Dolo Ricettazione: la Cassazione traccia il confine con l’incauto acquisto
L’ordinanza n. 46855/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla distinzione tra il delitto di ricettazione e la contravvenzione di incauto acquisto, mettendo al centro dell’analisi il concetto di dolo ricettazione. La Suprema Corte ha chiarito che la consapevole accettazione del rischio sulla provenienza illecita di un bene è sufficiente per integrare il reato più grave, delineando un principio fondamentale per chiunque si trovi ad acquistare beni usati.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso presentato da due persone, condannate sia in primo grado sia in appello per il reato di ricettazione, ai sensi dell’art. 648 del codice penale. Gli imputati si erano rivolti alla Corte di Cassazione contestando la valutazione dei giudici di merito. Essi sostenevano, in sintesi, la mancanza di prove circa l’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni, e chiedevano una riqualificazione del fatto nella meno grave ipotesi di incauto acquisto (art. 712 c.p.).
I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva
I ricorrenti hanno basato la loro difesa su tre principali motivi di impugnazione:
1. Violazione di legge: contestavano l’errata applicazione degli articoli 648 e 712 del codice penale.
2. Difetto di motivazione: lamentavano che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente giustificato la sussistenza del dolo, elemento psicologico necessario per la condanna per ricettazione.
3. Mancata riqualificazione del reato: insistevano sulla necessità di derubricare il fatto a incauto acquisto, un reato contravvenzionale punito meno severamente, che si configura in assenza di una piena consapevolezza ma in presenza di una condotta negligente.
In sostanza, la difesa mirava a dimostrare che gli imputati non avevano agito con la precisa volontà di acquistare beni rubati, ma al massimo con una leggerezza nel verificarne l’origine.
La Valutazione sul Dolo Ricettazione da parte della Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando i ricorsi inammissibili. I giudici hanno sottolineato come i motivi presentati fossero generici e meramente riproduttivi di argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La decisione si fonda su un principio consolidato in giurisprudenza riguardo al dolo ricettazione. La Corte ha ribadito che, per configurare questo reato, non è necessaria la certezza assoluta della provenienza illecita del bene, ma è sufficiente il cosiddetto ‘dolo eventuale’.
Ciò significa che il reato sussiste quando l’agente, pur non avendo la certezza, si rappresenta la concreta possibilità che la cosa provenga da un delitto e ne accetta consapevolmente il rischio, procedendo comunque all’acquisto o alla ricezione.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte Suprema ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello esaustiva, logica e coerente con le prove processuali. Trattandosi di una ‘doppia conforme’ (due sentenze di merito con lo stesso esito), i giudici di legittimità hanno evidenziato come le corti inferiori avessero già indicato una ‘pluralità di elementi idonei’ a dimostrare la responsabilità penale degli imputati per ricettazione. La ricostruzione dei fatti, secondo la Cassazione, era fondata su apprezzamenti di fatto non illogici e, pertanto, non sindacabili in sede di legittimità. La Corte ha distinto nettamente la posizione di chi accetta il rischio (dolo eventuale per la ricettazione) da quella di chi, per semplice negligenza, omette di verificare la provenienza della cosa (colpa per l’incauto acquisto). Nel caso di specie, gli elementi raccolti erano sufficienti a collocare la condotta degli imputati nella prima categoria.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. La linea di demarcazione tra ricettazione e incauto acquisto è sottile ma chiara: risiede nell’atteggiamento psicologico dell’agente. Chi acquista un bene a un prezzo inspiegabilmente basso o in circostanze sospette non può trincerarsi dietro una presunta ignoranza. Se gli indizi sono tali da far sorgere un serio dubbio sulla provenienza lecita del bene e l’acquirente decide di ignorarli, accetta il rischio e commette il delitto di ricettazione. La decisione rappresenta un monito sulla necessità di usare sempre la massima diligenza negli acquisti, specialmente quando le condizioni dell’affare appaiono anomale, poiché la legge non tutela la negligenza che sconfina nella consapevole accettazione di un illecito.
Quando si configura il dolo ricettazione?
Il dolo di ricettazione si configura quando l’agente accetta consapevolmente il rischio che la cosa che sta ricevendo o acquistando sia di provenienza illecita. Non è necessaria la certezza assoluta, ma basta la rappresentazione della possibilità e l’accettazione di tale rischio.
Qual è la differenza tra ricettazione e incauto acquisto?
La differenza fondamentale risiede nell’elemento psicologico. La ricettazione (art. 648 c.p.) è un delitto che richiede il dolo, anche nella forma eventuale (accettazione del rischio). L’incauto acquisto (art. 712 c.p.) è una contravvenzione che si basa sulla colpa, ovvero su una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa.
Perché i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili?
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili perché i motivi erano aspecifici e si limitavano a riproporre censure già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello, la cui motivazione è stata giudicata completa, logica e coerente con le risultanze processuali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46855 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46855 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a GIULIANOVA il 02/09/1972
COGNOME NOME nato a NOTARESCO il 09/05/1970
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
considerato che i tre motivi di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta violazione degli artt. 648 e 712 cod. pen. nonché difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione, alla responsabilità concorsuale della COGNOME ed alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di incauto acquisto, sono aspecifici e meramente riproduttivi di profili di censura inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti logici e giuridici dalla Corte di merito.
rilevato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità dei ricorrenti in ordine al reato di ricettazione (vedi pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
rilevato che la Corte territoriale ha correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui sussiste il dolo di ricettazione quando l’agente accetta consapevolmente il rischio che la cosa ricevuta sia di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 38084 del 06/07/2022, Schiena, non massimata);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
rilevato che non vanno liquidate le spese a favore della costituita parte civile COGNOME Umberto in considerazione del fatto che la memoria conclusiva depositata, in data 09/11/2024, dall’Avv. NOME COGNOME a cagione della sua genericità, non ha fornito alcun contributo alla dialettica processuale, in quanto priva di eccezioni o deduzioni dirette a paralizzare o ridurre la pretesa del ricorrente (Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. U., n. 877 del 14/7/2022, COGNOME, Rv. 283886 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile COGNOME NOME.
Così deciso, in data 12 novembre 2024
Il
Il Presidy e