Dolo Ricettazione: Quando gli Indizi Diventano Prova
Il concetto di dolo ricettazione rappresenta un pilastro nel diritto penale relativo ai reati contro il patrimonio. Esso si riferisce alla consapevolezza, da parte di un soggetto, della provenienza illecita di un bene che acquista o riceve. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come tale consapevolezza possa essere provata anche attraverso elementi indiziari, confermando la condanna di un uomo trovato in possesso di un ciclomotore palesemente manomesso.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di ricettazione. L’imputato era stato trovato in possesso di un ciclomotore che presentava una peculiarità decisiva: l’assenza della chiave di accensione. Il veicolo, infatti, veniva avviato tramite il collegamento diretto dei fili elettrici. L’imputato, almeno in un primo momento, non era stato in grado di fornire alcuna giustificazione plausibile circa la provenienza del bene.
Di fronte alla condanna, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione lamentando due aspetti principali:
1. La violazione di legge riguardo l’elemento soggettivo (il dolo) del reato, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello illogica.
2. L’eccessività della pena inflitta e la mancata concessione delle attenuanti generiche.
L’analisi del dolo ricettazione secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il primo motivo di ricorso, giudicandolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha fornito una “motivazione rafforzata”, pienamente logica e coerente con i fatti emersi. I giudici hanno sottolineato che la mancanza della chiave di accensione e la necessità di avviare il ciclomotore “collegando i fili” sono elementi fortemente sintomatici della provenienza illecita del mezzo. Questi indizi, uniti all’assenza di una giustificazione credibile da parte dell’imputato, sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare la sua piena consapevolezza di possedere un bene rubato, integrando così il dolo ricettazione.
La Discrezionalità del Giudice sulla Pena
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla pena e alle attenuanti, è stato dichiarato infondato. La Cassazione ha ricordato un principio consolidato: la graduazione della pena è una prerogativa discrezionale del giudice di merito. Tale discrezionalità deve essere esercitata nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che tengono conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente negato le attenuanti generiche valorizzando i precedenti penali dell’imputato. Dal certificato penale emergevano infatti plurime condanne per reati della stessa specie, un elemento che il giudice ha legittimamente considerato decisivo per escludere un trattamento sanzionatorio più mite.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha chiarito che le doglianze dell’imputato si basavano su una presunta illogicità della motivazione che, in realtà, non sussisteva. La sentenza di secondo grado aveva analizzato in modo approfondito e coerente tutti gli elementi a disposizione. La mancanza della chiave, la modalità di avvio del mezzo e l’assenza di giustificazioni sono stati correttamente interpretati come un quadro indiziario grave, preciso e concordante, capace di fondare un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Per quanto riguarda la pena, la Corte ha semplicemente confermato la correttezza dell’operato del giudice di merito, il quale ha esercitato la propria discrezionalità in modo conforme alla legge, tenendo conto della storia criminale del soggetto.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un importante principio giuridico: nel reato di ricettazione, la prova del dolo, ovvero della consapevolezza della provenienza illecita del bene, può essere desunta da elementi di fatto oggettivi e inequivocabili. Il possesso di un bene palesemente manomesso, senza una spiegazione plausibile, costituisce un indizio talmente forte da trasformarsi in prova della colpevolezza. Inoltre, la decisione sottolinea come la storia criminale di un imputato abbia un peso determinante nella valutazione del giudice circa la concessione di benefici come le attenuanti generiche, confermando l’ampia discrezionalità del magistrato in fase di commisurazione della pena.
Possedere un bene palesemente manomesso può costituire prova di ricettazione?
Sì. Secondo la Corte, il possesso di un bene con evidenti segni di effrazione o manomissione (come un ciclomotore senza chiave avviato con i fili), unito alla mancata giustificazione della sua provenienza, è un elemento fortemente sintomatico della provenienza illecita e sufficiente a dimostrare il dolo di ricettazione.
Perché la Corte non ha concesso le attenuanti generiche all’imputato?
La concessione delle attenuanti generiche è stata negata perché il giudice di merito ha valutato negativamente i precedenti penali dell’imputato. La presenza di plurime condanne per reati della stessa specie è stata considerata un elemento decisivo che giustificava il diniego di tale beneficio.
In che modo il giudice valuta la pena per il reato di ricettazione?
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita in aderenza ai principi degli articoli 132 e 133 del codice penale. Egli considera la gravità del fatto e la capacità a delinquere del reo, che può essere desunta anche dai suoi precedenti penali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24059 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24059 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a ASCOLI PICENO il 17/06/1990
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME COGNOME
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione di legge in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione così come ritenuto in sentenza, è manifestamente infondato in quanto le doglianze lamentano una mancanza e illogicità della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato;
nel caso di specie, il giudice di secondo grado fornisce una motivazione rafforzata, idonea a scardinare l’apparato argomentativo a cui era giunto il giudice di prime cure, giungendo così a conclusioni coerenti con le premesse di fatto evidenziate, non foriere di travisamento;
in particolare la Corte di appello ha giustificato in ordine al dolo di ricettazione sulla base della mancanza della chiave di accensione del ciclomotore che di conseguenza veniva avviato tramite collegamento dei fili, elemento fortemente sintomatico della provenienza illecita del bene (a tal fine, si vedano le pagine 5-6 della sentenza impugnata) e dalla mancata giustificazione, almeno in un primo momento, della provenienza del bene;
Considerato che il secondo motivo di ricorso che contesta l’eccessività della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che nel motivare il diniego dell’art. 62-bis cod. pen., è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevant nel caso di specie infatti la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione delle massime elaborate dalla giurisprudenza, attraverso un richiamo a pagina 6 della sentenza impugnata, degli indici e degli elementi in forza dei quali si è arrivati alla commisurazione della pena finale, escludendo la concessione delle circostanze attenuanti generiche;
in particolare la Corte territoriale, disattendendo le doglianze difensive, ha valorizzato le plurime condanne dell’imputato per reati della stessa specie, così come emergenti dalla lettura del certificato penale nella disponibilità della Corte territoriale;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrenti’ al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2025
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