato all’attuazione del progetto di reinserimento, ove il
servizio sociale possa effettuare, in un quadro di legalità, i previsti interventi ed effettuare i dovuti controlli. Sicché la disponibilità di un domicilio legittimante occupato rappresenta un prerequisito implicito, il cui difetto impedisce qualsiasi ulteriore valutazione di merito circa la condotta del condannato e la prognosi di buon esito della misura alternativa.
Né si vede come una tale prognosi possa essere impostata, a partire da una situazione di illegalità conclamata avente oltretutto rilievo penale.
Il secondo motivo è parimenti infondato, giacché la decisione impugnata ha fatto corretto riferimento, nella valutazione, al domicilio ove, secondo le informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria, il condannato risulta abitare e del quale risulta effettivamente disporre.
Non ha alcun rilievo in proposito l’eventuale diverso domicilio formalmente dichiarato in istanza.
Segue la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’08/04/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME