Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44507 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CONVERSINI NOME nata a Vimercate il 26/03/1976
avverso la sentenza del 11/12/2023 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nell ‘ accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell ‘ 11 dicembre 2023, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Monza del 22 giugno 2012, appellata da NOME COGNOME che era stata condannata in primo grado dal Tribunale di Monza alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge e con confisca diretta e, in subordine, per equivalente di beni o denaro fino a concorrenza della somma di 89.532,00 euro, profitto del reato di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, alla stessa
ascritto per avere, nella qua lità di legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, omesso di presentare, in relazione all’anno di imposta 2015, la dichiarazione a fini IRES per l’importo di cui sopra, fatto commesso in data 30/09/2016 .
Avverso la predetta sentenza la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando sei motivi, di seguito illustrati nei limiti attinenti alla motivazione ex art. 173, disp. Att. cod proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di motivazione in relazione all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., e correlato vizio di violazione della legge processuale in relazione agli artt. 521, comma 2, e 522, cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa del ricorrente dopo aver richiamato e riportato il capo di imputazione in cui viene contestato all’imputata di aver omesso di presentare la dichiarazione fini Ires evadendo quest’ultima per l’importo indicato, sostiene che il capo di imputazione avrebbe omesso qualsiasi cenno al fatto che la mancata presentazione della dichiarazione Ires sarebbe stata preordinata all’evasione di imposta. L’utilizzo del gerundio del verbo evadere esprimerebbe oggettivamente solo una relazione di contestualità tra l’omessa presentazione della dichiarazione e l’evasione dell’imposta, ma non già una relazione di preordinazione strumentale, nell’atteggiamento psicologico del reo, della prima rispetto alla seconda, nonostante che il delitto contestato sia un reato a dolo specifico, come desumibile dal tenore letterale della norma che richiede il fine di evadere le imposte. Si era quindi sostenuto davanti al primo giudice che il capo d’imputazione enunciava e contestava un fatto nella sua dimensione storica ed empirica di accadimento naturale privo di rilievo penale, con conseguente richiesta di proscioglimento per non essere il fatto previsto dalla legge come reato. In relazione a tale profilo, osserva la ricorrente come il primo giudice, pur avendo convenuto sulla essenzialità del dolo specifico ai fini dell’integrazione del reato, avrebbe però travisato l’argomentazione difensiva motivando in modo contraddittorio ed illogico, al punto da qualificare la motivazione come meramente apparente, in quanto il tribunale, pur riconoscendo che l’argomentazione spesa dal difensore prescindeva dal merito probatorio, dall’altro non ne avrebbe affrontato la sostanza e gli effetti che ne derivano, limitandosi ad affermare il carattere apodittico, e senza soffermarsi sull’ogge ttivo tenore letterale del capo di imputazione. In sede di appello si era, altresì, osservato che la condanna aveva determinato anche una palese violazione del principio di correlazione, con conseguente nullità della sentenza, essendo stato accertato un fatto composto da tutti gli elementi tipici e necessari del reato in esame, laddove quello contestato nell’imputazione ne differiva, essendo privo della componente psicologica della preordinazione dell’omessa presentazione della dichiarazione Ires all’evasione d’imposta. Attesa, pertanto, la diversità tra fatto accertato e contestato, si era richiesto l’annullamento della sentenza al primo giudice ai sensi dell’articolo 604 del codice di
procedura penale. La sentenza impugnata, pur cogliendo il senso dell’argomentazione difensiva – avendo ammesso una certa sinteticità del capo di imputazione – ha tuttavia rigettato l’eccezione di nullità, argomentando in maniera contraddittoria ed illogica, in quanto sostiene che, pur in assenza di un’espressa enunciazione del l’elemento psicologico del dolo specifico costituito dal fine di evasione, quest’ultimo sarebbe comunque ricavabile dal complessivo tenore del capo di imputazione, richiamando a tal proposito due argomenti entrambi manifestamente illogici: il primo secondo cui vi sarebbe una generale ed amplissima casistica delle contestazioni per i reati in esame, motivazione questa censurabile in quanto richiamerebbe un fatto notorio in relazione al quale non vi sarebbe alcun grado di certezza da apparire incontestabile; il secondo, in base al quale non sarebbe indispensabile nè imposto da alcuna norma che il capo di imputazione elenchi dettagliatamente tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata. Anche tale argomento sarebbe censurabile in quanto inconferente e comunque affetto da contraddittorietà della motivazione per travisamento del motivo di impugnazione, il quale non lamentava la aspecificità o la genericità dell’enunciazione del fatto, ma semplicemente prendeva atto che il fatto contestato, inteso nella sua dimensione di accadimento naturale, non era sovrapponibile con la fattispecie astratta e indicata dall’articolo 5, non ricomprendendo la sua enunciazione un elemento tipico e necessario ai fini dell’integrazione del reato, donde la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale. A giudizio della difesa, mentre tutti i singoli elementi che sotto il profilo della tipicità compongono la fattispecie di reato evocata devono essere necessariamente ciascuno enunciati, l’onere di dettagliarli potrebbe attenuarsi al più con riguardo alla specifica descrizione di ognuno degli stessi. Nel caso in esame si verserebbe, però, fuori dai confini del cosiddetto spazio di tollerabilità in quanto il profilo denunciato non verte sulla carenza di dettaglio relativa alla enunciazione di un singolo componente tipico e necessario del reato evocato, bensì sulla sua integrale omissione, non enunciando e non contestando l’elemento di dolo specifico del reato in esame, costituito dalla condotta psicologica della preordinazione dell’omessa presentazione della dichiarazione Ires all’evasione. Quanto sopra determinerebbe anche la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e sentenza, in quanto è evidente la diversità tra un fatto penalmente neutro, quale quello oggetto di contestazione, e un fatto di rilievo penale, quale sarebbe quello accertato. Si insiste pertanto sull’annullamento senza rinvio della decisione per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, sotto plurimi profili, in punto di prova dell’elemento materiale del reato di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 20000, costituito dalla sussistenza dell’obbligazione RAGIONE_SOCIALE a carico della RAGIONE_SOCIALE relativa all’anno di imposta 2015 per un importo sopra soglia penale, con conseguente violazione degli artt. 533, comma 1, cod. proc. pen., 546, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. quanto ai dati probatori richiamati espressamente nei m otivi d’appello, nonché in relazione alla mancata osservanza della norma extra-penale di cui agli artt. 84 e 109 TUIR.
