Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14323 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14323 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
AVV_NOTAIO insiste per raccoglimento del ricorso riportandosi ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 28/02/2018, ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni due di reclusione – inflitta previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonché applicazione della diminuente del rito – che era stata emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli in data 27/11/2014, a seguito della celebrazione del processo secondo le forme del rito abbreviato, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenuti responsabili del reato di bancarotta fraudolenta documentale, commesso nelle rispettive qualità di amministratore e di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, società dichiarata fallita con sentenza del 2012.
La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 21/05/2019, ha annullato la decisione della Corte di appello di Napoli, limitatamente sia al terzo motivo di ricorso, incentrato sul vizio di motivazione quanto alla sussistenza del dolo specifico del reato contestato, sia al quarto motivo – sebbene assorbito dalla fondatezza della sopra detta doglianza – attinente al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna; per l’effetto, la Corte regolatrice ha disposto il rinvio del processo ad altra sezione della medesima Corte di appello, per la celebrazione di un nuovo giudizio in ordine a tali punti.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha ridotto la pena inflitta a NOME COGNOME e NOME COGNOME nella misura di anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno, applicando loro le pene accessorie di cui all’art. 216, quarto comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 per uguale durata e concedendo agli stessi sia il beneficio della sospensione condizionale della pena, sia quello della non menzione della condanna nel certificato spedito, non per ragioni elettorali, a richiesta dei privati.
Ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo del comune difensore AVV_NOTAIO, deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 dìsp. att. cod. proc. pen.
4.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per carenza, illogicità e contraddittorietà dell motivazione, quanto alla configurabilità del dolo specifico postulato dalla ritenuta norma incriminatrice. La Corte territoriale ha tralasciato di considerare, ai fini della
valutazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, !a consistenza del passivo fallimentare; in tal modo, il sillogismo compiuto in punto di dolo specifico risulta omissivo, contraddittorio e illogico. Tale passivo, peraltro, viene esaminato in sede di valutazione circa la possibile concessione del beneficio della non menzione e, a tal fine, viene ritenuto “presumibilmente non rilevante”. Con riferimento all’ulteriore requisito evocativo dell dolo specifico, ossia la distrazion dei beni aziendali, non vi è stato alcun atto genuinamente depauperativo del patrimonio societario, né alcuna significativa condotta di occultamento o dissimulazione. In tema di insussistenza dell’elemento soggettivo, occorre anche tener conto della modesta dimensione assunta dall’organizzazione aziendale (che annoverava solo due dipendenti e aveva rapporti, in via esclusiva, con due istituti bancari) e del ridotto numero di creditori insinuatisi al passivo (nessuno dei quali si è poi costituito parte civile, nel presente processo).
4.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla richiesta – formulata a norma dell’art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689 – avente ad oggetto l’applicazione della sanzione sostitutiva della libertà controllata. Risulta illogica e contraddittoria, infatt motivazione adottata dalla Corte partenopea per rigettare tale richiesta; ciò in primo luogo perché trattasi di soggetti incensurati e, inoltre, in quanto essi sono stati beneficiari della sospensione condizionale della pena, ossia ritenuti meritevoli di un giudizio prognostico positivo.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, dovendosi ritenere assorbito, stante la fondatezza di tale doglianza, il secondo motivo di ricorso.
Come esposto in parte narrativa, la prima censura difensiva attiene al profilo della sussistenza del dolo specifico, con riferimento al quale la Quinta Sezione di questa Corte – in sede di decisione rescindente – aveva chiarito come la sentenza della Corte di appello si fosse impegnata a puntualizzare non essersi concretizzata una mera negligenza – in tal modo contrastando una specifica prospettazione della difesa – ma non avesse poi colmato di contenuti l’affermazione, in ordine alla ritenuta esistenza del dolo specifico; in tal modo, proseguiva la sentenza rescindente, la Corte di appello aveva quasi fatto mostra di ritenere – del tutto impropriamente – che fosse sufficiente il mero dolo generico.
Giudicando in sede di rinvio, la sentenza impugnata è pervenuta alla conclusione della ricorrenza del dolo specifico necessario, ai fini della integrazione del contestato paradigma normativa, fondando tale convincimento sui seguenti indici: – mancanza totale delle scritture contabili, sia di quelle di cui era certa l’esistenza (per esser state esibite alla GDF), sia di quelle inerenti all’anno antecedente, rispetto alla dichiarazione di fallimento, che sarebbero state maggiormente dimostrative dello stato attivo e passivo della società, all’epoca della dichiarazione di fallimento;
– ricorrenza di dati idonei a comprovare l’operatività della società (segnatamente, la Corte distrettuale ha richiamato il fatto che la società fallita avesse due dipendenti, nonché la disponibilità di automezzi verosimilmente funzionanti, il consistente volume d’affari, i rapporti intrattenuti con due differenti istituti banca e, infine, la mancanza di attivo o di cespiti).
