Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11694 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata a Vinchiaturo il 13/05/1969
avverso la sentenza del 23/05/2024 della Corte d’appello di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME il quale, dopo un’ampia discussione, si è riportato ai motivi di ricorso, del quale ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/05/2024, la Corte d’appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del 17/03/2023 del Tribunale di Campobasso:
confermava la condanna di NOME per il reato di truffa continuata e pluriaggravata (ai sensi del n. 1 del secondo comma dell’art. 640 cod. pen. e dei nn. 9 e 11 dell’art. 61 cod. pen.) in concorso (con NOME COGNOME) ai danni dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM) di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente alle condotte commesse il 22/09/2016 e il 23/09/2016;
confermava la declaratoria di non doversi procedere nei confronti della stessa NOME in ordine al medesimo reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di marzo 2015, nonché in ordine al reato di truffa continuata e pluriaggravata (ai sensi del n. 1 del secondo comma dell’art. 640 cod. pen. e dei nn. 9 e 11 dell’art. 61 cod. pen.) ai danni dell’Azienda sanitaria regionale del Molise di cui al capo D) dell’imputazione e al reato di falsa attestazione della presenza in servizio aggravata (ai sensi del n. 2 dell’art. 61 cod. pen.) di cui al capo E) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di aprile 2015 per essere gli stessi reati estinti per prescrizione;
riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle ritenute circostanze aggravanti, rideterminava in otto mesi di reclusione ed € 200,00 di multa la pena irrogata all’imputata per il reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente alle condotte commesse il 22/09/2016 e il 23/09/2016.
Avverso tale sentenza del 23/05/2024 della Corte d’appello di Campobasso, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a un unico, complesso, motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , c) ed e) , cod. proc. pen.: «Erronea applicazione dell’art. 640 c.p. – Insussistenza degli elementi costitutivi del reato Inosservanza degli artt. 111 Cost., 125 e 546, lett. e) , c.p.p. – Carente e/o apparente motivazione su specifici motivi di appello – Travisamento e/o omessa valutazione di prove decisive – Omesso, apparente e/o incoerente esame di una questione di diritto – Manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione».
2.1. Dopo avere contestato che la Corte d’appello di Campobasso avrebbe passivamente recepito le valutazioni che erano state compiute dal Tribunale di Campobasso, omettendo l’analisi di specifici motivi di appello, NOME COGNOME con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di truffa pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente alle condotte commesse il 22/09/2016 e il 23/09/2016, lamenta che la Corte d’appello di Campobasso non avrebbe risposto o non avrebbe adeguatamente risposto alle censure, che erano state sollevate con l’atto di appello, relative, in particolare: a) all’inidoneità dei servizi di osservazione controllo e pedinamento che erano stati svolti dalla polizia giudiziaria e dei dati che risultavano dal cartellino segnatempo di NOME COGNOME a dimostrare che questi era stato assente dall’ufficio nei pomeriggi del 22/09/2016 e del 23/09/2016, tenuto anche conto del fatto che tali due rientri pomeridiani erano relativi ad attività libero-professionale (ALPI, identificata con il codice “090”, la quale viene svolta fuori dall’orario di servizio
b) alla non necessarietà del cosiddetto “giustificativo” con riguardo alle variazioni di orario afferenti l’attività ALPI, la quale necessità non sarebbe prevista dal relativo regolamento; c) alla contraddittorietà tra la condanna per i fatti de quibus e l’intervenuta assoluzione dell’imputata dal reato di cui all’art. 55-quinquies del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, di cui al capo E) dell’imputazione; d) all’impossibilità di ritenere il dolo della truffa, anche nella forma del dolo eventuale, sulla sola base del fatto che l’imputata aveva operato la modificazione “postuma” del cartellino segnatempo del COGNOME in assenza del cosiddetto “giustificativo”, atteso che «una cosa è “accettare il rischio di attestare il falso”, altra cosa accettare il rischi di commettere una truffa ai danni dell’Ente», accettazione, quest’ultima, che si sarebbe potuta ritenere solo in presenza della prova che l’imputata fosse a conoscenza che il 22/09/2016 e il 23/09/2016 il COGNOME era assente dall’ufficio – ciò che si doveva escludere, atteso che la COGNOME, nei pomeriggi di tali due giornate, non era in servizio -, e tenuto anche conto del fatto che la stessa imputata, come aveva dichiarato, si era «fidata» del COGNOME, rispetto al quale, peraltro, aveva un interesse antagonista; e) all’insussistenza degli elementi del profitto e del danno altrui, atteso che le ore di lavoro reputate non effettuate dal COGNOME non gli erano state pagate, in quanto «eccedenti il “monte ore”» in ALPI.