In sintesi, si osserva anzitutto come all’udienza di discussione svoltasi davanti al tribunale, il difensore aveva concluso per l’assoluzione per insussistenza del fatto, non essendovi prova certa che la società avesse prodotto nell’anno di imposta 2015 risultati reddituali idonei a determinare una obbligazione Ires per importo sopra soglia penale, rilevandosi come non soltanto gli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza erano insufficienti e caratterizzati da marcate lacune, ma anche e soprattutto che erano stati acquisiti elementi probatori idonei ad escludere, o quantomeno a insinuare il ragionevole dubbio in ordine all’effettiva insorgenza dell’obbligazione Ires, in particolare per un ammontare sopra soglia penale. A tal fine, la difesa sostiene di aver rappresentato e dimostrato che, nel biennio 2015-2016, la società già versasse da alcuni anni in precarie condizioni economico-finanziarie sicché, in relazione all’esercizio 2015, la stessa non poteva aver prodotto un bilancio in positivo, capace di generare una obbligazione Ires per un ammontare sopra soglia penale. A tal fine aveva indicato una serie di specifiche circostanze che denotavano inequivocabilmente la grave tensione economico-finanziaria della società. In particolare, i bilanci dapprima in perdita e poi nemmeno presentati, e l’estinzione dei propri debiti verso terzi tramite modalità anomale di pagamento costituite da incassi che, pur spettanti alla società, venivano però in via sistematica integralmente o in larghissima percentuale versati direttamente dai debitori della società nelle mani dei suoi creditori terzi, lasciavano intendere l’esistenza di uno stato di dissesto. Diversamente, si sostiene in ricorso, la Guardia di finanza avrebbe ricostruito il bilancio di esercizio al 31 dicembre 2015 della società unicamente sulla base della differenza tra l’ammontare del prezzo degli immobili venduti in quell’anno dalla società a terzi, e l’ammontare dei corrispettivi dovuti da quest’ultima alla società che ne aveva curato l’esecuzione quale appaltatore. La difesa aveva evidenziato che tale ricostruzione era insufficiente ai fini dell’accertamento di rilievi tributari della vicenda, atteso che gli accertatori avrebbero dovuto verificare l’effettiva sussistenza o meno dell’obbligazione Ires sopra soglia, dovendo in particolare reperire e valutare tutti i costi sostenuti dalla società, in particolare quelli connessi all’operazione cantieristica di Brugherio, non limitandosi a concentrare l’attenzione solo sui corrispettivi in favore dell’appaltatore COGNOME Inoltre, gli accertatori avrebbero dovuto ricostruire i risultati degli esercizi immediatamente precedenti rispetto a quelli attenzionati, anche se non erano stati presentati i bilanci al fine di determinarne le perdite che, per effetto dell’articolo 84 Tuir, dovevano essere riportate in quelli successivi: dunque ulteriori costi e perdite riportate dagli esercizi direttamente precedenti avrebbero determinato un risultato di bilancio tale da escludere l’insorgenza dell’obbligazione Ires, quantomeno per un ammontare superiore alla soglia penale. Si osserva come il primo giudice avrebbe acriticamente
condiviso le conclusioni della Guardia di finanza e non si sarebbe minimamente confrontato con i rilievi sollevati dal difensore. Pur se l’atto d’appello contestava tale modo di procedere, osservandosi come già sulla base della documentazione acquisita agli atti anche la sola deduzione degli oneri accessori al mutuo contratto per finanziare il cantiere di Brugherio, saliti ad oltre 155.000 €, determinavano un risultato Ires sotto soglia penale, ammontante a neanche 48.000 €, i giudici d’appello sarebbero incorsi in un errore argomentativo, sostenendo che tutto quanto affermato dalla difesa sarebbe stato frutto di una mera asserzione priva di fondamento, ciò che tradisce in maniera evidente la violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, atteso che la Corte avrebbe confermato il giudizio accusatorio circa la sussistenza dell’obbligazione Ires sopra soglia non avendo l’imputata fornito prova certa del contrario. Richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte sulla valutazione dell’oltre ogni ragionevole dubbio, osserva la difesa come, poiché la sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo superamento volontario oltre la soglia penale sono elementi costitutivi del reato in esame, la epistemologica falsificazione di questa, propria dell’oltre ogni regole dubbio, avrebbe dovuto indurre i giudici d’appello a valutare non se le prove a discarico fossero certe o meno, bensì se, a fronte di quelle a carico, quelle a discarico fossero o meno idonee a fondare il ragionevole dubbio sugli elementi costitutivi del reato contestato. In sostanza, la Corte d’appello avrebbe ammesso che dall’istruttoria fossero emersi riscontri a favore, tuttavia, anziché ispirare il proprio giudizio all’oltre ogni ragionevole dubbio, il giudice di appello avrebbe preteso la certezza della prova a discarico, invertendo il metodo di falsificazione. Quanto dedotto assumerebbe maggiore rilevanza ove si consideri la valutazione dei giudici d’appello circa la completezza o meno dell’accertamento compiuto dalla Guardia di finanza, atteso che, mentre il tribunale aveva ritenuto tale accertamento come esaustivo, dall’altro la Corte d’appello aveva invece espressamente definito tali accertamenti come forzatamente incompleti, dunque rilevando l’oggettiva incompletezza dell’accertamento e la sua inidoneità a fondare prova certa dell’obbligazione Ires sopra soglia. A fronte di tali indiscussi vizi, emergenti dal provvedimento impugnato, ve ne sarebbero altri ed ulteriori riguardanti i singoli frammenti che compongono l’apparato argomentativo. A tal proposito nel ricorso si evidenziano 9 punti nei quali vi sarebbe il cedimento logico dell’apparato motivazionale della sentenza. Un primo punto riguarderebbe l’affermazione secondo la quale i giudici d’appello – confutando l’argomentazione difensiva secondo cui le vendite degli immobili edificati nel 2011 avrebbero determinato un incasso di poco più di 460.000 € tra il 2012 e il 2013 , l’avevano censurata per aver la difesa dedotto un fatto rimasto non provato a causa del difetto di idonea documentazione di s orta. Si tratterebbe di un’affermazione affetta da vizio motivazionale e di violazione di legge in quanto i giudici non avrebbero considerato che, dal contratto avente ad oggetto le compravendite immobiliari delle unità abitative di Brugherio, a rogiti del notaio Rescio del 29 luglio 2015, tutte le parti
