Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19437 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19437 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Guglionesi il 14-11-1952, avverso la sentenza del 04-04-2024 della Corte di appello di Campobasso; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ; lette le conclusioni trasmesse dall’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 aprile 2024, la Corte di appello di Campobasso confermava la decisione emessa dal Tribunale di Larino il 23 marzo 2023, con la quale NOME COGNOME concesse le attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione tra i fatti contestati, era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole di due episodi del reat o di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capi A e B) e del reato ex art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capo C); i fatti sono stati ascritti al ricorrente nella sua veste di titolare della ditta individuale ‘ RAGIONE_SOCIALE , risultano accertati in Guglionesi il 19 dicembre 2016 e si assumono commessi, rispettivamente, il 30 settembre 2013 (capo A), il 30 settembre 2014 (capo B) e il 31 ottobre 2013 (capo C).
Avverso la sentenza della Corte di appello molisana, COGNOME tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la mancata applicazione degli art. 157 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. e la carenza di motiv azione rispetto all’applicabilità ai reati contestati dell’istituto della prescrizione estintiva , rilevando che alla data di emissione della sentenza impugnata (4 aprile 2024) era maturata la prescrizione decennale dei reati ascritti all’imputato ai capi A e C, consumati rispettivamente il 30 settembre e il 31 ottobre 2013, a nulla rilevando che tali reati siano stati posti in continuazione con quello di cui al capo B, risalente al settembre 2014. Circa il regime della prescrizione applicabile, la Corte di appello è rimasta del tutto silente.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata disattesa la censura sull’insussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati . Sul punto la Corte di appello avrebbe operato un ribaltamento dell’onere probatorio, ritenendo in sostanza che la mera falsità della dichiarazione sia sufficiente ad acclarare anche il dolo di evasione, che invece avrebbe richiesto un approfondimento ulteriore, tanto più ove si consideri che, come risulta dall’atto di accertamento, il fine dell’operazione era quello o di postergare di un trimestre il versamento dell’iva, senza nascondere alcunché, o, alternativamente, di creare uno sconto bancario.
2.1. Con memoria trasmessa il 29 novembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato , nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Iniziando per ragioni di priorità logica dal secondo motivo, deve rilevarsi che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ai capi A, B e C non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2016 dagli operanti della Guardia di Finanza di Termoli nei confronti di tre società, ossia la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE: tutte e tre le imprese facevano capo alla famiglia COGNOME, essendo legale rappresentante delle prime due NOME COGNOME mentre il titolare della ditta individuale era l’odierno ricorrente NOME COGNOME padre di NOME. Tale ditta, impegnata nel trasporto merci su strada, ha cessato la propria attività il 21 maggio 2014 e negli anni 2013 e 2014 non ha avuto personale dipendente (gli ultimi sono stati licenziati nell’ottobre 2012), né ha presentato il modello 770 dei sostituti di imposta .
Tali circostanze sono state ragionevolmente valorizzate dai giudici di merito al fine di ritenere fittizie le fatture, attive e passive, riferibili alla ditta di NOME COGNOME e tale impresa non aveva più la capacità produttiva per poter effettuare le prestazioni economiche sottese alle fatture rilasciate e ricevute dalla ditta, dovendosi peraltro considerare, da un lato, che le fatture in questione sono risultate generiche e indeterminate rispetto alla loro causale e, dall’altro lato, che i soggetti economici nei cui confronti si è svolta la verifica erano clienti e fornitori essendosi in presenza di un intreccio di rapporti rimasti poco chiari anche dal punto di vista contabile, essendo altresì significativo sia che i trasporti fatturati non hanno trovato adeguato riscontro documentale, sia che, in taluni casi, i pagamenti delle prestazioni sono avvenuti con un anomalo anticipo di otto mesi.
