Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44529 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44529 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nata a Besana in Brianza il 15/10/1963
avverso la sentenza del 16/11/2023 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha richiesto la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 novembre 2023 la Corte di appello di Milano’ decidendo in sede di rinvio di questa Suprema Corte, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di truffa aggravata, contestato al capo 33), perché estinto per prescrizione, con revoca delle statuizioni civili nei confronti della parte civile NOME COGNOME ha rideterminat la pena in un anno e mesi quattro di reclusione ed euro 2.666,00 di multa in ordine ai delitti di ricettazione di assegni provenienti dai delitti di truffa ai dan di NOME COGNOME e NOME COGNOME contestati ai capi KK) e LL).
Per quel che in questa sede rileva NOME COGNOME è accusata di aver posto all’incasso, e pertanto ricettato, due assegni bancari consegnatele dalla sorella NOME, dell’importo di euro 12.000,00 e 4.000,00, rispettivamente emessi da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
Sulla base delle risultanze processuali e all’esito del definitivo giudizio in ordine alla responsabilità della sorella NOME è emerso che costei, responsabile dei settore finanziario di “RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, avesse approfittato, con artifici e raggiri, di numerosissimi conoscenti che erano stati compulsati ad investire cospicue somme di denaro in inesistenti prodotti finanziari della citata società, asseritamente dedicati ai soli dipendenti delle “Poste Italiane” e tali da far conseguire, secondo la tesi fatta accreditare, ingenti interessi.
La metodica portata avanti da NOME COGNOME consisteva nel far credere alle persone offese che tale investimento sarebbe stato possibile a condizione che il prodotto finanziario venisse, in ultima analisi, intestato ad un dipendente delle “Poste Italiane”, motivo che aveva spinto molte persone offese, su indicazione della sorella della ricorrente, a consegnare assegni privi del beneficiario che, si assumeva, sarebbe stato all’occorrenza “riempito” con il nominativo del dipendente di “Poste Italiane” all’occorrenza individuato quale fittizio intestatario dell’investimento.
Risulta, pertanto, incontestato che i titoli di credito, ricevuti da NOME COGNOME provenissero dalle persone offese del delitto di truffa, NOME COGNOME e NOME COGNOME privi del nome del beneficiario oltre che della data, come preteso da costei per le ragioni sopra evidenziate, erano stati posti all’incasso da NOME COGNOME con accredito su un conto corrente aperto su “Poste Italiane” ed alla medesima intestato, previa compilazione della parte relativa alla beneficiaria corrispondente al nominativo di NOME onde consentine la girata alli incasso, trattandosi di titoli non trasferibili. Tali operazioni sarebbero avvenute nel maggio e giugno del 2016.
1.2. La Seconda Sezione di questa Corte aveva annullato la sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto sussistente in capo a NOME COGNOME anche il delitto di truffa in concorso con la sorella ed ai danni di NOME COGNOME avendo ritenuto sussistente – rispetto al solido impianto probatorio che in ordine alle plurime truffe aggravate perpetrate con le modalità sopra evidenziate con seriale e professionale intraprendenza invece coinvolgeva la sorella – un deficit di motivazione nella parte di cui, quanto al delitto di concorso nella truffa ai danni di NOME COGNOME, la Corte di appello aveva omesso di indicare le ragioni che avevano portato a ritenere che l’azione truffaldina fosse stata portata avanti anche con la collaborazione di NOME COGNOME: le allegazioni difensive, infatti,
erano tese a dimostrare la buona fede di NOME COGNOME in occasione dell’opera di rassicurazione della persona offesa in ordine alla bontà dell’investimento, ambito in cui aveva alla medesima rappresentato di aver effettuato analoga operazione finanziari. Questa Corte aveva rilevato come la tesi sostenuta dalla difesa, che aveva fatto riferimento alla dichiarazioni rese dal marito e dal cognato della ricorrente ed allegato copiosa documentazione, non era stata adeguatamente vagliata dalla Corte di appello.
1.3. In sede di rinvio, la Corte di appello, dichiarata l’estinzione del delitto di truffa, nelle more prescritto, ha escluso che l’imputata versasse in buona fede all’atto della ricezione dei due titoli, avendo ritenuto, sulla base delle risultanze processuali, incluse le dichiarazioni dei soggetti sentiti dal difensore ex art. 391bis cod. proc. pen., sussistente la consapevolezza che gli assegni consegnali privi di data e firma fossero frutto di truffa ad opera della sorella NOME COGNOME.
2. La ricorrente deduce i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo si deducono ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. travisamento della prova in ordine alla sussistenza del dolo del delitto di ricettazione e violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen.
La difesa rappresenta la contraddittorietà della sentenza che, nonostante evidenzi l’assenza di elementi per ritenere sussistente il concorso nel reato di truffa, poi la ritenga, nonostante non escluda la buona fede, responsabile delle ipotesi di ricettazione.
Non è significativo – si osserva – il valorizzato dato a mente del quale gli assegni fossero privi del nominativo del beneficiario, circostanza che non escludeva che NOME COGNOME avesse potuto riceverli legalmente in ragione dell’attività svolta presso “Poste Italiane”.
Il venir meno del delitto di truffa a carico della ricorrente in ragione della buona fede evincibile dal tenore delle dichiarazioni rese ex art. 391-bis cod. proc, pen. dal marito, NOME COGNOME che aveva evidenziato come la moglie NOME COGNOME avesse ricevuto detta somma dalla sorella NOME a parziale ristoro della maggior somma di euro 37.000 in precedenza investiti nella medesima operazione finanziaria, imponeva di riconoscere la buona fede anche all’atto della ricezione degli assegni; ed infatti, con analoghe modalità (consegna di assegni), altre vittime della sorella avevano ricevuto e riscosso assegni a ristoro (totale o parziale) dei falsi investimenti, senza che costoro siano stati ritenuti responsabili del delitto di ricettazione.
Depongono, inoltre, per la buona fede la legittimità dell’operazione con cui è stata apposta la firma, la personalità della ricorrente, persona incensurata, la
circostanza che tali fatti si siano verificati in due sole occasioni e che, successivamente, non abbia inteso tenere nascosto il fatto in quanto convinta della legittimità della condotta unicamente tesa a rientrare nel possesso del denaro consegnato in precedenza alla sorella.
2.2. Con il secondo motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. vizi di motivazione, travisamento di prova essenziale e violazione di legge, nella parte in cui la condotta contestata non è stata sussunta nell’ipotesi contravvenzionale ex art. 712 cod . . pen. di acquisto di cose di sospetta provenienza illecita. La ricezione degli assegni, condotta comune a numerose persone costituite parti civili, non consentiva di comprendere, nell’immediato, l’illecita provenienza da altre persone truffate.
2.3. Con il terzo motivo si deduce ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. violazione degli artt. 17 e 18 cod. pen. (rectius: artt. 47 e 48 cod. pen’) tenuto conto che la decisione non ha preso in considerazione la sussistente buona fede di NOME COGNOME al momento della ricezione dei titoli.
2.4. Con il quarto motivo deduce ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. violazione degli artt. 192, 125 e 546 cod. proc. pen., là dove non ha motivato in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME sulla documentazione da costui prodotta e su quanto rappresentato dalla querelante COGNOME
2.5. Con il quinto motivo deduce ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. vizi di motivazione e violazione die legge in ordine alla mancata applicazione della attenuante di cui al comma secondo dell’art. 648 cod. pen.
La Corte territoriale non prende in esame, oltre all’importo degli assegni, l’incensuratezza e le modalità ingenue della condotta della ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo attraverso il quale si censura l’integrazione del delitto ritenendosi insussistente il dolo in capo alla ricorrente anche sul presupposto di una lettura limitata delle risultanze probatorie, specie nella parte in cui consentivano di escludere il concorso nella truffa perpetrata dalla sorella NOME COGNOME è generico, manifestamente infondato e declinato in fatto.
Deve richiamarsi il principio di diritto, specificamente enunciato dalla Seconda Sezione di questa Corte nel giudizio rescindente, secondo cui sussiste il delitto di ricettazione anche in presenza del dolo eventuale, configurabile allorché l’agente si rappresenti la concreta possibilità della provenienza della cosa da
delitto e ne accetti il relativo rischio, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324 – 01; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, COGNOME, Rv. 257237).