contraenti (e quindi non soltanto la venditrice immobiliare RAGIONE_SOCIALE) avevano dato espressamente atto davanti all’ufficiale rogante che, prima di allora, gli acquirenti avevano ciascuno provveduto a pagare consistenti acconti sul prezzo complessivo, in particolare direttamente nelle mani dell’appaltatore RAGIONE_SOCIALE. I giudici d’appello non avrebbero tenuto conto di tale specifico argomento e delle sue risultanze, trincerandosi dietro un generico riferimento a un difetto di idonea documentazione di sorta in proposito. Si tratterebbe dunque di una motivazione non solo apparente, ma che dimostrerebbe il travisamento del significato del motivo di impugnazione, enfatizzando il dato ricavabile dal predetto contratto per il quale ingenti acconti erano stati corrisposti dagli acquirenti in anni e tempi antecedenti alla stipula del contratto medesimo. In realtà nell’atto d’appello, osserva la difesa, si era focalizzata l’attenzione non già sui tempi dei pagamenti del prezzo delle unità abitative, quanto piuttosto sul fatto che gran parte del prezzo era stato corrisposto non alla società di cui era amministratrice l’imputata ma i suoi due creditori, ossia la Libra e la Banca Popolare società cooperativa, e ciò a dimostrazione che la immobiliare non aveva in realtà ottenuto alcun guadagno od utile dall’operazione. Tra l’altro si stigmatizza la circostanza che, nel frammento motivazionale, la sentenza aveva anche accentuato ulteriormente il diffuso e generale vizio attinente la violazione dell’oltre ogni ragionevole dubbio, richiamando la circostanza per cui l’imputata avrebbe del tutto omesso di tenere le scritture contabili e persino una sua contabilità di massima dal 2012 e, pertanto, avrebbe omesso di presentare i bilanci: osserva a tal proposito la difesa come, secondo pacifica giurisprudenza, ai fini dell’accertamento dei reati tributari occorre privilegiare il riscontro sull’ an e sul quantum dell’imposta evasa, fondandolo su elementi sostanziali piuttosto che su meri dati formali contabili, attribuendo ai primi un rilievo probatorio preponderante anche su quelli eventualmente difformi di questi ultimi. Un secondo profilo di censura investe poi l’affermazione secondo la quale non vi sarebbero elementi di certezza in ordine alle asserite condizioni di difficoltà aziendale, non sempre integranti una crisi di liquidità rilevante in senso penale, che non sarebbero state provate semplicemente mediante il ricorso alla deposizione testimoniale di soggetti interessati come il congiunto dell’imputato. Secondo la difesa tale affermazione sarebbe inficiata da contraddittorietà sotto il profilo del travisamento probatorio e da violazione di legge processuale in quanto tali condizioni di difficoltà non solo erano state provate attraverso il richiamo alla deposizione testimoniale del fratello dell’imputato, ma anche attraverso ulteriori plurimi circostanziali riscontri in gran parte di natura documentale, in relazione ai quali i giudici d’appello avrebbero omesso ogni confutazione. I relativi riscontri probatori erano stati analiticamente richiamati nelle premesse dell’atto di appello, tant’è che nel motivo di impugnazione si osservava come i dati degli ultimi bilanci presentati e le fragili e precarie condizioni economiche e finanziarie della società avrebbero sostanziato, in assenza di approfondimenti sul punto, il pur ragionevole dubbio circa l’effettiva sussistenza ed il quantum dell’obbligazione Ires enunciata a carico della
ricorrente. Un terzo profilo oggetto di censura riguarda poi un ulteriore vizio di contraddittorietà della motivazione sotto il profilo del travisamento dei motivi di gravame, laddove si sostiene che non sarebbe stata data la prova di una crisi di liquidità rilevante in senso penale. A tal proposito, osserva la difesa del ricorrente, come tale crisi di liquidità era stata allegata per rappresentare le ragioni per cui la società non aveva provveduto al pagamento delle competenze professionali dello studio commercialista cui aveva affidato la propria contabilità e l’espletamento dei relativi e connessi adempimenti, peraltro evidenziandosi come la Corte d’appello, nel ritenere non provate le asserite condizioni di difficoltà aziendali, si sarebbe discostata completamente dalla valutazione probatoria a tal riguardo operata da parte del Tribunale di Monza. Vi sarebbe poi un ulteriore quarto profilo di censura da poter muovere nei confronti della motivazione della sentenza in esame, ancora una volta sotto il profilo del travisamento del dato probatorio, non avendo mai contes tato l’imputata l’ammontare di poco più di 721.000 € dei corrispettivi in favore dell’appaltatore Libra e il fatto che tale somma sia stata interamente dedotta dall’imponibile ad opera dell’organo accertatore, e ciò in quanto, a fronte della prova costitui ta dalle fatture di vendita ammontanti a poco più di 1.050.000 €, l’imputata non aveva mai inteso affermare che il prezzo complessivo di quelle compravendite ammontasse a 320.000 €, ma solo che, al momento del rogito, residuasse un saldo per tale somma che veniva dunque allora pagata dagli acquirenti. Inoltre, nel rogito del 2015, il notaio aveva espressamente dato atto che, al momento della stipula, il prezzo per circa 700.000 € era già stato corrisposto in precedenza e che gli acquirenti, a saldo, avevano corrisposto il alla Banca Popolare società cooperativa, ciascuno per quanto di competenza, la restante minor somma del prezzo mediante assegni circolari. Con riferimento poi ad un ulteriore passaggio motivazionale in cui la Corte d’appello svolge le proprie critiche nei confronti della società per non aver dichiarato e contabilizzato né correttamente imputato a bilancio pagamenti ottenuti negli anni precedenti, lasciando che gli stessi si cristallizzassero in atti che risultano tutti soltanto emessi nel 2015, la difesa del ricorrente osserva come la Corte d’appello al riguardo non avrebbe tenuto conto di quanto stabilito dell’articolo 109 del Tuir, il quale afferma che i corrispettivi delle cessioni di immobili e le relative spese si considerano rispettivamente conseguiti e sostenute alla data di stipulazione dell’atto notarile. In altri termini, viene attribuito rilievo ai fini della norma incriminatrice ad una disposizione la quale stabilisce i criteri per determinare nel singolo caso in disamina la sussistenza o meno di uno degli elementi materiali tipici del reato in questione e, quindi, smentisce l’argomentazione dei giudici territoriali secondo cui gli elementi attivi e passivi attinenti la compravendita immobiliare, pur insorti negli esercizi precedenti rispetto a quello durante il quale è stato stipulato l’atto di trasferimento della proprietà, dovrebbero essere imputati ai primi e non a quello in corso al momento della sottoscrizione del rogito. Ulteriore profilo di doglianza investe l’affermazione secondo la quale l’importo percepito che avrebbe determinato le accertate
plusvalenze del 2015 sarebbe stato direttamente versato alla banca per debiti inerenti alla compravendita piuttosto che per compensare differenti partite di debito e credito non inerenti dette operazioni. Secondo la difesa, la Corte avrebbe riconosciuto una risultanza probatoria a discarico ma, anziché valutare se la stessa potesse fondare un ragionevole dubbio sull’elemento materiale dell’obbligazione Ires, si sarebbe premurata di sottoporla a falsificazione, contrapponendole ipotesi alternative non suffragate da emergenze istruttorie, lamentandone la mancata contabilizzazione formale. Tale passaggio argomentativo sarebbe dunque affetto dal vizio di travisamento che si innesta in argomentazioni con cui la Corte d’appello avrebbe cercato di confutare l’allegazione difensiva per cui il mutuo acceso dalla società presso il Credito Bergamasco sarebbe stato stipulato per finanziare il cantiere sito in Brugherio. Sul punto si osserva come i giudici d’appello avrebbero incredibilmente confuso l’importo di oltre 300.000 €, pari a quanto corrisposto dagli acquirenti, quale ultima tranche del pagamento del prezzo, con la somma di poco più di 89.000 € che quota invece il quantum di imposta Ires asse ritamente evasa. Tale travisamento avrebbe aperto ad un ulteriore vizio di travisamento probatorio in quanto non corrisponderebbe al vero l’affermazione secondo la quale, in base al verbale di sequestro, la somma di 89.532 € asseritamente risalente all’ult ima tranche del pagamento, sarebbe stata