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Dolo specifico e reati tributari: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per dichiarazione fraudolenta a carico di un amministratore considerato un ‘prestanome’. La sentenza chiarisce che per configurare il reato non è sufficiente la negligenza o l’omesso controllo, ma è necessaria la prova del dolo specifico, ovvero la coscienza e volontà di evadere le imposte sapendo della falsità delle fatture. La mera assunzione della carica sociale non può fondare una responsabilità penale per posizione.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo Specifico nei Reati Tributari: Essere Amministratore non Basta

Il tema del dolo specifico nei reati tributari è cruciale e la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 37131/2024, lo ribadisce con forza. La Corte ha annullato una condanna per dichiarazione fraudolenta, sottolineando che la colpa di un amministratore, anche se grave, non può essere equiparata all’intento fraudolento richiesto dalla legge. Questo principio tutela dalla cosiddetta ‘responsabilità da posizione’, secondo cui si sarebbe colpevoli solo per il ruolo ricoperto.

I Fatti del Caso

Un amministratore di una società operante nel commercio di materiale telefonico veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver indicato in dichiarazione IVA elementi passivi fittizi per oltre 1,6 milioni di euro, avvalendosi di fatture per operazioni ‘soggettivamente inesistenti’. In pratica, le operazioni commerciali erano reali, ma il fornitore indicato in fattura non era quello effettivo, configurando una tipica frode carosello.

La difesa dell’imputato sosteneva che egli fosse un mero ‘prestanome’, che l’amministrazione di fatto fosse gestita da un’altra persona e che le dichiarazioni fiscali fossero state predisposte dal commercialista. Egli, quindi, non era consapevole della frode.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso alla Corte di Appello per un nuovo giudizio. Il punto centrale della decisione è la carenza di motivazione riguardo all’elemento soggettivo del reato: il dolo specifico.

I giudici di legittimità hanno ritenuto che gli elementi valorizzati dalla Corte di Appello per affermare la colpevolezza – come l’aver accettato la carica per un compenso, l’aver firmato le dichiarazioni senza controlli e l’aver ignorato alcuni ‘campanelli d’allarme’ – fossero indicativi di un comportamento negligente (colpa), ma non sufficienti a dimostrare l’intento fraudolento (dolo).

Le Motivazioni: la Necessaria Prova del Dolo Specifico

La Corte ha operato una distinzione fondamentale. Il reato di dichiarazione fraudolenta richiede un dolo composito:

1. Dolo Generico: La coscienza e volontà di indicare in dichiarazione elementi passivi fittizi. L’agente deve sapere che le fatture si riferiscono a operazioni (oggettivamente o soggettivamente) inesistenti.
2. Dolo Specifico: L’azione deve essere animata dal fine specifico di ‘evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto’.

Nel caso in esame, le operazioni erano effettive e la società era realmente operativa. La Corte ha stabilito che l’accusa non aveva provato come l’amministratore potesse aver tratto la consapevolezza (o almeno il dubbio fondato, rilevante per il dolo eventuale) che il fornitore reale fosse diverso da quello indicato in fattura. L’aver omesso i dovuti controlli sulle fatture, pur essendo un comportamento negligente e sanzionabile, configura un rimprovero per colpa, non per dolo.

Inoltre, la Corte ha smontato la tesi secondo cui l’aver accettato di fare da prestanome fosse di per sé prova del dolo. Tale impostazione, secondo i giudici, si tradurrebbe in una inaccettabile responsabilità di posizione, vietata dall’art. 27 della Costituzione, che sancisce la personalità della responsabilità penale.

Conclusioni

Questa sentenza è di estrema importanza perché riafferma un principio cardine del diritto penale tributario: non c’è reato senza una prova rigorosa dell’elemento psicologico. Condannare un amministratore solo perché ha ricoperto una carica e non ha vigilato a sufficienza significa confondere la colpa con il dolo. Per una condanna per dichiarazione fraudolenta, l’accusa deve dimostrare che l’imputato non solo ha omesso i controlli, ma ha agito con la precisa finalità di evadere le imposte, pienamente consapevole della falsità dei documenti utilizzati. Si tratta di un monito a non cedere a facili automatismi, garantendo che la responsabilità penale sia sempre personale e provata oltre ogni ragionevole dubbio.

Essere un amministratore ‘prestanome’ è sufficiente per essere condannati per reati tributari?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera assunzione della carica sociale, anche a fronte di un compenso e sapendo che la gestione di fatto sarà svolta da altri, non è di per sé sufficiente a fondare una responsabilità penale per dolo. Si tratterebbe di una ‘responsabilità di posizione’, contraria ai principi costituzionali.

Qual è la differenza tra dolo e colpa nel reato di dichiarazione fraudolenta?
La colpa consiste in un comportamento negligente, come l’omissione dei dovuti controlli sulle fatture. Il dolo, invece, richiede la coscienza e la volontà di compiere l’azione illecita (indicare elementi fittizi) con il fine specifico di evadere le imposte. La sentenza chiarisce che provare la negligenza non è sufficiente per dimostrare l’intento fraudolento.

Cosa deve provare l’accusa per dimostrare il dolo specifico in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
L’accusa deve provare che l’amministratore, al momento dell’utilizzo delle fatture, sapeva o almeno accettava il rischio concreto che il fornitore indicato non fosse quello reale, e che abbia agito con lo scopo preciso di evadere le imposte. Non basta dimostrare che avrebbe dovuto sapere se avesse usato l’ordinaria diligenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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