Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35252 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35252 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/02/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del riorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 4 febbraio 2025 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza emessa il 23 marzo 2023 dal Tribunale di Monza con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di un’autovettura e condannato alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza degli artt. 179 e 156 cod. proc. pen.
Assumeva in particolare che il decreto di citazione a giudizio era stato notificato all’imputato nel domicilio eletto presso l’allora difensore di fiducia
nonostante a quell’epoca il COGNOME si trovasse ristretto nella Casa Circondarale di Pavia, così che la notificazione avrebbe dovuto essere eseguita nel luogo di detenzione, mediante consegna di copia alla persona, a norma dell’art. 156, comma 1, cod. proc. pen.
Deduceva inoltre che la nullità derivante da tale vizio di notifica era stata dal difensore eccepita alla prima udienza dibattimentale, risalente al 3 novembre 2022, e che il giudice, non correttamente, aveva rigettato tale eccezione.
Concludeva sul punto affermando che in ragione di tale nullità, verificatasi nel corso del giudizio di primo grado, la sentenza impugnata doveva essere annullata.
Con il secondo motivo deduceva mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato, assumendo che non vi era prova del fatto che l’imputato avesse ricevuto la vettura di provenienza furtiva menzionata nell’imputazione, considerato che era stata rinvenuta soltanto la targa di una vettura provento di furto nei locali dell’impresa di autodemolizione gestita dal RAGIONE_SOCIALE, e che, per altro verso, dell’accettazione delle autovetture da demolire si occupavano, oltre che l’imputato, anche il padre e due fratelli, così che non vi era prova certa dell’attribuzione all’imputato, piuttosto che ad altri soggetti, della condotta contestata.
Con il terzo motivo deduceva mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo del reato di ricettazione, assumendo che non vi era alcun elemento in forza del quale poter ritenere sussistente l’elemento soggettivo del reato contestato e in particolare che non vi era prova del fatto che l’imputato fosse consapevole della provenienza illecita del bene.
Con il quarto motivo deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione alla mancata riqualificazione del fatto ex art. 712 cod. pen., considerato che all’imputato poteva essere rimproverata soltanto la mancata diligenza nell’attività di verificazione della provenienza delle vetture ricevute nei locali della propria impresa, e non anche il dolo del delitto di ricettazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile.
Premesso che la questione sollevata e decisa in primo grado non è stata reiterata in appello, deve rilevarsi che la Corte di legittimità, nella composizione più prestigiosa, ha avuto modo di esprimersi affermando che le notificazioni effettuate, nei confronti dell’imputato detenuto, presso il domicilio dichiarato od eletto e non nel luogo di detenzione, danno luogo a nullità a regime intermedio, soggetta alla sanatoria prevista dall’art. 184 cod. proc. pen. (Sez. U, Sentenza n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869 – 02).
A tenore dell’art. 184 cod. proc. pen., la nullità della notificazione è sanata “se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire”.
La consultazione degli atti, ai quali la Corte ha accesso in ragione della natura processuale della doglianza, consente di apprezzare che l’imputato ha rinunciato a comparire all’udienza del 2 novembre 2022, celebrata davanti al Tribunale di Monza, in tal modo sanando la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
È del pari inammissibile, in quanto manifestamente infondato, anche il secondo motivo.
Deve, invero, ritenersi che la Corte territoriale abbia reso una motivazione immune da vizi, osservando congruamente che il COGNOME non aveva fornito alcuna spiegazione in merito al possesso della targa riferibile a vettura provento di furto e che, “tenuto conto del fatto che la demolizione di auto veniva svolta in via imprenditoriale dall’imputato, appare vieppiù inverosimile che le macchine venissero accettate anche in assenza di completa documentazione da inviare al PRA per l’aggiornamento dei registri” (v. pag. 6 della sentenza impugnata).
La Corte di merito ha anche esaminato il dato fornito dalla difesa relativo al fatto che delle accettazioni delle vetture in entrata si occupavano indistintamente l’imputato, il di lui genitore e il di lui fratello, e ha osservato maniera del tutto logica che tale elemento “non serve ad eliderne la responsabilità penale per il delitto addebitato visto che, da un lato egli era il titolare esclusivo dell’impresa, e dall’altro, proprio la gestione per cosi dire familiare della stessa, e le sue piccole dimensioni gli consentivano comunque un controllo costante degli ingressi e delle uscite delle auto” (v. pag. 6 della sentenza impugnata).
In relazione al fatto, pure evidenziato in ricorso, che era stata rinvenuta solo la targa, e non anche la vettura di provenienza furtiva, la Corte d’Appello ha congruamente evidenziato che il giudice di primo grado aveva “riconosciuto l’ipotesi attenuata della ricettazione, di cui all’art. 648, comma IV, c.p.p., d
fatto addebitando all’imputato la ricettazione della sola targa” (v. pag. 7 del provvedimento impugnato).
Sui punti evidenziati dalla difesa, pertanto, la Corte territoriale ha reso una motivazione completa e non contraddittoria
È inammissibile, in quanto manifestamente infondato, anche il terzo motivo.
La Corte di merito, invero, ha motivato in maniera completa anche in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, richiamando il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è sintomatica della sussistenza del dolo di ricettazione l’omessa indicazione da parte del reo delle ragioni del possesso della cosa di provenienza delittuosa (v., ex multis, Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120 – 01, secondo cui risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, e quindi anche di telefoni cellulari, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso) e osservando che, per l’appunto, nel caso di specie il COGNOME non aveva dedotto alcunché in merito al possesso della targa della vettura risultata di provenienza furtiva.
Non sussiste, pertanto, il vizio motivazionale denunciato.
È, infine, inammissibile, in quanto manifestamente infondato, anche il quarto motivo, in relazione al quale devono essere richiamate le argomentazioni illustrate riguardo al terzo motivo, relative alla ritenuta sussistenza del dolo del delitto di ricettazione, dolo che la Corte di merito ha congruamente ritenuto ostativo all’invocata riqualificazione del fatto ex art. 712 cod. pen.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/06/2025