rinvenuta sul conto corrente della società è sottoposta a vincolo presso il Banco Bpm. Quanto sopra sarebbe apertamente smentito dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca, da cui emerge come nessuna somma venne rinvenuta sul conto corrente della società, tant’è che vennero sequestrate per equivalente le quote di comproprietà del 50% della imputata su due immobili di Brugherio stimate complessivamente 98.000 €. Quanto sopra rende pertanto evidente che, non es sendo stato possibile disporre la confisca diretta sul conto corrente della società, non venne in realtà rinvenuto alcun saldo attivo. Viene poi individuato un ulteriore settimo profilo di cedimento logico-argomentativo della sentenza laddove i giudici avrebbero omesso di valutare alcune significative circostanze che avrebbero suffragato la tesi per cui il debito assunto dalla società verso l’istituto di credito era strettamente legato ad un mutuo acceso per finanziare il cantiere sito a Brugherio. Qui il vizio motivazionale sarebbe particolarmente pregnante, in quanto la Corte d’appello avrebbe dubitato della specifica e diretta riconducibilità del mutuo acceso presso il Credito Bergamasco all’operazione commerciale del cantiere di Brugherio, ma poche pagine dopo avrebbe invece affermato con certezza che il mutuo ipotecario era stato destinato al pagamento dell’appalto RAGIONE_SOCIALE, il che evidenzierebbe il vizio di motivazione manifestamente illogica per contraddittorietà intrinseca. A tale vizio si aggiungerebbe anche la violazione di legge, in quanto il costo a norma dell’articolo 109 Tuir costituisce un componente passivo del reddito ed è deducibile sulla base della sua generale inerenza e riconducibilità all’attività di impresa nel suo complesso, a prescindere che sia stato sostenuto per una specifica operazione piuttosto che per un’altra. Un ottavo profilo di doglianza investe poi l’affermazione secondo cui non
sarebbe stata fornita la prova che i precedenti costi, in virtù del mutuo ipotecario, non fossero già stati dedotti nelle dichiarazioni fiscali precedenti del 2011, 2012 e 2013, con conseguente incertezza sulla loro imputabilità all’esercizio 2015. Anche tale affermazione sarebbe affetta dal vizio motivazionale e dal vizio di violazione di legge, segnatamente in relazione all’articolo 109 del Tuir secondo cui i corrispettivi delle cessioni di immobili e le relative spese si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti alla data di stipula dell’atto notarile. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici d’appello, i costi e gli oneri relativi al mutuo ipotecario avrebbero dovuto essere certamente imputati all’esercizio 2015, atteso che la compravendita degli immobili era stata stipulata il 29 luglio dello stesso anno. Quanto sopra, integrerebbe anche il vizio motivazionale posto che le fatture attive dell’Immobiliare RAGIONE_SOCIALE pari a 700.000 € sono tutte antecedenti al 1° gennaio 2015, il che renderebbe contraddittorio il ragionamento della Corte che, invece, ha ritenuto corretto che la Guardia di finanza abbia dedotto integralmente gli importi indisposti in relazione all’esercizio 2015. Infine, un nono profilo di doglianza investe la circostanza di non aver mai la Corte d’appello preso posizione quanto al riscontro operato in sede di appello secondo cui, a fronte di un trend negativo già consolidato nel tempo, la presunzione dell’iniziale pareggio di bilancio del 2015 appariva assolutamente azzardata e ciò perché, ai sensi dell’articolo 84 del Tuir, le perdite di un periodo di imposta possono essere computate in diminuzione dei periodi di imposta successivi in misura non superiore all’80 % del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza. Dunque, la Guardia di finanza avrebbe dovuto attentamente ricostruire i risultati degli esercizi immediatamente precedenti rispetto al 2015, anche se non erano stati presentati i relativi bilanci, così da determinare le perdite che, per effetto dell’articolo 84 citato, dovevano essere riportate negli esercizi successivi, perdite che avrebbero determinato il decremento del dato reddituale del bilancio 2015 e anche la stessa base imponibile Ires, escludendo l’obbligazione tributaria ovvero riducendola sotto soglia penale.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000 e correlato vizio motivazionale in ordine alla consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione Ires a carico della società per il periodo d’imposta indicato sopra soglia.
In sintesi, la motivazione sarebbe censurabile in ordine all’accertamento dell’elemento psicologico del reato. A tal fine si osserva come, in base agli elementi addotti dalla difesa, non vi era prova che l’imputata, sulla base unicamente delle sue conoscenze in ambito contabile e tributario, potesse in alcun modo rappresentarsi la circostanza che si fosse generato un risultato positivo di bilancio utile a determinare un’obbligazione Ires a carico della società per il 2015 e che, addirittura, il proprio ammontare superasse la soglia penale. Censurabile sarebbe in particolare l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale non potrebbe essere affermato con certezza che
l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie da parte dell’imputata fosse stata solo colposa per molti anni e non, viceversa, frutto di un disegno volto a confondere i piani sul piano fiscale oltre che economico delle vicende societarie. Sarebbe evidente proprio in tal punto la violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, in quanto i giudici d’appello non avrebbero disconosciuto che le contingenze del caso insinuavano il dubbio che l’imputata non avesse avuto coscienza effettiva della sussistenza dell’obbligazione Ires e del suo ammontare sopra soglia, ma avrebbero contrapposto il dubbio ‘a carico’ che l’i mputata avesse piena coscienza di tali elementi costitutivi. Tale passaggio argomentativo sarebbe oltremodo censurabile sotto il profilo del travisamento per omissione, in quanto i giudici di appello si sarebbero appuntati solo su uno degli elementi probatori richiamati dalla difesa, ossia la mancata presentazione dei bilanci protrattasi negli anni, ma non avrebbero invece considerato ulteriori elementi, come ad esempio la circostanza che la società non fosse assistita da un professionista per gli adempimenti contabili fiscali nonché il fatto che, già da alcuni esercizi, la società versasse in condizioni economiche e finanziarie del tutto precarie, né tantomeno del fatto che la circostanza, per la quale, nel corso del 2015 la stipula del rogito notarile di compravendita degli immobili di Brugherio, il saldo prezzo fosse stato integralmente versato dagli acquirenti al creditore della società, ossia la Banca Popolare società cooperativa. Vi è poi un secondo profilo di censura sollevato in relazione a tale motivo riguardante il vizio di contraddittorietà della motivazione per travisamento dei motivi di impugnazione, laddove sostiene la difesa come la mancata presentazione dei bilanci della società, a differenza di quanto affermato in sentenza, non sarebbe mai stata richiamata dall’appellante quale giustificazione della sua condotta atta ad escluderne l’antigiuridicità, ma solo quale elemento utile da cui ricavare la prova che l’imputata non avesse effettiva coscienza della sussistenza dell’obbligazione Ires e del suo ammontare sopra soglia.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione in punto di prova dell’elemento psicologico del reato costituito dal dolo specifico.