2.2. Un ulteriore profilo dell’unico motivo riguarda la conferma della declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di marzo 2015, nonché in ordine ai reati di truffa continuata e pluriaggravata di cui al capo D) dell’imputazione e di falsa attestazione della presenza in servizio aggravata di cui al capo E) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di aprile 2015, per essere tali reati estinti per prescrizione.
La ricorrente contesta la motivazione con la quale la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato il motivo di appello con il quale aveva chiesto che fosse “estesa” anche a tali fatti l’assoluzione perché il fatto non sussiste che era stata pronunciata dal Tribunale di Campobasso con riguardo ai fatti successivi alle anzidette date, fondando tale richiesta di “estensione” sull’assunto che «anche per i fatti coperti da prescrizione risultavano le medesime carenze probatorie che erano state valorizzate dal Tribunale per pronunciare l’assoluzione per insussistenza dei fatti di reato successivi ad Aprile 2015». Dopo avere contestato che la Corte d’appello di Campobasso non avrebbe «specifica i motivi di rigetto delle meditate censure difensive», la ricorrente ribadisce che «per i fatti di reato dichiarati prescritti mancavano le prove di colpevolezza dell’imputata, al pari di quelli per i quali era stata dichiarata assolta e che, pertanto, la motivazione di assoluzione poteva e doveva essere estesa anche ai primi», come risulterebbe
dalla lettura della stessa sentenza di primo grado, dalla quale emergerebbe che «si trattava di carenza ontologica della prova, non di insufficienza o contraddittorietà», come sarebbe stato del resto confermato dal fatto che il testimone della polizia giudiziaria NOME COGNOME aveva riferito che l’imputata non era mai stata sottoposta a servizi di osservazione e pedinamento, sicché non si sapeva se, nei giorni per i quali erano state operate le modifiche “postume” degli orari di lavoro, l’imputata fosse stata o no presente in ufficio.
Con atto del 14/01/2025, NOME ha dichiarato di «rinunciare alla maturata prescrizione dei reati imputati ed agli effetti penali connessi e conseguenti al riconoscimento di tale causa estintiva».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si deve anzitutto affermare la tardività e la conseguente inefficacia della rinuncia «alla maturata prescrizione» formulata con il menzionato atto del 14/01/2025 con riguardo alle condotte per le quali il Tribunale di Campobasso aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione.
Se è vero, infatti, che la prescrizione non può essere oggetto di rinuncia prima che sia maturata (Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010, COGNOME, Rv. 248739-01; Sez. 1, n. 18391 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236576-01; n. Sez. 2, n. 527 del 15/11/2005, del 2006, COGNOME, Rv. 233145-01), è altrettanto vero che la rinuncia, per valere come tale, deve essere formulata prima che sul punto sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui la prescrizione è maturata (Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Capacchione, Rv. 278983-02; Sez. 1, n. 32623 del 23/06/2009, Grotta, Rv. 244742-01, relativa a una fattispecie in cui il ricorrente aveva rinunciato alla prescrizione, già dichiarata in appello, il giorno dell’udienza in Cassazione).
La suddetta rinuncia vale pertanto esclusivamente per le condotte che sono state oggetto di affermazione di responsabilità.
L’unico motivo non è fondato sotto entrambi i profili di doglianza in cui è articolato, atteso che essi non risultano idonei a evidenziare i lamentati vizi di violazione di legge e motivazionali.
