Dolo Truffa: Quando il Titolare della Carta Risponde Penalmente
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso emblematico di dolo truffa, chiarendo i contorni della responsabilità penale per chi, pur non essendo l’autore materiale dell’inganno, mette a disposizione la propria carta prepagata per ricevere i proventi illeciti. Questa decisione sottolinea come la titolarità di uno strumento di pagamento possa diventare un elemento chiave per dimostrare la consapevole partecipazione al reato.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa, previsto dall’art. 640 del Codice Penale. L’imputato contestava la decisione della Corte d’Appello, sostenendo principalmente la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. A suo dire, non vi era prova della sua intenzione di partecipare alla truffa. Inoltre, lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena.
Il fulcro della vicenda risiedeva nel fatto che l’imputato era il titolare della carta prepagata sulla quale la persona offesa aveva effettuato i pagamenti, cadendo vittima del raggiro. La difesa sosteneva che la mera titolarità della carta non fosse sufficiente a dimostrare un coinvolgimento consapevole nel disegno criminoso.
La Decisione della Corte di Cassazione sul dolo truffa
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso non specifici e, in sostanza, una semplice ripetizione di argomentazioni già respinte dalla Corte di merito. La decisione si fonda su un’analisi logica e rigorosa degli indizi, evidenziando come certi comportamenti omissivi possano assumere un valore probatorio decisivo.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi principali.
Il primo riguarda la dimostrazione del dolo truffa. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente desunto il dolo di concorso dell’imputato da un elemento fattuale incontestabile: egli era il titolare della carta prepagata utilizzata per incassare il denaro. Di fronte a tale circostanza, l’imputato non ha fornito alcuna spiegazione plausibile. Ad esempio, non risultava alcuna denuncia di furto o smarrimento della carta, un’azione che chiunque si trovasse estraneo a movimenti bancari sospetti sul proprio conto avrebbe ragionevolmente intrapreso. La Cassazione ha definito ‘assolutamente inverosimile’ l’ipotesi che l’imputato, accortosi di accrediti sul proprio conto, non si fosse chiesto la causa di tali movimenti e non si fosse attivato per chiarire l’eventuale equivoco. Questa passività, secondo la Corte, è un elemento che ‘depone per una sua compartecipazione al fatto di reato’.
Il secondo pilastro riguarda il diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte ha definito il motivo di ricorso ‘manifestamente infondato’. Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che il giudice di merito, nel motivare il diniego delle attenuanti, non è tenuto a esaminare analiticamente tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti. È sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi, la cui valutazione assorbe e supera tutti gli altri. Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata esente da vizi logici e quindi incensurabile in sede di legittimità.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un importante monito: la titolarità di una carta prepagata non è un fatto neutro. Chi mette a disposizione il proprio strumento di pagamento per la ricezione di somme di provenienza illecita rischia di essere considerato complice nel reato, a meno che non sia in grado di fornire una spiegazione alternativa credibile e verificabile. L’inerzia di fronte a movimenti sospetti sul proprio conto viene interpretata non come semplice negligenza, ma come un indizio grave di consapevolezza e volontà di partecipare al disegno criminoso. La decisione rafforza il principio secondo cui la responsabilità penale può essere desunta anche da comportamenti omissivi che, valutati nel contesto complessivo, rivelano un’adesione al piano illecito altrui.
Essere il titolare di una carta prepagata su cui viene accreditato il profitto di una truffa è sufficiente a dimostrare il dolo?
Sì, secondo la Corte, la titolarità della carta è un elemento cruciale da cui desumere il dolo di concorso, specialmente quando l’imputato non fornisce spiegazioni attendibili (come una denuncia di furto o smarrimento) e risulta inverosimile che non si sia accorto e interrogato sull’origine dei fondi in entrata.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché si limitava a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata, risultando così solo ‘apparente’.
Quando il giudice nega le attenuanti generiche, deve giustificare la sua decisione su ogni singolo elemento a favore dell’imputato?
No. Secondo il principio affermato dalla Corte, è sufficiente che il giudice motivi il diniego facendo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti. Tale valutazione assorbe e supera implicitamente tutti gli altri elementi dedotti dalle parti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24045 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24045 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTICHIARI il 01/11/1958
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME
Ritenuto che il motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 640 cod. pen. per mancanza dell’elemento soggettivo, non è consentito perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
in particolare, la Corte di appello ha ragionevolmente ritenuto di poter desumere il dolo di concorso dell’imputato dalla circostanza che egli fosse il titolare della postepay su cui sono stati effettuati i pagamenti dalla persona offesa (pagg. 3-4 della sentenza impugnata): su questo specifico punto l’imputato omette di fornire una spiegazione attendibile, non essendo tra l’altro pervenuta alcuna denuncia di furto o smarrimento della suddetta carta nei giorni precedenti o successivi alla truffa; inoltre, risulta assolutamente inverosimile che l’imputato, accortosi dei movimenti in entrata sul suo conto, non si sia chiesto quale fosse la causa e si sia adoperato per risolvere eventualmente l’equivoco, elemento questo che depone per una sua compartecipazione al fatto di reato;
Considerato che il secondo motivo di ricorso che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 4 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficie che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 d 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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Presidente