In sintesi, richiamati i principi fissati dalla giurisprudenza in ordine alla sussistenza necessaria del dolo specifico di evasione nel delitto di omessa dichiarazione nonché sulla necessità di una rigorosa prova di tale elemento, si duole la difesa poiché proprio l’accertamento sull’elemento psicologico del reato sarebbe stato il grande assente di tutto il processo, in quanto soltanto il primo giudice ne avrebbe affermato la sussistenza attraverso argomentazioni illogiche e travisandone le caratteristiche, laddove invece la sentenza d’appello non l’avrebbe nemmeno preso in considerazione nonostante vi fossero una serie di elementi che, nel loro complesso, escludevano l’elemento del dolo specifico prescritto dalla norma incriminatrice e che, pertanto, e soprattutto, escludevano che l’omissione dichiarativa non fosse preordinata ai fini dell’evasione di imposta, tant’è che l’imputata non era riuscita a far fronte all’adempimento, né tramite l’ausilio dei
professionisti, né personalmente, neppure alcuni anni prima, né tantomeno negli anni successivi al 2016 fino ad oggi. Anzi, osserva la difesa, la tesi sostenuta dal primo giudice e velatamente riportata nella sentenza d’appello sarebbe stata sostenibile solo se l’imputata avesse omesso la presentazione della dichiarazione solo nel 2016 per l’esercizio 2015, il che avrebbe potuto lasciare intendere che l’imputata aveva appositamente, per tale annualità, omesso la presentazione della dichiarazione per evadere l’imposta. Diversamente, il giudice di primo grado avrebbe preteso di ritenere provato il dolo specifico proprio alla luce del mancato pagamento dello studio professionale, sicché da tale dato, avrebbe evinto come l’imputata fosse certamente consapevole che non sarebbe stata presentata la dichiarazione annuale e che, a tale inadempienza, conseguiva un’evasione di imposta superiore alla soglia di punibilità prevista. Tale ragionamento era stato contestato in sede di appello, osservando come la circostanza valorizzata dal primo giudice, secondo cui la mancata presentazione della dichiarazione Ires era stata effettivamente determinata dalla dismissione del mandato già prima del 2015, e causata dal mancato assolvimento delle competenze professionali dovute a problematiche economiche, avrebbe escluso radicalmente il dolo specifico prescritto dalla norma incriminatrice e che, in secondo luogo, il primo giudice si sarebbe limitato semplicemente a richiamare elementi a sostegno tuttalpiù di un dolo generico, senza però che i giudici avessero fatto alcun cenno a quella preordinazione in capo all’imputata dell’omessa presentazione della dichiarazione. Sarebbe a tal proposito censurabile l’assoluto silenzio della Corte d’appello, che non avrebbe riservato alcun cenno alla problematica del dolo specifico, salvo che in due paragrafi (paragrafo 4.3 e paragrafo 4.4) in cui sarebbe individuabile un timido accenno a tale profilo. A tal proposito si osserva come, in realtà, la colpa di non aver provveduto alla presentazione della dichiarazione, personalmente ovvero incaricando altro professionista, non varrebbe di per sé sola a fondare gli estremi del fine di evasione, in quanto occorrerebbe comunque un quid pluris , ossia che l’omessa presentazione sia preordinata all’evasione: profilo della preordinazione del tutto trascurato dalla Corte d’appello né tantomeno attraverso la ricerca di elementi utili a riscontrarlo. Tra l’altro, si osserva, i giudici di appello sarebbero incorsi nell’ulteriore vizio motivazionale, avendo circoscritto l’attenzione soltanto ad uno degli elementi a discarico evocati dall’imputata, senza invece tener conto di quegli ulteriori rilievi secondo i quali, a far fronte all’adempimento del deposito dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali, l’imputata non era riuscita neppure alcuni anni prima e neppure vi era riuscita in tutti quelli successivi al 2016. Con riferimento, invece, a quanto affermato nel paragrafo 4.4, secondo capoverso, riguardante l’effettiva conoscenza o meno dell’imputata circa la sussistenza dell’obbligo Ires oltre soglia penale, i giudici sarebbero incorsi in ulteriore vizio motivazionale in quanto si sarebbero limitati a motivare esclusivamente sulla sussistenza del dolo generico della coscienza dell’imputata circa la sussistenza dell’obbligazione Ires sopra soglia, senza tuttavia spendere alcuna
argomentazione in ordine alla sussistenza del fine di evasione né degli elementi idonei a sostenerlo.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
In sintesi, si osserva come la sentenza sarebbe censurabile laddove non ha riconosciuto l’operatività in favore dell’imputata della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità. Si osserva in particolare come, in sede d’appello, con motivi aggiunti, era stata avanzata una richiesta corredata da specifici elementi che avrebbero giustificato il riconoscimento di tale causa di non punibilità. I giudici di appello, dopo aver richiamato quanto argomentato nella memoria contenente i motivi nuovi circa la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità, da un lato avrebbero argomentato in maniera del tutto sbrigativa sul punto ma, dall’altro, e soprattutto, avrebbero contraddittoriamente affermato che, pur essendovi un motivo nuovo costituito dalla particolare tenuità del fatto, nell’assolvere all’onere motivazionale sul punto avrebbero sostenuto che i motivi aggiunti ricalcavano quelli enunciati nell’atto d’appello, dimenticandosi quindi di valutare il motivo nuovo vertente sulla particolare tenuità del fatto ai sensi dell’articolo 131bis del codice penale.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di vi olazione di legge in relazione all’art. 12bis , d. lgs. n. 74 del 2000 ed il correlato vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza ha confermato la confisca nei confronti dell’imputata.
In sintesi, sostiene la difesa che la sentenza dovrebbe comunque essere annullata con riguardo alla statuizione sulla confisca tributaria, avendo in particolare il giudice ordinato la confisca diretta del denaro nella disponibilità della società fino alla concorrenza del profitto del reato nonché, nel caso di impossibilità totale o parziale, la confisca per equivalente di denaro o altri beni nella disponibilità dell’imputata fino a concorrenza della somma costituente il profitto. Nel richiamare quanto affermato nell’atto di appello, la difesa ricorda di aver evidenziato come il primo giudice avesse illegittimamente limitato l’operatività della confisca diretta nei confronti della società, concentrandola unicamente al denaro nella disponibilità della società, così ampliando in maniera illegittima i margini della sussidiarietà della confisca per equivalente a carico dell’imputata. I giudici d’appello avrebbero rigettato il relativo motivo di gravame con un’argomentazione del tutto inconferente e, comunque, con argomentazioni che tradivano un palese travisamento dei fatti. In particolare, il motivo di impugnazione verteva non sull’oggetto della confisca, ossia il profitto del reato tributario identificato con la somma evasa al Fisco, quanto piuttosto sul rapporto tra la confisca diretta del profitto e quella per equivalente, che fissa inderogabilmente l’assoluta sussidiarietà della seconda rispetto alla prima, atteso che la confisca diretta va disposta su tutti i beni indistintamente costituenti il profitto del reato e, solo dopo l’impossibilità di soddisfarne la funzione ripristinatoria-risarcitoria su tutti
tali beni, è legittimo attuare in via residua la confisca per equivalente sui beni nella disponibilità dell’imputato. Erroneamente il giudice di primo grado e la Corte d’appello di Milano avrebbero circoscritto la confisca diretta dei beni unicamente al denaro nella disponibilità della società, dunque così illegittimamente limitando l’operatività della confisca diretta e ampliando la sussidiarietà di quella per equivalente a carico dell’imputata. Del tutto illogica e contraddittoria sarebbe, poi, l’affermazione dei giudici di appello secondo cui tale soluzione sarebbe più garantista nei confronti della società, della quale non verrebbero intaccati altri beni o asset produttivi, e anche favorevole all’imputata stessa, non coinvolta nel vincolo così disposto e che non avrebbe interesse a titolo personale per opporvisi. Diversamente, sostiene la difesa, l’interesse all’impugnazione non può certamente ritenersi insussistente in capo all’imputata, posto che la illegittima estensione della confisca per equivalente a tutti i beni dell’imputata a fronte della illegittima delimitazione della confisca diretta al solo denaro da disporsi nei confronti della società, comporterebbe un maggior pregiudizio nei confronti dell’imputata stessa. Quanto sopra, del resto, evidenzia l’inequivocabile travisamento degli atti relativi al sequestro preventivo disposto ed eseguito dalla Guardia di finanza, in quanto non è vero, come afferma la Corte d’appello, che l’imputata non sarebbe stata coinvolta nel vincolo così disposto, in quanto, proprio dal verbale di esecuzione del sequestro preventivo emerge come, attesa l’incapienza del conto corrente della società, il sequestro era stato eseguito, ai fini della confisca per equivalente, su due immobili in comproprietà dell’imputata, con conseguente pregiudizio nei suoi confronti, atteso che non sarebbe stata disposta la confisca diretta nei confronti della società di ogni altro bene diverso dal denaro costituente profitto del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è fondato nei limiti di cui si dirà oltre.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha rilevato che, dall’esame del capo di imputazione, nonostante la sua sinteticità e la mancata enunciazione esplicita del fine di evasione, peraltro ‘assolutamente usuale nella generale e amplissima casistica delle contestazioni per reati analoghi’, risulta ‘indub biamente chiaro ed evidente il senso dell’accusa elevata’. Il collegio ha aggiunto, quanto alla doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, che l’imputazione contiene tutti gli elementi essenziali e del tutto idonei a consentire all’accusata di conoscere cosa le viene contestato: l’indicazione della società contribuente e del ruolo in essa rivestito
dall’accusata, l’indicazione dell’anno di imposta interessata della tipologia dell’omessa dichiarazione fiscale nonché l’entità esatta nell’ipotizzare conseguente evasione tributaria commessa, da cui deriva ex se l’implicita indicazione l’avvenuto superamento della soglia di punibilità.
