Dolo specifico di evasione: quando le omissioni contabili diventano prova
Nel diritto penale tributario, la dimostrazione del dolo specifico di evasione rappresenta uno degli scogli più complessi per l’accusa. Non è sufficiente provare che un contribuente abbia omesso una dichiarazione o indicato dati non veritieri; è necessario dimostrare che lo abbia fatto con il fine preciso di evadere le imposte. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su quali elementi concreti possano fondare questa prova, rendendo il ricorso del contribuente inammissibile.
Il caso in esame: dall’Appello alla Cassazione
Il caso riguarda un’imprenditrice condannata in primo grado dal Tribunale di Firenze per reati fiscali. La Corte di Appello, pur riformando parzialmente la sentenza riconoscendo le attenuanti generiche e concedendo la sospensione condizionale della pena, aveva confermato la responsabilità penale. L’imputata, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la presunta carenza di motivazione riguardo la sussistenza del dolo specifico di evasione, elemento psicologico necessario per la configurabilità dei reati contestati.
La contestazione del dolo specifico di evasione
La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente identificato l’intento evasivo nella mera constatazione dell’irregolarità dichiarativa e dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. Secondo il ricorrente, sarebbe mancata una verifica rigorosa della volontà finalizzata all’evasione, confondendo la consapevolezza dell’irregolarità con l’intenzione specifica richiesta dalla norma penale. In sostanza, si contestava che la Corte d’Appello avesse desunto il dolo da elementi oggettivi senza approfondire l’aspetto soggettivo.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo infondato e non correttamente argomentato rispetto alla sentenza impugnata. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse, in realtà, fornito una motivazione solida e puntuale.
Il dolo specifico era stato desunto da due elementi cruciali:
1. L’entità del superamento della soglia di punibilità: L’importo evaso era stato considerato ‘non minimo’, un dato oggettivo che, per la sua rilevanza, contribuiva a delineare l’intenzionalità della condotta.
2. La natura ‘unidirezionale’ delle omissioni contabili: Questo è il punto centrale della decisione. I giudici hanno osservato che le omissioni contabili erano ‘sempre e solo da imputarsi a mancata contabilizzazione di ulteriori ricavi’. In altre parole, l’imputata ometteva sistematicamente di registrare solo le entrate, e mai i costi. Questo comportamento selettivo, secondo la Corte, non può essere frutto di una mera negligenza, ma rivela una strategia chiara e finalizzata a ridurre l’imponibile, provando così in modo logico il dolo specifico di evasione.
La Corte ha inoltre precisato che il riferimento, contenuto nella sentenza d’appello, al ‘dolo eventuale’ era da considerarsi un argomento aggiuntivo e marginale, non il fondamento della decisione. La condanna si basava su prove concrete che dimostravano un’intenzione diretta e non una semplice accettazione del rischio di evadere.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nei reati tributari, il dolo specifico di evasione può essere provato anche attraverso elementi presuntivi e logici, purché gravi, precisi e concordanti. Le omissioni contabili ‘unidirezionali’ rappresentano una di queste prove logiche. Quando un imprenditore registra meticolosamente i costi ma ‘dimentica’ sistematicamente i ricavi, è difficile sostenere che si tratti di una svista. Tale condotta, secondo la giurisprudenza consolidata, è un chiaro indicatore della volontà di frodare il fisco. Inoltre, la pronuncia conferma che un ricorso per cassazione, per essere ammissibile, deve confrontarsi specificamente e criticamente con le ragioni della decisione impugnata, senza limitarsi a riproporre genericamente le proprie tesi.
Quando si può considerare provato il dolo specifico di evasione in un reato tributario?
Secondo la sentenza, il dolo specifico di evasione può essere provato attraverso elementi oggettivi e logici, come l’entità significativa dell’imposta evasa e, soprattutto, la natura ‘unidirezionale’ delle omissioni contabili, ovvero la sistematica mancata registrazione dei soli ricavi, che indica una volontà mirata a ridurre l’imponibile.
Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se non affronta direttamente le motivazioni della sentenza precedente?
Sì. La Corte di Cassazione ribadisce che i motivi di ricorso sono inammissibili quando non si confrontano in modo puntuale e completo con le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata. Il ricorrente non può ignorare la motivazione del giudice precedente e limitarsi a riproporre le proprie tesi.
Le omissioni contabili ‘unidirezionali’ possono costituire una prova dell’intento di evadere le tasse?
Sì. La Corte ha ritenuto che la mancata contabilizzazione ‘sempre e solo’ di ulteriori ricavi, a fronte di una corretta registrazione dei costi, sia una motivazione di per sé idonea a sorreggere la prova dell’elemento soggettivo del reato, in quanto tale comportamento selettivo è incompatibile con una mera negligenza e rivela un intento fraudolento.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22895 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22895 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata in Cina il 09/06/1970; nel procedimento a carico della medesima; avverso la sentenza del 14/12/2023 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Firenze del 15.11.2021, riconoscendo le attenuanti generiche e rideterminando la pena finale in anni uno e mesi sei di reclusione e altresì concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Avverso la suindicata sentenza NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un solo motivo di impugnazione.
Deduce la violazione degli artt. 4 e 5 del Dlgs. 74/2000 e vizi di carenza o illogicità della motivazione in ordine alla configurabilità del dolo del reato
contestando la tesi della Corte circa la configurazione quantomeno del dolo eventuale da ritenersi compatibile con il dolo specifico di evasione, richiesto in ordine ai reati ascritti e sopra citati. Nel caso di specie mancherebbe una precisa verifica del dolo specifico di evasione. E non si sarebbe tenuto conto della esistenza di circostanze dissonanti rispetto alla configurazione di tale dolo e, piuttosto, la corte di appello avrebbe identificato il dolo solo nell’accertamento della irregolarità dichiarativa e nella omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile, in assenza di un completo e puntuale confronto con la complessiva sentenza impugnata. Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, i giudici di appello hanno non solo sottolineato la puntuale e concreta ricostruzione da parte del primo giudice delle operazioni imponibili, operata anche alla luce delle dichiarazioni dell’imputata, rese in punto di specificazione della questione di come interpretare il numero di pezzi componenti ogni set di valigie, a seconda degli articoli e delle cifre corrispondentemente indicate, ma hatitt altresì sottolineato l’emersione del dolo specifico sia in ragione dell’entità de superamento della soglia di punibilità, siccome considerata “non minima” per il 2013, e di rilievo per l’anno di imposta del 2014, sia perché le omissioni contabili sono risultate “unidirezionali”, “ossia sempre e solo da imputarsi a mancata contabilizzazione di ulteriori ricavi”. Motivazione, invero, di per sé idonea a sorreggere il punto inerente l’elemento soggettivo, così che il riferimento in sentenza al dolo eventuale comunque sussistente, anche a volere seguire la tesi difensiva dell’avvenuto affidamento della ricorrente al contabile di azienda, assume un mero carattere aggiuntivo e marginale rispetto alla complessiva motivazione. Va in proposito ribadito che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). () Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in
data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso, il 15.04.2025