Alla luce di tali premesse fattuali, la cui sussistenza non è stata seriamente , i giudici di merito hanno legittimamente ritenuto ascrivibili all’imputato i reati di cui agli art. 2 (capi A e B) e 8 (capo C) del d. lgs. n. 74 del 2000, stante l’inesistenza oggettiva delle operazioni sottostanti alle fatture sa amministrata dal ricorrente. Questa, in particolare, per quanto in questa sede rileva, ha emesso fino al 31 ottobre 2013 false fatture per un imponibile di euro 101.484,88 euro, con iva pari a 21.615,12 euro, mentre ha reso dichiarazioni fiscali fraudolenti relative al 2012 2013, indicando elementi passivi fittizi per l’ammontare, rispettivamente, di 198.896,30 euro di imponibile, oltre iva pari a 41.768,22 euro (annualità 2012) e di 86.776,87 euro di imponibile, oltre iva pari a 18.223,15 euro (annualità 2013).
all’epoca in cui l’uno dell’altro, smentita ex adverso utilizzate ed emesse tra il 2012 e il 2013 dall’impre e al
1.1. Deve ritenersi immune da censure anche il giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo de i reati. Quanto alla fattispecie ex art. 2 del d. lgs. n.
74 del 2000 (capi A e B), deve infatti richiamarsi l ‘ affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 37131 del 04/07/2024, Rv. 287020), secondo cui il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti richiede, sotto il profilo soggettivo, il dolo generico, consistente nella consapevole indicazione, nelle dichiarazioni fiscali relative a imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi passivi della cui fittizietà il soggetto agente sia certo o, comunque, accetti l ‘ eventualità, nonché il dolo specifico di evasione, che rappresenta la finalità che deve animare la condotta del predetto, ma il cui concreto conseguimento non è necessario per il perfezionamento del reato.
C iò posto, l’elemento soggettivo del reato in esame è stato correttamente ritenuto sussistente nel caso di specie, essendo state ragionevolmente rimarcate in tal senso, da un lato, la pluralità delle false fatture annotate e delle ‘ anomalie contabili ‘ riscontrate dagli operanti anche rispetto alla documentazione dei trasporti eseguiti dalla ditta e, dall’altro lato, la circostanza che le dichiarazioni fiscali fraudolente di COGNOME hanno riguardato due distinte annualità di imposta, fermo restando che, come rilevato nella sentenza impugnata, ulteriori finalità, oltre quella di ingannare il Fisco, non sono state adeguatamente comprovate.
Allo stesso modo, anche il reato di cui all’art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 , in maniera non illogica, è stato ritenuto configurabile in ogni sua componente, oggettiva e soggettiva, dovendosi osservare sotto quest’ultimo aspetto che, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 42819 del 01/10/2024, Rv. 287093), in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sussiste il dolo specifico, richiesto per la configurabilità del delitto, nel caso in cui l’emittente, pur perseguendo un proprio interesse, agisca nella consapevolezza che il destinatario intende utilizzare la fattura a fini di evasione fiscale, profilo questo desumibile, oltre che dalla frequenza delle operazioni inesistenti intercorse, anche dalla stretta comunanza familiare tra i legali rappresentanti delle imprese coinvolte nei fatti.
1.2. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, il giudizio delle due conformi sentenze di merito sulla sussistenza dei reati ascritti al ricorrente resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita, peraltro in termini non adeguatamente specifici (rivelando il ricorso palesi limiti di autosufficienza nel richiamo a fonti di prova il cui contenuto non è stato allegato) una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità.
2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al primo motivo. Ed invero, premesso che i reati per cui si procede, in forza della previsione di cui all’art. 17, comma 1 bis , del d. lgs. n. 74 del 2000, si prescrivono in 10 anni, deve rilevarsi che, al momento dell’emissione della sentenza impugnata (4 aprile 2024), non era maturata la prescrizione per alcuna delle due fattispecie contestate, la più risalente delle quali risale al 30 settembre 2013 (capo A), dovendosi aggiungere al predetto termine decennale l’ulteriore periodo di 250 giorni di sospensioni (ovvero dal 5 dicembre 2019 al 9 aprile 2020 per l’ adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze, sospensione calcolata per tutti i 126 giorni, dal 9 aprile 2020 al 1° ottobre 2020 per l’emergenza sanitaria da Covid -19, sospensione calcolata in 64 giorni, e dal 2 dicembre 2021 al 3 febbraio 2022 per legittimo impedimento, sospensione calcolata in 60 giorni), per cui la prescrizione più breve, ossia quella riferita al più risalente reato di cui al capo A, è maturata il 10 giugno 2024. Né rileva la circostanza che la prescrizione sia intervenuta in epoca successiva all ‘ emissione della sentenza impugnata, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque impedita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non conse ntendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase di impugnazione ( cfr. in termini, ex multis , Sez. 7, n. 6935 del 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172).
Alla stregua delle considerazioni svolt e, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere quindi dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 04.12.2024