La difesa sostiene che nel capo di imputazione è omesso il riferimento al fatto che la mancata presentazione della dichiarazione Ires nell’interesse della società sarebbe stata preordinata dall’imputata all’evasione dell’imposta.
4.1. La censura non ha pregio. Ed infatti, il principio informatore della contestazione dell’accusa è quello di assicurare all’imputato la possibilità di espletare la propria difesa rispetto ad ogni elemento dell’imputazione: se è ben vero, pertanto, che, per giudicare della validità della contestazione, si deve aver riguardo alla specificazione del fatto contenuta nel capo di imputazione, più che all’enunciazione delle norme legislative delle quali si contesta la violazione, è tuttavia indubbio che nessuna nullità è ravvisabile nel caso in cui il fatto sia stato contestato nel suo esatto contenuto materiale, in modo che su di esso e sulle sue caratteristiche non possa essere insorto equivoco.
4.2. Nella specie, la contestazione mossa alla ricorrente, desumibile chiaramente dal capo di imputazione, consiste nell’aver la stessa omesso di presentare la dichiarazione ai fini dell’imposta sui redditi ‘evadendo’ l’IRES dovuta per l’anno di imposta 2015, per un ammontare superiore alla soglia di punibilità indicata dal legislatore.
4.3. L’omissione dichiarativa, dunque, pur non essendo stata riportata letteralmente la formula normativa con templata nell’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000 (i cui estremi sono puntualmente indicati nella rubrica), ossia il riferimento al fine di evadere una delle imposte indicate (‘al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto’), lasciava chiaramente intendere, attraverso l’uso del gerundio (‘evadendo’) che all’omissione dichiarativa era conseguita l’evasione d’imposta.
4.4. Nella specie, in particolare, si assiste all’uso del gerundio proposizionale, che, nell’italiano moderno, ha sempre funzione avver biale e può modificare sia la predicazione, in quanto avverbiale di predicato, sia la proposizione principale, in quanto avverbiale di frase. In particolare, il gerundio impiegato (‘evadendo l’IRES’), collegandosi alla proposizione principale (‘ometteva di presentare la dichiarazione ai fini dell’imposta sui redditi…’) è impiegato in funzione di avverbiale di maniera, segnatamente perché descrive un atteggiamento o una circostanza che accompagna lo svolgimento dell’azione principale. In altri termini l’evasione IRES è l’atteggiamento ( rectius , il comportamento) che si è accompagnato allo svolgimento dell’azione principale, consistente nell’aver omesso di presentare la relativa dichiarazione. In quanto gerundio ‘modale’, indica una condotta successiva (quella di ‘evadere l’IRES’) posta in relazione causale con il comportamento iniziale cui l’azione dell’evadere è collegata, ossia l’omissione
dichiarativa: condotta successiva che, all’evidenza, in considerazione della struttura della fattispecie tipizzata deve essere investita dal dolo, nella specie dal dolo di ‘evasione’.
4.5. Il riferimento, pertanto, al fatto di aver posto in essere la condotta antecedente (ossia l’omissione dichiarativa), che deve essere investita dal dolo generico, ricollegandola, per il predetto nesso di relazione causale, ad un comportamento ad essa legato necessariamente (ossia l’evasione dell’imposta che consegue all’omessa dichiarazione), che deve essere investito in base al ‘tipo normativo’ dal dolo specifico di ‘evasione’, consente di rite nere priva di pregio la censura sollevata. Nella specie, l’inesatta contestazione del capo di imputazione, in cui non è stata riprodotta l’espressione normativa ‘al fine di evadere’, non ha comportato alcuna violazione del diritto di difesa, avendo infatti l’imputata esplicato integralmente le proprie difese in giudizio, come del resto è agevole rendersi conto dalla stessa lettura della sentenza di primo grado (cfr. pag. 4), in cui il giudice, nel rispondere all’eccezione difensiva dello stesso tenore, affronta espressamente la doglianza difensiva, ritenendo sussistere il dolo specifico normativamente richiesto.
4.6. Del resto, si aggiunge, l’invocata assoluzione per non essere il fatto previsto dalla legge come reato (su cui la difesa aveva insistito sin dal primo grado di giudizio) essendo l’elemento psicologico del dolo specifico componente necessario ai fini dell’integrazione del reato, sarebbe potuta conseguire solo ove non già il fatto storico contestato in concreto, ma il fatto giuridico astratto, fosse stato privo di rilievo penale. Per ‘fatto’ deve invero intendersi la fattispecie concreta, cioè quella che realizzi l’ipotesi astratta prevista dalla legge come reato: dunque commetterebbe un errore il giudice che utilizzasse la formula perché il ‘fatto’ non è previsto dalla legge come reato, ove quel fatto concreto, enunciato normativamente mediante il richiamo alla norma violata (nella specie, l’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000), fosse ancora previsto, al momento della pronuncia, dalla ‘legge’ come reato.
4.7. Né, peraltro, può ritenersi nella specie violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che le decisioni di merito hanno condannato la ricorrente proprio per il fatto ‘tipico’ previsto dalla legge come reato, senza alcuna modifica del medesim o nella sua storicità, essendosi infatti difesa la ricorrente dall’imputazione di omissione dichiarativa finalizzata all’evasione d’imposta nel corso del processo, senza che, dunque, possa dirsi integrata alcuna violazione del diritto di difesa. Pacifico, infatti, è nella giurisprudenza di questa Corte che la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza è ravvisabile nel caso in cui il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contenga l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Rv. 284713 -02).
4.8. Nulla di tutto ciò si è verificato nel caso di specie, donde il motivo è inammissibile.
5. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
6. Il motivo, sostanzialmente riproduttivo delle medesime doglianze formulate con l’appello, è da ritenersi manifestamente infondato anche perché il ricorrente non si confronta adeguatamente con la decisione della sentenza impugnata, esponendosi dunque anche al vizio di aspecificità. È infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep. 1998, Rv. 210157 -01).
6.1. Orbene, la Corte d’appello ha rilevato che ‘le prove derivan ti dalla deposizione testimoniale dell’organo accertatore, così come suffragate dal PVC conseguentemente acquisito del tutto legittimamente agli atti, forniscono prova dirimente dell’avvenuta omissione della dichiarazione fiscale’. Il collegio ha aggiunto che ‘si è accertata, sulla base della documentazione disponibile e del tutto lecitamente acquisita presso l’anagrafe tributaria, presso la contribuente stessa e presso il suo partner commerciale, l’esistenza di una plusvalenza derivante da una vendita di immobili: banalmente, tutte le plusvalenze sono considerate ricavi imponibili, nei limiti di quanti da essa eventualmente e lecitamente deducibile’. La Corte d’appello poi ha specificamente analizzato ciascuna argomentazione portata dalla difesa (cfr. pag. 7 e ss.), evidenziando come esse costituiscano mere asserzioni prive di fondamento certo, non provate anche perché ‘l’imputata (ha) omesso del tutto di tenere le scritture obbligatorie persino una propria contabilità di massima fin dal 2012 e, di conseguen za, omesso di presentare bilanci’. In un simile contesto, correttamente e senza violare il riparto degli oneri probatori, il collegio ha sottolineato che l’imputata ‘non ha fornito prova di nulla che potesse contrastare quando rilevato dall’organo accertat ore’, non mancando di evidenziare che comunque tale organo ha considerato i costi di cui è stata trovata prova certa.