Il primo profilo riguarda la conferma dell’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente alle condotte commesse il 22/09/2016 e il 23/09/2016.
A tale proposito, si deve anzitutto ritenere la correttezza e la logicità della motivazione sulla base della quale la Corte d’appello di Campobasso ha reputato che il concorrente NOME COGNOME non fosse stato presente nel suo luogo di
lavoro presso l’ospedale “INDIRIZZO” di Campobasso nei pomeriggi del 22/09/2016 e del 23/09/2016 come invece risultava formalmente essere stato sulla base delle modifiche “postume” del suo orario di lavoro che erano state effettuate dalla NOME.
Si deve infatti ritenere del tutto logica l’argomentazione della Corte d’appello di Campobasso secondo cui, posto che, sulla base delle anzidette modifiche “postume”, il COGNOME risultava presente nel suo luogo di lavoro, il 22/09/2016 dalle ore 13:08 alle ore 18:36 e il 23/09/2016 dalle ore 13:01 alle ore 18:08, poiché egli era stato visto dai Carabinieri operanti (i testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME) allontanarsi con la propria automobile dall’ospedale “INDIRIZZO” di Campobasso il 22/09/2016 alle ore 13:38 per raggiungere il proprio luogo di dimora in Mirabello Sannitico alle ore 14:09 (dove parcheggiava, per poi ripartire a bordo di un’altra automobile nella direzione farmacia-ufficio postale) e il 23/09/2016 allontanarsi con la propria automobile dall’ospedale “INDIRIZZO” di Campobasso alle ore 13:10 per raggiungere sempre Mirabello Sannitico alle ore 13:22 (per dirigersi, poi, alla propria abitazione), ne discendeva, appunto, logicamente, la falsità della “postuma” attestazione di continuativa presenza in servizio nei due indicati pomeriggi, atteso che risultava provato che, negli stessi due pomeriggi, il COGNOME aveva invece abbandonato il proprio luogo di lavoro.
In secondo luogo, quanto alla dedotta non necessarietà del cosiddetto “giustificativo” del dipendente, quale condizione per potere procedere alle modifiche “postume” delle sue ore di lavoro che risultavano dal marcatempo, nel caso in cui si trattasse di attività libero-professionale, la Corte d’appello di Campobasso ha adeguatamente motivato come, sulla base di un’espressa previsione dell’acquisito regolamento per la disciplina dell’orario di lavoro che vigeva presso l’ASREM (l’art. 5 dello stesso regolamento), anche le modifiche “postume” delle ore di lavoro afferenti all’ALPI fossero possibili solo se il dipendente produceva il suddetto “giustificativo”, sottoscritto, oltre che dallo stesso dipendete, anche dal suo dirigente.
In terzo luogo, si deve escludere la sussistenza della dedotta contraddittorietà tra la condanna per gli attribuiti reati di truffa e l’assoluzione dell’imputata dal reato di cui all’art. 55-quinquies del d.lgs. n. 165 del 2001 di cui al capo E) dell’imputazione, atteso che dalla lettura della sentenza di primo grado (pagg. 2021) risulta chiaramente come il Tribunale di Campobasso, pur avendo assolto la Felice dal reato di cui al capo E) dell’imputazione, abbia espressamente affermato la falsità dell’attestazione della presenza in servizio del Castellitto nei giorni 22/09/2016 e 23/09/2016 (pag. 20: «ad eccezione dei due episodi del 22 e 23 settembre 2016»; pag. 21: «fatta eccezione per gli episodi del 22 e 23 settembre 2016»).
In quarto luogo, si deve ritenere la correttezza e la logicità della motivazione sulla base della quale la Corte d’appello di Campobasso ha reputato la sussistenza, in capo alla Felice, del dolo di truffa.
