Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30290 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30290 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME
Sent. n. sez. 634/2025 UP – 09/04/2025 R.G.N. 42620/2024
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Massa Marittima il 05/12/1969,
avverso la sentenza del 20/06/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 20 giugno 2024 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza in data 8 aprile 2022 del Tribunale di Grosseto, ha ridotto la pena irrogata ad NOME COGNOME per il reato dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione a causa dell’invalidità del contratto di compravendita che aveva dato luogo al tributo evaso (primo motivo) e per l’assenza di dolo specifico (secondo motivo).
Presenta una memoria in cui ribadisce le sue ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato.
NOME COGNOME Ł stato condannato, perchØ, in qualità di amministratore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE di cui era anche socio unico, nella dichiarazione dei redditi 2013, al fine di evadere le imposte, aveva omesso di dichiarare un imponibile di euro 697.364,00, derivante da due sopravvenienze attive, che avevano generato un’IRES di euro 191.775,00. La prima sopravvenienza era stata dovuta alla vendita a un dottore commercialista, NOME COGNOME, di un arenile per la somma di euro 700.000 (comprensiva di IVA), cui era seguita l’emissione di fatture professionali di pari importo da parte di questi al fratello di COGNOME, debito che la società si era accollato con un atto di espromissione. La seconda sopravvenienza era stata dovuta alla ripetizione in bilancio dei ratei passivi per euro 128.851,04, importo pari a quello dell’anno precedente, a dimostrazione che la società non aveva sostenuto finanziariamente i costi imputati al bilancio 2011. L’omessa indicazione di tali voci aveva determinato l’evasione dell’IRES, fatto pacificamente accertato.
L’imputato ha contestato con il primo motivo di ricorso solo la prima sopravvenienza, osservando che la Corte territoriale non aveva tenuto conto della circostanza che si era formata in seguito a una vendita invalida perchØ frutto di un’estorsione. La censura Ł fattuale e rivalutativa e, come tale, inammissibile. La Corte di appello ha affrontato la questione a pag. 6 e 7 della sentenza impugnata, ha evidenziato che la sentenza di primo grado aveva assolto COGNOME dall’accusa di estorsione, e ha escluso profili di invalidità del contratto, precisando anche non era stato denunciato nessun atto costrittivo e che la conclusione dell’esposto, comunque fumoso, era stata quella del raggiro, nemmeno esplicitato nelle sue modalità concrete . La motivazione non Ł manifestamente illogica o contraddittoria ed esula, quindi, dal perimetro cognitivo del giudice di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso ha sostenuto la carenza assoluta di motivazione sul dolo specifico. La Corte di appello ha, però, precisato che l’omessa dichiarazione dei ricavi, cui per giunta era seguito l’omesso versamento dell’imposta, aveva dimostrato in sØ il dolo di evasione perchØ non vi era un’incertezza nell’interpretazione delle norme tributarie e l’imputato non aveva offerto alcuna plausibile giustificazione del suo comportamento. La motivazione Ł adeguata e in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui la prova del GLYPHdolo GLYPHspecifico di evasione può legittimamente desumersi dal comportamento successivo alla perpetrazione del reato, costituito dal mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, posto che il principio del libero convincimento del giudice non soffre distinzioni fra natura materiale e psicologica dei fatti emersi dal processo e oggetto di valutazione ai fini del convincimento stesso (Sez. 3, n. 36765 del 30/05/2024, Ferrara, Rv. 286999 – 02).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, 09/04/2025
Il Presidente NOME COGNOME NOME