6.2. La motivazione, pur nella sua sinteticità, affronta nella sostanza le plurime censure difensive che, tuttavia, non consentono di ritenere superate le argomentazioni svolte dai giudici di merito. È innegabile, anzitutto, che le argomentazioni difensive confliggono con il dato probatorio, emergente inequivocabilmente dagli atti, che l’imputata aveva del tutto omesso di tenere le scritture conta bili obbligatorie e persino
una propria contabilità di massima sin dal 2012, omettendo di presentare i bilanci societari. Il riferimento, dunque, al fatto che per le vendite degli immobili edificati nel 2011 sarebbero stati incassati poco più di 465.000 euro fra il 2012 ed il 2013, è basato sì su un elemento documentale, ossia su quanto contenuto nella copia del rogito notarile siglato 29.07.2015, che tuttavia non trova riscontro in alcun atto ufficiale della società, attesa la mancanza di scritture contabili e dei bilanci societari, che avrebbero potuto attestare la veridicità di quanto affermato dalle parti davanti all’ufficiale rogante, ossia che gli acquirenti avevano provveduto a versare consistenti acconti sul prezzo complessivo, in modo particolare di rettamente nelle mani dell’appaltatore RAGIONE_SOCIALE
6.3. Non sono ravvisabili, inoltre, i dedotti ‘travisamenti’ probatori indicati dalla difesa nel motivo, i quali, peraltro, avrebbero riguardato, nell’ottica difensiva, i riscontri documentali illustrati nelle pagg. 36 e ss. del ricorso, quali la crisi di liquidità e lo stato di difficoltà aziendale o l’esistenza del saldo pari a 320.000 euro alla data del rogito notarile che sarebbe stata pagata dagli acquirenti degli immobili ed incassata dalla banca, richiamando a tal fine una errata interpretazione da parte dei giudici di merito delle norma extra-penali tributarie di cui agli artt. 84 e 109 TUIR. Sul punto è sufficiente evidenziare che, trattandosi di doglianze articolate principalmente sul vizio di motivazione (art.606, co.1, lett.e), la norma, oltre a includere nel novero dei vizi deducibili anche la contraddittorietà della motivazione, si è certamente ampliato l’oggetto materiale della cognizione della Corte, consentendole di valutare il motivo proposto sulla base, non più del solo provvedimento impugnato, ma anche degli atti specificamente indicati dal ricorrente. L’indicazione, come suggerito in dottrina «serve a dare al giudice il luogo processuale dove trovare l’informazione citata»: dunque è autosuffici ente il ricorso che contenga la precisa indicazione topografica degli atti dai quali emerge la fondatezza della doglianza adeguatamente argomentata, in modo da consentire al giudice il facile reperimento degli stessi, senza dispendio di tempo in una ricerca esplorativa di atti solo vagamente invocati. Questa Corte ha, del resto, puntualizzato (Sez. 4, sentenza 24 novembre 2021, n. 46170, Rv. 282702-02) che, «al fine di dare compiutezza all’onere di indicazione, gli atti suscettibili di essere oggetto di valutazione devono essere «specificamente elencati unitamente agli elementi utili allo loro reperibilità nel fascicolo (affoliazione, faldone ecc.), cos ì da renderli facilmente consultabili». Ciò è sicuramente ravvisabile nel caso in esame, dove -fatta eccezione per la copia del rogito notarile del 29 luglio 2015, allegata materialmente al ricorso -tutti i dedotti travisamenti probatori sono stati diligentemente indicati richiamando gli atti prodotti all’udienza del 29 marzo 2022, cui questa Corte ha avuto accesso. Ciò che, tuttavia, rileva, nel caso di specie, è che il dedotto vizio di travisamento probatorio non è deducibile in questa sede, attesa la natura di ‘doppia conforme’ della decisione di condanna, peccando di quella ‘decisività’ che costituisce la condicio sine qua non della rilevanza del dedotto vizio, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di travisamento della prova, desumibile
dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (tra le tante, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 -01).
6.4. Decisività di cui, anche nell’articolazione del motivo di ri corso, non vi è in effetti traccia, essendosi limitata la difesa semplicemente a dedurre plurimi vizi motivazionali di contraddittorietà o di illogicità asseritamente manifesta delle motivazioni del giudice di appello, censurando la mancata o inesatta valutazione degli elementi documentali che avrebbero avuto valenza di riscontro alla tesi difensiva, attingendo la motivazione della sentenza d’appello attraverso una isolata critica dei passaggi argomentativi da essa svolti. Trattasi, all’evidenza di una moda lità di censura già ritenuta inidonea da questa Corte a sollevare adeguatamente il vizio motivazionale, essendosi infatti affermato che il difetto di motivazione, quale causa di annullamento della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei suoi singoli punti, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, sicché, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione risultare anche da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (tra le tante: Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, Rv. 286492 -01).
6.5. Circa, poi, la doglianza della non completa deduzione dei costi che avrebbe inciso sulla determinazione dell’imposta evasa ai fini del superamento della soglia di punibilità, trascura la difesa l’orientamento costante di questa Corte secondo cui in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza (Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Rv. 275856 -01).
6.6. Qua nto, infine, alla violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, è sufficiente in questa sede ribadire che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (tra le tante: Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108 -01): circostanza, nella specie, da escludersi.
Il terzo ed il quarto motivo che, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi meritano congiunto esame -sono fondati.
La Corte d’appello ha considerato l’ipotesi secondo cui l’imputata non si fosse rappresentata, non per propria colpa, l’eventuale superamento della soglia di punibilità a causa della mancata tenuta della propria contabilità. Il collegio ha ritenuto che non era emerso con certezza che l’omessa tenuta delle scritture contabili da parte della prevenuta fosse stata solo colposa ‘e non viceversa frutto di un disegno volto proprio a confondere i fatti sul piano fiscale, oltre che economico delle vicende societarie’. La circostanza che la mancata tenuta delle scritture contabili si fosse protratta per più anni deporrebbe invero logicamente per questa ipotesi a giudizio della Corte territoriale.
8.1. Sul punto, tuttavia, l’argomentazione della Corte di appello secondo cui ‘un comportamento di per sé già illecito, in quanto posto in essere in violazione di ben precise di regole civilistiche, e per di più non si sa affatto quanto casuale (attesa la sua lunghissima protrazione), possa fungere da giustificazione per escludere la penale rilevanza di una condotta costituente reato’ non convince. La motivazione della Corte d’appello, invero, in senso conforme a quanto sostenuto dalla difesa, è assistita da argomentazioni non del tutto scevre da illogicità manifeste e prive di contraddittorietà.