3. Occorre allora ricordare come, nell’ambito del reato di bancarotta fraudolenta documentale, la condotta di occultamento delle scritture contabili, figura giuridica che postula il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori consista nella materiale sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, potendosi realizzare anche secondo la modalità della omessa tenuta. Tale condotta rappresenta una fattispecie autonoma e alternativa – in seno alla più ampia previsione dell’art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. – rispetto alla differente condotta che si sostanzia nella fraudolenta tenuta di tali scritture. Quest’ultima integra, infatti, un’ipotesi di reato a dolo generico, che postula un accertamento condotto su libri contabili fisicamente rinvenuti ed esaminati, ad opera degli organi del fallimento (fra tante, si veda Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838).
Questa Corte, altresì, ha ripetutamente chiarito come «In tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali» (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304; sulla necessità che ricorrano significativi indici di fraudolenza, quali – a titolo meramente esemplificativo – il passivo rilevante, l’irreperibili dell’amministratore, o la distrazione dei beni aziendali, si veda Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 28398:3).
I dati evidenziati dalla Corte di appello di Napoli, a sostegno della ritenuta sussistenza del dolo specifico preteso dalla ritenuta fattispecie incriminatrice tipica, rappresentano nulla più che l’elemento materiale del contestato reato, sostanziandosi essi nella totale mancanza delle scritture e nella mera descrizione, sotto il profilo oggettivo, di una determinata situazione aziendale (risolventesi nella presenza di dipendenti e automezzi, nonché nella esistenza di rapporti con due istituti bancari). Affinché possa fondatamente delinearsi il dolo specifico, come detto, è invece necessaria la sussistenza di elementi di maggior pregnanza evocativa.
Ancora a titolo esemplificativo, può valorizzarsi la mancanza delle scritture protrattasi nel corso di diversi esercizi annuali, oppure può venire in rilievo la eventuale distrazione di somme ingenti. Sotto tale ultimo profilo, giova anche precisare la fondatezza del rilievo difensivo di contraddittorietà, formulato nell’atto di impugnazione, laddove viene evidenziato come la sentenza avversata – dopo aver fatto riferimento alla sussistenza di un “danno presumibilmente non rilevante per il ceto creditorio” (così a pag. 8) e, quindi, aver riscontrato l’esistenza di u danno di scarsa entità – ha definito il volume di affari “di importo consistente nell’anno 2007 ed un volume di affari, sia pure ben più contenuto, ancora nell’anno 2011 in cui venne posta in liquidazione”. Parimenti significativi, in punto di sussistenza del dolo specifico, possono rivelarsi altri dati oggettivi, quale la condizione di irreperibilità nella quale versi il fallito, ovvero l’esistenza di u situazione di insolvenza presso una pluralità di creditori.
Trattasi, come sopra accennato, di una carente evidenziazione di dati evocativi, in punto di esistenza di coefficiente psicologico, visto che la Corte territoriale non riesce a oltrepassare la soglia del mero richiamo a elementi di natura oggettiva, in parte perfettamente sovrapponibili all’elemento materiale del ritenuto paradigma normativo, affidando ad essi – in maniera incongrua – la possibilità di emersione del dolo specifico. Elementi, peraltro, contrastati dalla difesa con argomentazioni con le quali la sentenza avversata manca di confrontarsi in modo sostanziale. La difesa, infatti, aveva dedotto la ridotta struttura organizzativa dell’azienda, di cui erano espressione tanto la presenza di soli due dipendenti, quando i rapporti con due soli istituti bancari e il riclottissimo numero di creditori, nessuno dei quali si era costituito parte civile.
La fondatezza del primo motivo, come detto, esime dall’analisi approfondita del secondo. Giova comunque sottolineare l’ammissibilità della richiesta di applicazione in appello delle pene sostitutive ex art. 20-bis cod. pen., in ossequio alla disciplina transitoria contenuta all’art. 95 del d.lgs. n. 150 del 2022 [si ricorda, in proposito, il principio di diritto fissato da Sez. 4, n. 4934
23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751, a mente della quale: «In tema di pene sostitutive, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame o in sede di “motivi nuovi” ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione d’appello»]. Anche sul punto, comunque, non vi è chi non rilevi come la Corte territoriale non espliciti, in maniera compiuta, sulla base di quali elementi ritenga di poter affermare la “personalità negativa” degli imputati; del resto, la prognosi sfavorevole circa l’osservanza delle prescrizioni sembra contrastare – almeno parzialmente – con la previsione di tenore favorevole, su cui si fonda la concessione della sospensione condizionale della pena.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, che procederà a nuovo giudizio, non mancando di valutare anche la eventuale possibilità di riqualificazione giuridica nel reato di bancarotta documentale semplice ex art. 217, secondo comma L. fall.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, 06 febbraio 2024.