Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5161 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5161 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Genova il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/03/2023 della Corte di appello di Genova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica depositata dal difensore, con cui si è insistito per l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
Depositata in Caneelleiia
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 13 marzo 2023, la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza con la quale NOME COGNOME è stato condannato alle pene di legge in relazione ai plurimi delitti fiscali commessi in qualità di amministratore unico della società “RAGIONE_SOCIALE” ed in particolare: del delitto di cui all’art 8 d.lgs. 74/2000 per aver emesso una fattura per operazioni inesistenti al fine di consentire alla “RAGIONE_SOCIALE” l’evasione delle imposte s redditi e sul valore aggiunto; del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 per aver omesso di presentare la dichiarazione annuale I.V.A. per gli anni d’imposta 2015 e 2016, evadendo imposte per importi superiori alla soglia di punibilità; del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 per avere occultato la documentazione contabile in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari.
Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, l’errata applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il dolo specifico dei summenzionati reati, deducendolo aprioristicamente dalla qualità di amministratore del ricorrente e affermando con mere congetture la natura di “cartiera” della società, senza accertare l’intento di evasione, insussistente in capo al prestanome privo di poteri gestori.
Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed all’eccessivo aumento operato per la continuazione, senza valutare che le condotte criminose risalgono ad un periodo di molto precedente rispetto al breve arco temporale in cui il ricorrente ha ricoperto la carica di amministratore della società.
Il ricorso è inammissibile per genericità, manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite.
4.1. Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, NOME, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzi
di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorre come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logic della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sull rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la sc tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
4.2. Nel caso di specie, la natura di “cartiera” della società amministrata dall’imputato è stata affermata dalle due conformi sentenze di merito, con le cui motivazioni il ricorrente non si confronta, sulla scorta di una ricostruzione fattual non illogicamente motivata e non specificamente contestata in ricorso. Del pari logicamente se ne è conseguentemente dedotta la prova del dolo di evasione per tutti i reati contestati, avendo la sentenza posto inoltre in luce come l’imputato non abbia fornito alcuna alternativa spiegazione rispetto alle contestazioni mosse. Lungi dall’aver ricoperto la carica di amministratore unico soltanto per un mese come invece si deduce in ricorso – le sentenze di merito attestano che l’imputato è stato prima amministratore e poi liquidatore della società dal 1° luglio 2016 quantomeno sino al maggio 2018 quando fu accertato il reato di occultamento della documentazione contabile.
4.3. Quanto alle doglianze concernenti le statuizioni sul trattamento sanzionatorio, è noto che in ordine alle circostanze attenuanti generiche il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fi della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Del resto, premesso che in tema di
attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460). E’ quanto nella specie avvenuto, essendo manifestamente infondati i rilievi critici contenuti in ricorso, che poggiano sul già escluso contenuto periodo di amministrazione della società da parte dell’imputato e su un preteso limitato apporto alle condotte criminose che non trova in realtà conforto nella ricostruzione operata dai giudici di merito.
Quanto alla determinazione della pena, le doglianze sono del tutto generiche, posto che la pena base per il più grave reato è stata determinata nel minimo edittale mentre sono stati assolutamente contenuti – e non illogicamente motivati – gli aumenti applicati per la continuazione con gli altri reati.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023.