8.2. Ora, se in relazione al richiamo del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio ed alle censurate deduzioni di travisamento probatorio, è sufficiente rinviare a quanto già illustrato a proposito del secondo motivo, tuttavia, l’affermazione secondo la quale la ricorrente, tenuto conto delle sue conoscenze tecniche ordinarie in ambito contabile e tributario, non avrebbe potuto non rappresentarsi la circostanza che si fosse generato un risultato positivo di bilancio utile a det erminare un’obbligazione IRES sopra -soglia, non può superare le censure difensive solo fondandosi sul rilievo che il dolo del reato, che può assumere anche il carattere di dolo eventuale, ben possa essere desunto dalla mancata tenuta pluriennale della contabilità. La Corte d’appello ha valutato, in particolare, anche i rapporti con il commercialista, come aveva già fatto il tribunale, limitandosi ad affermare che la prevenuta ‘a maggior ragione sapendo di essere rimasta priva del commercialista, avrebbe dovuto provvedere a presentare la dichiarazione personalmente, in quanto legale rappresentante della società verificata, ottemperando all’obbligo primario di natura tributaria che le deriva direttamente e personalmente e il fatto di rivestire tale qualità’.
8.3. Si tratta di affermazione che, pur adeguata a sorreggere il giudizio di reità limitatamente all ‘esistenza del dol o (generico) che deve assistere il reato di omessa dichiarazione, non può tuttavia fondare il giudizio di responsabilità con riferimento alla sussistenza del dolo (specifico) di evasione, normativamente richiesto dalla legge laddove necessità, ai fini della punibilità dell ‘agente, della prova del fine di evadere una delle imposte indicate dall ‘art. 5, D.lgs. n. 74 del 2000. Il dolo specifico rilevante per integrare il delitto in questione è infatti rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva e si
aggiunge alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione). Questa Corte ha già affermato che, in tema di omessa dichiarazione, la mera consapevolezza dell’entità dell’imposta evasa non è sufficiente a provare la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurabilità del reato, essendo necessario, a tal fine, che ricorrano elementi ulteriori, quali il mancato pagamento postumo di tale imposta in tempi ragionevoli o la reiterazione dell’omissione per più anni, dai quali possa essere tratta la convinzione che l’omissione sia finalizzata all’evasione (Sez. 3, n. 44170 del 04/07/2023, Rv. 285221 -01), aggiungendosi che, nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272578 -01).
8.4. In ossequio ai richiamati principi giurisprudenziali, se in concreto può ritenersi che l’imputata fosse n elle condizioni di conoscere l’entità dell’imposta evasa ed il correlativo superamento della soglia di punibilità (laddove si consideri che era stata la stessa imputata, come risulta dalla sentenza di prime cure, a confermare le operazioni di compravendita dall’RAGIONE_SOCIALE a tre diversi acquirenti giusta il rogito notarile del 29 luglio 2015, con valore riportato negli atti notarili per oltre 1 milione di euro e che era stata sempre lei a riferire agli operanti della Guardia di Finanza che gli immobili erano stati edificati nel 2011 dalla RAGIONE_SOCIALE cui era stata appaltata l’edificazione ), è lecito, tuttavia, dubitare, con la difesa, che – sebbene il quantum di imposta evasa fosse stato individuato mutuando dati documentali di cui l’imputata era a conoscenza (ivi incluse le fatture per oltre 700.000 euro che l’appaltatrice aveva emesso nei confronti della società dalla stessa amministrata), dunque detraendo dai componenti positivi di reddito non dichiarati, pari agli importi delle compravendite pari ad oltre 1 milione di euro, i componenti negativi di reddito costituiti dall’importo, superiore a 300.000 euro, delle fatture passive della Libra -, il fatto che lo studio del commercialista che si occupava della contabilità e degli adempimenti fiscali societari fosse intervenuto prima del 2015, unito alle modeste conoscenze tributarie dell’imputata, costituissero elementi idonei a porre in dubbio la sussistenza del dolo specifico anche riferito al c.d. sopra -soglia.
8.5. P roprio la consapevolezza da parte dell’imputata che lo studio non si sarebbe occupato di presentare la dichiarazione dei redditi e la difficoltà, per le sue modeste conoscenze, di valutare, sulla base agli elementi documentali conosciuti (ossia l’esistenza di componenti positivi e negativi di reddito), che si sarebbe potuto generare un risultato utile di oltre 300.000 euro, determinando un’evasione di imposta IRES , pone in crisi il ragionamento logico -giuridico della Corte d ‘ appello, che sembra far coincidere il dolo specifico di evasione con il dolo generico ‘ dichiarativo ‘ , così incorrendo in un errore di diritto con riferimento al l’elemento soggettivo normativamente richiesto.
8.6. In tale contesto, peraltro, assume rilievo la circostanza, pure dedotta nel motivo di ricorso, secondo cui i giudici di appello avrebbero ‘travisato per omissione’ il fatto secondo cui l’imputata non fece fronte agli ad empimenti fiscali ed agli obblighi dichiarativi nemmeno negli anni di imposta successivi. Ed infatti, oltre a doversi valutare tale affermazione in senso affermativo ai fini della ‘decisività’ , al fine di porre in crisi l’apparato logico argomentativo della sentenza impugnata, vi è che proprio tale dato, combinato con il dato emergente dagli atti (ossia la mancata presentazione della dichiarazione per l’anno di imposta 2015), mina la prospettazione accusatoria cui hanno aderito i giudici di merito, atteso che la mancata presentazione dei bilanci e delle dichiarazioni per gli anni successivi non assume rilievo sostanzialmente neutro, trattandosi di elemento non valutabile contra reum in quanto dimostrativo della volontà di occultare al Fisco i risultati operativi della società. Ed invero, l ‘ omissione dichiarativa non venne limitata all ‘ anno di imposta 2015, ma ebbe a perpetuarsi negli anni successivi. Tale dato non può tuttavia ritenersi, in base agli elementi fattuali dianzi descritti, come condotta sicuramente funzionale all’evasione delle imposte non solo per il 2015 ma anche per quelli successivi. Corretta appare, sul punto, la lettura ‘liberatoria’ della difesa, ossia quella far discendere da un comportamento non occasionale (ossia il mancato assolvimento degli obblighi fiscali e dichiarativi per l’anno ‘incriminato’ e per quelli successivi), la mancanza di ‘dolo’ in capo all’amministratore. Trattasi, all’evidenza, di ricostruzione alternativa che merita una più attenta valutazione in sede di rinvio, laddove si consideri che la qualifica di amministratore di diritto e la consapevolezza di dover assolvere agli obblighi di legge, avrebbe dovuto improntare la condotta dell’imputata al comportamento che era ragionevole attendersi dal corretto imprenditore, homo eiusdem condicionis et professionis , ossia provvedere all’assolvimento degli obblighi fiscali così da consentire al Fisco di conoscere i risultati operativi della società. La circostanza di non averlo fatto per gli anni successivi a quello contestato, di per sé sola ed in presenza dei dati fattuali dianzi descritti, non è tuttavia idonea a rafforzare logicamente la tesi della preordinazione della condotta all’evasione di imposta in relazione all’anno 2015 , occorrendo infatti una più stringente prova, e ciò è onerato il giudice del rinvio, circa l ‘ effettiva sussistenza del dolo (specifico) di evasione.
La fondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso esime questa Corte dall ‘ esame dei residui motivi (afferenti alla sussistenza della causa di non punibilità di cui all ‘ art. 131bis , cod. pen. ed alla disposta confisca per equivalente) il cui esame richiede venga risolta preliminarmente la quaestio iuris relativa alla configurabilità del reato sotto il profilo soggettivo.
L ‘impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente annullata con rinvio a d altra Sezione della Corte d ‘appell o di Milano affinché colmi il deficit argomentativo
emergente dall ‘impugnata sentenza circa la configurabilità del dolo specifico di evasione che, come già ricordato in precedenza, deve investire anche l ‘elemento costitutivo rappresentato dal superamento della soglia di punibilità normativamente richiesta dalla legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso, il 17 ottobre 2024