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Dolo iniziale truffa: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9926/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per truffa continuata. La Corte ha ribadito la distinzione fondamentale tra un mero inadempimento contrattuale, di natura civile, e il reato di truffa. L’elemento chiave che configura il reato è il dolo iniziale truffa, ovvero l’intenzione di ingannare la vittima fin dal principio della relazione contrattuale. Secondo i giudici, tale intenzione era provata dalla condotta dell’imputata, caratterizzata da ripetute richieste di denaro a fronte di false rassicurazioni, che hanno indotto la vittima a compiere pagamenti che altrimenti non avrebbe effettuato.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo Iniziale Truffa: Quando un Contratto Infranto Diventa Reato

La distinzione tra un semplice inadempimento contrattuale, che rileva solo in ambito civile, e un vero e proprio reato di truffa è una delle questioni più delicate del diritto penale commerciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9926/2024) torna sul tema, chiarendo che l’elemento discriminante risiede nel dolo iniziale truffa, ovvero nell’intenzione originaria di ingannare la controparte. Questo principio è fondamentale per comprendere quando la mancata esecuzione di un accordo supera i confini del diritto civile per entrare in quelli del diritto penale.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una donna condannata in primo e secondo grado per il reato di truffa continuata. La sua difesa sosteneva che i fatti contestati costituissero unicamente un inadempimento di natura contrattuale. In pratica, l’imputata aveva intrattenuto un rapporto con la persona offesa articolato in più fasi e durato nel tempo. Durante questo periodo, aveva richiesto ripetutamente pagamenti immediati per prestazioni che affermava di dover eseguire, come l’acquisto di biglietti aerei, fornendo continue rassicurazioni sulla regolarità delle operazioni. Queste rassicurazioni si sono poi rivelate false, inducendo la vittima a effettuare ulteriori versamenti di denaro che, alla luce dei fatti, non avrebbe altrimenti concesso.

La Valutazione del dolo iniziale truffa da parte della Corte

La difesa ha tentato di far passare la vicenda come una semplice questione civilistica, ma i giudici di merito prima, e la Cassazione poi, hanno rigettato questa tesi. Il punto centrale dell’accusa, confermato in ogni grado di giudizio, è che la condotta dell’imputata non era una semplice difficoltà ad adempiere, ma un piano fraudolento concepito fin dall’inizio. Il dolo iniziale truffa è stato desunto da una serie di elementi concreti: le circostanze e le modalità della condotta, le ripetute richieste di denaro basate su presupposti inesistenti e le false rassicurazioni fornite per convincere la vittima a proseguire con i pagamenti. Questo comportamento, secondo la Corte, ha falsato il processo decisionale della persona offesa, portandola a stipulare un accordo che non avrebbe mai concluso se avesse conosciuto le reali intenzioni della controparte.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il motivo di ricorso era generico e non consentito, in quanto si limitava a lamentare un’errata valutazione delle prove, sollecitando di fatto un nuovo giudizio di merito che non rientra nelle competenze della Suprema Corte. La difesa, secondo gli Ermellini, ha ignorato il vero fulcro della motivazione delle sentenze precedenti: la prova del dolo iniziale. Le corti inferiori avevano correttamente evidenziato come l’attività ingannatoria avesse preceduto e causato i pagamenti, configurando pienamente il reato di truffa e non un mero illecito civile.

Le motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la condotta fraudolenta, composta da artifizi e raggiri, deve necessariamente precedere l’induzione in errore e il conseguimento dell’ingiusto profitto. L’attività ingannatoria posta in essere solo dopo la stipula del contratto è, di regola, penalmente irrilevante. Tuttavia, come nel caso di specie, se tale attività successiva (le continue e false rassicurazioni) induce la vittima a compiere ulteriori atti giuridici dannosi (i pagamenti successivi), che non avrebbe compiuto senza l’inganno, allora anche questa condotta assume rilevanza penale. I giudici di merito hanno correttamente individuato la sussistenza del dolo iniziale, che ‘influisce sulla volontà negoziale’ della vittima e ‘rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria’. La prova di tale dolo è stata logicamente desunta dalle specifiche circostanze e modalità della condotta tenuta dall’imputata.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 9926/2024 rafforza un importante baluardo a tutela della buona fede nei rapporti contrattuali. Non ogni promessa non mantenuta è una truffa, ma lo diventa quando è provato che, fin dal principio, una delle parti non ha mai avuto intenzione di adempiere, ma ha solo agito con lo scopo di ingannare l’altra per ottenere un ingiusto profitto. Questo caso dimostra come la valutazione complessiva del comportamento dell’agente, comprese le rassicurazioni e le richieste successive alla stipula, sia cruciale per accertare la presenza del dolo iniziale e, di conseguenza, per distinguere un illecito civile da un reato penale.

Quando un inadempimento contrattuale diventa reato di truffa?
Un inadempimento contrattuale diventa reato di truffa quando non è una semplice incapacità di adempiere, ma è il risultato di un piano preordinato basato su ‘artifizi e raggiri’. L’elemento decisivo è il ‘dolo iniziale’, cioè l’intenzione di non adempiere al contratto fin dal momento della sua stipulazione, falsando così la volontà della controparte.

Come si prova il dolo iniziale nella truffa?
Il dolo iniziale si prova attraverso la valutazione delle circostanze concrete e delle modalità della condotta dell’agente. Nel caso esaminato, è stato desunto dalle ripetute richieste di pagamento immediato, dalle false rassicurazioni fornite alla vittima e dalla sistematica induzione in errore per ottenere ulteriori esborsi di denaro.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e non consentito. La difesa si è limitata a contestare la valutazione dei fatti già effettuata dai giudici di merito, chiedendo alla Corte di Cassazione un nuovo esame delle prove, attività che esula dalle sue competenze. Il ricorso, inoltre, non ha affrontato il nucleo logico della decisione impugnata, ovvero la dimostrazione del dolo iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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