Posto che, come è stato esattamente rammentato dalla Corte d’appello, l’elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente a oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio, il che rende priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a realizzare l’inganno (Sez. 2, n. 24645 del 21/03/2012, Presicce, Rv. 252824-01), si deve ritenere del tutto logica l’argomentazione della stessa Corte d’appello secondo cui il fatto che la Felice avesse operato le modifiche “postume” dell’orario di lavoro del Castellitto dei giorni 22/09/2016 e 23/09/2016 in assenza del necessario “giustificativo”, nonché, come è stato in particolare osservato dal Tribunale di Campobasso, essendo ignara dell’effettiva presenza o no in ufficio dello stesso COGNOME, per essere stata lei stessa assente il 22/09/2016 e presente solo fino alle ore 13:53 il 23/09/2016 (pagg. 16-17 della sentenza di primo grado), implicava, appunto, logicamente, che la stessa COGNOME avesse quanto meno accettato il rischio di attestare falsamente la presenza del collega e, quindi, il rischio che egli fosse stato assente dal lavoro nei due indicati pomeriggi, con la conseguente sussistenza, correttamente ravvisata, in capo all’imputata, quanto meno del dolo indiretto del reato di truffa.
Risulta, infine, non fondata anche la censura che attiene alla dedotta insussistenza degli elementi del profitto e del danno altrui, atteso che, anche ad ammettere che il COGNOME avesse “sforato” il monte orario relativo all’attività libero-professionale, “sforamento” per il quale non gli sarebbe spettata retribuzione, non vi è dubbio che dalle ore di lavoro attestate e non effettivamente svolte nei pomeriggi del 22/09/2016 e del 23/09/2016 sarebbero discesi sia il diritto a recuperi orari, con la conseguente privazione di prestazioni lavorative in danno dell’amministrazione (Sez. 2, n. 29628 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 27667001), sia, più in generale, posizioni soggettive favorevoli ed economicamente apprezzabili nei confronti della stessa amministrazione, secondo le previsioni dei contratti collettivi, in assenza delle quali non si comprenderebbe del resto l’interesse che è stato evidentemente dimostrato dal COGNOME ad aggiungere ore di lavoro da lui non effettivamente svolte.
Ne discende che l’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione
limitatamente alle condotte commesse il 22/09/2016 e il 23/09/2016 risulta esente dalle censure che sono state avanzate con il motivo di ricorso.
4. Il secondo profilo del motivo riguarda la conferma della declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di marzo 2015, nonché in ordine ai reati di truffa continuata e pluriaggravata di cui al capo D) dell’imputazione e di falsa attestazione della presenza in servizio aggravata di cui al capo E) dell’imputazione limitatamente ai fatti commessi dal mese di gennaio 2014 al mese di aprile 2015, per essere tali reati estinti per prescrizione.
Ribadito che, come si è detto al punto 1, per tali reati non rileva la tardiva rinuncia alla prescrizione, si deve rammentare che, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, in presenza della causa estintiva del reato della prescrizione, il sindacato della Corte di cassazione in ordine alla sussistenza, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., di una più favorevole causa di proscioglimento dell’imputato nel merito, comporta il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla suddetta sentenza (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 258169-01; Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, COGNOME, Rv. 253458-01; Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 240955-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Campobasso ha correttamente preso le mosse dal principio di diritto, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259445-01; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 258441-01; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, COGNOME, Rv. 25620201).
La Corte d’appello di Campobasso ha quindi operato un rinvio alla sentenza di primo grado, nella quale il Tribunale di Campobasso aveva affermato l’insussistenza dei presupposti per una pronuncia di assoluzione dell’imputata ai sensi del comma 1 dell’art. 530 cod. proc. pen., avendo argomentato come, anche per le ipotesi di reato per le quali la Felice era stata assolta, ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen., fossero emersi «elementi fortemente indizianti a carico degli imputati», quali l’anomala presenza di numerosissime modifiche
“postume” dell’orario di lavoro del COGNOME e della stessa NOME e la mancanza, anch’essa emersa dall’espletata istruttoria dibattimentale, dei documenti “giustificativi” delle stesse modifiche.
Tale motivazione appare priva di contraddizioni e di illogicità, oltre che frutto di una compiuta lettura delle risultanze probatorie, con la conseguenza che la Corte d’appello di Campobasso si deve ritenere avere correttamente confermato la declaratoria di prescrizione dei reati in considerazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/01/2025.