Proprio nell’affrontare il tema della consapevolezza della ricorrente in merito alla provenienza truffaldina degli assegni, completa e per nulla illogica – come si assume nel ricorso risulta la motivazione della sentenza che evidenzia come, a l contrario di quanto poteva ritenersi in ordine al periodo interessato dall’accusa di di truffa in concorso con la sorella NOME COGNOME di cui al capo n), allorché effettivamente non vi erano elementi che potessero dipanare il dubbio che la ricorrente fosse a conoscenza dell’attività delittuosa serialmente posta in essere dalla germana, la stessa cosa non poteva dirsi in ordine al periodo che aveva preceduto la ricezione dei due titoli privi della indicazione del destinatario (avvenuta il 17 maggio e in data 8 giugno 2016), quando NOME COGNOME era ormai consapevole di quanto costei avesse posto in essere.
In tal senso deponeva il fatto che nell’aprile del 2016 alcuni assegni consegnatele da NOME COGNOME erano stati protestati in quanto insoluti, tanto che lo stesso marito, nelle dichiarazioni rese al difensore ex art. 391-bis cod. proc. pen., aveva affermato che la cognata dicesse “fandonie”. È stata data congiunta rilevanza al fatto che gli assegni non contenessero il nominativo del beneficiario, dato alla medesima noto quale strumentale alla truffa che faceva leva proprio sulla rappresentata necessità rivolta alla vittima di individuare il beneficiario in persona appartenente a “Poste Italiane”.
Il Giudice del rinvio, infatti, al fine di colmare le lacune segnalate da questa Corte in ordine alla mancata confutazione della dedotta buona fede all’atto della ricezione dei titoli, ha valorizzato le dichiarazioni rese da altra persona offesa, NOME COGNOME in merito al ruolo assunto da NOME COGNOME già nel dicembre del 2015 (data successiva alla truffa ma precedente alla consegna degli assegni), nell’ambito della truffa ai suoi danni: la ricorrente aveva rappresentato come nel “progetto Orizzonte” (nominativo di fantasia assegnato al fittizio investimento) ci fosse anche lei in quanto delegata proprio dalla direttrice delle “Poste Italiane”.
Proprio la consapevolezza della NOME COGNOME che faceva riferimento ad un’inesistente delega conferitale dalla direttrice, che invece si accertava che fosse all’oscuro delle operazioni truffaldine, ha fatto ritenere alla Corte di appello, con motivazione coerentemente e fondata sui dati probatori a disposizione, come la ricorrente, in detto periodo, precedente alla ricezione degli assegni di cui ai capi KK) e LL), avesse assunto addirittura un ruolo autonomo e
svincolato dalla stessa sorella e di tale portata da consentirle di comprendere la provenienza degli assegni ricevuti da truffe realizzate dalla sorella.
Generico risulta, pertanto, il motivo di ricorso che non si confronta in alcun modo con tale determinante dato probatorio analiticamente apprezzato nella sentenza rescissoria, come egualmente generica si rivela la censura di non aver preso in esame le dichiarazioni del marito NOME COGNOME senza però spiegare come le evocate dichiarazioni potessero aver efficacemente inciso sul delineato quadro probatorio complessivamente analizzato e tale da far desumere la consapevolezza in capo a NOME COGNOME dell’origine truffaldina dei titoli poi incassati previa apposizione di firma.
Declinato in fatto e teso ad assegnare un differente valore agli elementi probatori che la Corte di merito ha ampiamente dimostrato di aver soppesato nella loro composita e complessiva consistenza, risulta la parte del ricorso che, a sostegno della dedotta insussistenza del dolo di ricettazione, fa non pertinente richiamo alle condotte di altre parte offese, che – si sostiene – avrebbero accettato, come fatto dalla ricorrente, assegni provenienti da terze persone consegnati dalla sorella, rilievo che tenta di deviare l’attenzione dai limiti fissati dalla sentenza di annullamento di questa Corte.
Da quanto sopra evidenziato in ordine all’accertata sussistenza del dolo del delitto di ricettazione discende la manifesta infondatezza del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso che, invero, fanno leva sull’insussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, adeguatamente motivato, e sulla dedotta buona fede, categoricamente esclusa.
Il quarto motivo si rivela, altresì, generico (come sopra anticipato) nella parte in cui non evidenzia quali aspetti determinanti delle dichiarazioni rese dal marito della ricorrente sarebbero stati trascurati.
Analogo limite incontra il quinto motivo, avendo la Corte territoriale argomentato in merito all’insussistenza dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., con corretto riferimento alla gravità del fatto desumibile dall’entità del credito portato dai titoli ricettati.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/11/2024.