Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18132 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18132 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME nato a Manfredonia il 18/12/1954
avverso la sentenza del 23/05/2024 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Pescara con la quale v l’imputato, quale legale rappresentante dell’Associazione sportiva dilettantistica RAGIONE_SOCIALE, era stato condannato in relazione ai reati di cui all’art. 8 d.lgs 1 marzo 2000, n. 74 (capo b) e di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo c) in relazione anno 2016, nonché di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 1) e di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo c) in relazione agli anni 2017 e 2018, alla pena di anni due e mesi di reclusione, sostituita con la detenzione domiciliare.
Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla mancanza di motivazione in relazione al primo motivo di appello inerente al mancato raggiungimento della prova del reato di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare puramente semplicemente le conclusioni della sentenza di primo grado, ritenute logicamente giuridicamente corrette, e avrebbe reso una motivazione apparente a fronte di una specifica contestazione contenuta nei motivi, essendosi limitata ad affermare che le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado fossero condivisibili senza nemmeno indicare i passaggi motivazionali della medesima sentenza a confutazione delle censure proposte. Sulle specifiche doglianze svolte nel primo motivo di appello non avrebbe offerto alcuna motivazione sicché la motivazione sarebbe meramente apparente.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla configurazione del reato di cui all’art. 5 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
Argomento il ricorrente la contraddizione della sentenza impugnata che ha da un lato ritenuto la responsabilità penale in relazione al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e allo stesso tempo anche in relazione al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Secondo il ricorrente, se l’imputato è stato ritenuto colpevole per aver emesso fatture per operazioni inesistenti, non vi sarebbe alcun debito tributario in capo al destinatario, sicché non dovrebbe rispondere del reato di cui all’articolo 5.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla motivazione apparente in punto elemento soggettivo del reato di cui all’art. 5.
La Corte territoriale avrebbe fatto discendere la sussistenza dell’elemento soggettivo nella specie del dolo specifico dalla sola e unica circostanza che l’imputato rivestiva la carica di amministratore della società dell’associazione sportiva, in un contesto in cui l’imputato era privo di qualsivoglia competenza in materia contabile.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’elemento soggettivo dei reati di cui agli artt. 5 e 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 ritenuto sulla base della mera carica sociale rivestita dall’imputato.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in un contesto di precedenti penali risalenti in soggetto di età avanzata.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 163 e 164 cod.pen. considerato che la condanna inflitta nel precedente
procedimento, cumulata con quella di un mese irrogata nel precedente processo penale non supera i limiti edittali previsti dall’articolo 163 cod.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La nullità della sentenza per l’assenza di motivazione, ravvisabile quando il provvedimento giudiziario non contiene un nucleo di argomentazioni pertinenti al caso in concreto dal quale sia evincibile l’iter logico seguito della corte pe addivenire alla decisione del caso concreto, che deve essere percepibile dal lettore (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893), costituisce la sanzione per la violazione del principio costituzionale di cui all’art. 111 comma 6 Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, affinchè soddisfi l’obbligo di cui all’ar 111 Cost, la motivazione dei provvedimenti a contenuto decisorio deve contenere, di regola, «l’esposizione di quanto basti ad individuare il processo logico giuridico che il giudice ha seguito nel pervenire alla risoluzione delle questioni sottoposte al suo esame» (Corte cost. n. 143 del 1976) e ciò per garantire quel controllo sugli atti giurisdizionali adottati dal giudice secondo legge, quale corollario del principi democratico di controllo generalizzato e diffuso sull’amministrazione della giustizia.
Si è chiarito, nella giurisprudenza di legittimità, che l’apparenza della motivazione si configura “soltanto quando sia del tutto avulsa dalla risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro stile o di asserzioni o di proposizione prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutto i casi in cu ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente”(Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 263100; Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682).
Tutto ciò premesso, nel caso in esame, la sentenza non contiene una motivazione apparente e/o inesistente.
La sentenza impugnata, dopo avere ripercorso la decisione di primo grado e aver esposto i motivi di appello, ha reso una motivazione, con cui ha disatteso le censure, che non appare per nulla apparente, secondo i canoni sopra enunciati, essendo evincibile l’iter argomentativo sulla base del quale ha confermato il giudizio di penale responsabilità sufficiente ad esporre le ragioni a fondamento della conferma della statuizione di condanna di primo grado.
A tale riguardo deve osservarsi che la motivazione, per essere effettiva, deve essere letta nel suo complesso, e la congruità della stessa deve essere valutata anche in relazione ai motivi di censura, sicchè se questi riguardano profili di censura meramente riproduttive di censure già risolte dal primo giudice o di
censure manifestamente infondate, deve ritenersi che il giudice abbia disatteso implicitamente le stesse e non sia prospettabile una mancanza di motivazione.
