Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 242 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 242 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME NOME nato a GRAVINA DI PUGLIA il 12/04/1963 nel procedimento a carico di: COGNOME nato a GRAVINA DI PUGLIA il 25/12/1951
avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE APPELLO dì BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME parte civile nel processo contro NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di cui si compone il ricorso, con cui la difesa di parte civile deduce vizio di motivazione in ordine alla pronuncia della Corte d’appello di Bari che, riformando la sentenza di primo grado, ha assolto NOME COGNOME dal delitto di truffa aggravata (in tal senso riqualificando l’originar imputazione di insolvenza fraudolenta), è formulato in termini non consentiti in queta sede poiché il ricorrente, pur avendo formalmente denunziato vizi riconducibili all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha in sostanza lamentato l’erroneità della decisione perché a suo avviso fondata su una non condivisa valutazione del materiale probatorio, proponendo in tal modo una diversa lettura delle risultanze processuali, una differente ricostruzione della vicenda e un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (con specifico riferimento alle dichiarazioni rilasciate dall’odierno ricorrente e dei testimoni sentiti all’udienza dinanzi al Tribunale); si tratta di operazion all’evidenza non consentite al giudice di legittimità che non può procedere ad una nlettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora prospettati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli ritenuti ed adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148); Corte di Cassazione – copia non ufficiale ribadito dunque il consolidato principio secondo cui l’indagine di legittimità sui discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074), poiché la valutazione sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giung al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema;
ritenuto che, in conclusione, deve osservarsi come la Corte territoriale, con motivazione che, contrariamente a quanto dedotto dall’odierno, risulta esente profili di manifesta illogicità, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, sviluppando argomenti puntuali dal punto di vista fattuale e corretti sotto il profilo giuridico, e sottolineando l’assenza di un solido apparato probatorio sufficiente a corroborare le dichiarazioni della parte civile e, dunque, a sostenere che nel contegno del Dibattista potessero essere ravvisati gli elementi costitutivi sia della fattispecie di reato originariamente contestata, quale quella di cui all’art. 641 cod. pen., sia quella poi riqualificata dal giudice di primo grado, quale quella ex art. 640 cod. pen.;
ribadito che l’elemento fondante la penale rilevanza della condotta di inadempimento va individuata nel dolo iniziale che deve animare l’agente e che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone processo volitivo – rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 5801 del 8.11.2013, COGNOME; Sez. 2, n. 37859 del 22.9.2010, Bologna); va aggiunto che la prova del dolo “iniziale” non può che provenire ed essere fondata sulla valorizzazione di elementi fattuali che possono essere di più varia indole e che possono attingere la fase antecedente come anche quella successiva al perfezionamento dell’accordo purché tali da rivelare l’iniziale proposito dell’agente (cfr., Sez. 6, n. 16465 del 6.4.2011, NOME COGNOME; Sez. 2, n. 39887 16.6.2015, COGNOME) e che, nel caso in esame, la Corte d’appello, con valutazione tipicamente “di merito”, ha ritenuto non ravvisabile nella ricostruzione della vicenda;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.