Quanto ai profili di censura sul merito, la sentenza impugnata, sulla scorta della documentazione raccolta nel corso delle indagini e utilizzabile in virtù della scelta del rito abbreviato, ha argomentato che era stato dimostrato che l’Associazione sportiva automobilistica dilettantistica RAGIONE_SOCIALE de l2 quale il COGNOME era rappresentante legale, aveva emesso nell’arco temporale/due anni, fatture per prestazione di servizi genericamente indicati quali “servizi pubblicitari e di “marketing” in favore di due società la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, i cui incassi trasmigravano, poi, dai conti correnti intestat all’associazione a quelli personali del prevenuto che li prelevava successivamente; che le suddette fatture, come descritte nei capi di imputazione B e 2, erano inerenti ad operazioni inesistenti, e ciò non solo per il generico riferimento alla prestazione di servizi pubblicitari, ma anche per il fatto che il ricorrente non aveva fornit idonea documentazione giustificativa a riscontro dell’esistenza dell’assente prestazioni di servizi e anche relativamente ai costi inerenti all’attività esercita Provata la condotta di emissioni per operazioni oggettivamente inesistenti, riteneva, la corte territoriale, dimostrato l’elemento soggettivo del dolo specifico consistente nel perseguire lo scopo da parte dell’emittente di consentire l’evasione fiscale a terzi, tenuto conto tra l’altro che una delle due società, a beneficio del quale erano state emesse le fatture, apparteneva al figlio dell’imputato, non avendo il prevenuto giustificato in altro modo l’emissione delle fatture e avendo lo stesso dichiarato di neppure ricordare i nomi dei clienti.
La motivazione è non solo presente ma anche congrua, da cui la infondatezza del primo motivo sull’affermazione della responsabilità per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Il secondo motivo di ricorso con cui si deduce vizio della motivazione per la contraddittorietà della condanna sia per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti che per il reato di omessa dichiarazione, posto che in caso di operazioni inesistenti non insorgerebbe un debito tributario, è inammissibile perché manifestamente infondato.
Va premesso che in sede di appello il ricorrente aveva dedotto il concorso apparente di norma tra gli artt. 5 e 8 d. Igs. n. 74/2000, mentre ora deduce il vizio di contraddittorietà della motivazione. In ogni caso la censura muove da un errato presupposto giuridico ed è manifestamente infondata.
Questa Corte di legittimità ha con orientamento costante affermato che il delitto di omessa dichiarazione a fini I.V.A. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione
(Sez. 3, n. 32500 del 06/06/2018, Rv. 273697 – 01; Sez. 3, n. 39177 del 4/9/2008, COGNOME, Rv. 241267; Sez. 3, n. 30533 del 15/7/2024, n.m.; Sez. 7, n. 29417 del 24/5/2024, n.m.).
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, con i quali censura la motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato di omessa dichiarazioni a fini Iva di cui ai capi c e 1, relativamente agli anni di imposta 2016 e 2017, sono fondati.
La sentenza impugnata ha argomentato il dolo specifico del reato di omessa presentazione della dichiarazione a fini Iva in ragione della carica sociale di legale rappresentante del soggetto obbligato alla presentazione. Si tratta di motivazione carente.
La giurisprudenza di legittimità, con indirizzo interpretativo ormai consolidato, ha, tra l’altro, affermato che, in tema di reati tributari, la prova dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv. 267022 – 01).
Quanto al caso concreto la motivazione della sentenza impugnata 2 che ha collegato la prova del dolo specifico di evasione alla carica sociale ricoperta dal ricorrente non è congrua alla luce dei principi sopra enunciati, posto che la stessa finisce, con ts:tg5:50 automatismo, per configurare l’elemento soggettivo del reato in termini di non consentito “dolo in re ipsa”.
Sul punto, pertanto, la sentenza va annullata con rinvio per nuovo esame in punto elemento soggettivo del reato.
Il quinto motivo di ricorso che censura il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile.
La corte territoriale ha escluso il riconoscimento delle menzionate attenuanti in ragione dell’assenza di elementi positivi di valutazione in un contesto di elementi negativi di personalità desunti dai precedenti penali. La censura che contesta unicamente il dato della risalenza dei precedenti penali, ma non allega elementi positivi di valutazione, la cui assenza è stata posta a base del relativo diniego, è inammissibile perché generico non censurando l’intera ratio decidendi.
Il sesto e settimo motivo di ricorso sono fondati. La corte territoriale, a fronte di un motivo di appello con cui si avanzava la richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non ha reso alcuna risposta.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia limitatamente ai reati di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e alla concedibilità del beneficio dell sospensione condizionale della pena.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente ai reati di cui all’art. 5 d.lgs 10
2000, n. 74 e alla concedibilità della sospensione condizionale della pena con r per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso 1’11/03/2025