Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47052 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47052 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 30/05/1963 rappresentato e difeso NOME COGNOME di fiducia;
avverso la sentenza emessa il 16/04/2024 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate in data 01/10/2024 dal sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate in data 15/10/2024 dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa il 16/04/2024 la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la pronuncia in data 02/02/2018 dal Tribunale di Palmi che aveva statuito nei seguenti termini:
-dichiarato NOME responsabile del delitto di ricettazione, così riqualificate le condotte di riciclaggio contestate al capo C (in esso assorbito il capo D di falso materiale di certificato di idoneità tecnica), al capo E (in esso assorbito il capo F di falso materiale di certificato di idoneità tecnica), al capo G e al capo (in esso assorbito il capo L di falso materiale di certificato di idoneità tecnica nonché del delitto di ricettazione contestato al capo H, con conseguente irrogazione della pena di anni 5 di reclusione ed euro 5.000,00 di multa, previo riconoscimento di circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva reiterata e specifica e condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita COGNOME DomenicoCOGNOME da liquidarsi in separato giudizio;
-dichiarato non doversi procedere in relazione al delitto di ricettazione di cui al capo A (così riqualificata la condotta di riciclaggio ivi contestata ed in esso assorbito il capo B) per precedente giudicato e in relazione ai capi M ( truffa) ed N (uso di atto falso calunnia) per intervenuta prescrizione ;
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME tramite il difensore fiduciario, articolando i seguenti motivi.
2.1.Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 546 comma 3 codice di rito e nullità della sentenza impugnata che non riporta le imputazioni elevate a COGNOME, la scarna motivazione non consente di comprendere quali siano i fatti specifici per i quali è stata confermata la dichiarazione di responsabilità.
2.2.Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 192 e 546 codice di rito, 648 e 712 cod. pen.
I giudici di secondo grado non hanno addotto alcuna motivazione in ordine alla mancata derubricazione dei ravvisati delitti di ricettazione nella contravvenzione di incauto acquisto, l’assunto speso al riguardo è comunque contradditorio e disancorato dalle risultanze probatorie.
Per identico fatto, realizzato con le medesime modalità e contestatcr e B) di imputazione, per i quali vi è stata declaratoria di non doversi procedere per precedente giudicato, il Tribunale di Roma ha ravvisato l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 24 Cost., 192, 546 codice di rito, 42, comma 2, e 648 cod. pen.
Le risultanze istruttorie comprovano che l’imputato ha agito, nella convinzione della lecita provenienza dei quadricicli venduti a terzi e la sua versione è tutt’altro che fantasiosa come, invece, affermato dalla Corte di appello. Gli indici della sua assoluta buona fede sono numerosi: l’acquisto dei quadricicli (beni mobili non registrati) era avvenuto a prezzo di mercato presso un esercizio commerciale operante nel settore; nell’occasione l’imputato aveva preteso i documenti personali dell’addetto alla vendita (COGNOME NOME) il quale tuttavia gli aveva fornito una copia di identità falsa; durante il trasferimento di tali mezzi vi era stat un controllo su strada da parte delle forze dell’ordine dal quale non erano emerse anomalie; in sede di rivendita dei quadricicli, COGNOME aveva rilasciato ricevute con il timbro dell’esercizio commerciale intestato alla moglie; sentito dalla polizia giudiziaria, aveva prontamente indicato il fornitore dei quadricicli comunicando anche il recapito telefonico di questi.
COGNOME NOMECOGNOME persona offesa del reato di cui al capo di imputazione H), pur essendo operatore commerciale nel settore degli autoveicoli, ha affermato di avere acquistato dall’imputato il quadriciclo, senza avere effettuato alcun accertamento in ordine alla sua provenienza perché appariva tutto regolare.
La Corte territoriale ha ritenuto integrato il dolo di reato sul presupposto che COGNOME non aveva fornito indicazioni attendibile sulla provenienza dei quadricicli, così operando una inversione dell’onere della prova in violazione dei principi costituzionali.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 192 e 546 codice di rito, 368 cod. pen.
La Corte di appello ha omesso di fornire motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha inteso confermare il giudizio di responsabilità anche per il delitto di calunnia che non sussiste poiché COGNOME non denunziò COGNOME NOME, bensì la persona che gli aveva venduto i quadricicli e che a lui si era presentato come tale consegnandogli copia del documento di identità.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 157 e 161 cod. pen., 546 codice di rito.
La Corte territoriale ha omesso di indicare le ragioni per le quali non ha ritenuto i reati estinti per intervenuta prescrizione, maturata ancor prima della fissazione del giudizio di appello.
L’aumento da considerare per la recidiva era della metà, sicchè per il più recente dei delitti di ricettazione (la cui consumazione si colloca nel maggio 2008 e comunque non oltre il giorno 1 settembre 2008) il termine massimo di prescrizione è spirato il 3 marzo 2021.
Anche a volere ritenere un aumento per la recidiva di due terzi, il termine è comunque scaduto il 4 luglio 2022.
2.5. Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 62 bis, 99, 133 cod. pen. per avere la Corte omesso di motivare:
con riferimento ai profili della dosimetria della pena base ma anche degli aumenti operati a titolo di continuazione rispetto ai quali ricorre anche la violazione di legge in quanto essi avrebbero dovuto essere distintamente quantificati (e non determinati tutti nella medesima misura) tenuto conto che tra i reati posti in continuazione è contemplato anche il reato di calunnia che è disomogeneo rispetto agli ulteriori illeciti di ricettazione;
con riferimento alla mancata disapplicazione della recidiva: i giudici di appello non hanno dato conto delle ragioni per cui i reati contestati sarebbero espressione di una maggiore pericolosità, considerata la loro risalenza nel tempo;
-con riferimento al mancato bilanciamento delle già concesse attenuanti generiche in termini di prevalenza sulla recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondata è la dedotta nullità della sentenza impugnata per omessa indicazione nell’ epigrafe dei capi di imputazione contestati all’imputato.
2.1 Effettivamente nella intestazione della sentenza di appello risultano riportati solo gli addebiti sub C-D-E ed F, non risultando trascritti i capi G-IeH per i quali è stata confermata condanna in primo grado, i capi B ed L (assorbiti rispettivamente in A, B) ed I) e i capi A-M e N (per i quali è intervenuta declaratoria di non procedibilità).
2.2. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che la mancata trascrizione dei capi di imputazione nell’epigrafe della sentenza non determina alcuna invalidità, in quanto l’art. 546, comma 3, cod. proc. pen. sanziona, a pena di nullità, la sola mancanza o incompletezza del dispositivo e l’assenza di sottoscrizione del giudice; l’enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all’imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione, tenendo conto delle sentenze di primo e secondo grado, che si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 5500 del 09/10/2013- dep. 2014, Cinel, Rv. 25819701; Sez. 3, n. 39894 del 28/5/2014, P.G. in proc. Bollini, Rv. 26038501; Sez. 3 n. 48348 del 29/09/2017, COGNOME, Rv.271882; Sez. 3, n. 28675 del 24/09/2020, R., Rv. 279968).
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2.3. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado riporta per intero gli addebiti oggetto di giudizio, poi richiamati espressamente nel corpo della motivazione con il preciso ed espresso riferimento alla lettera delle singole imputazioni e alle rispettive condotte contestate; nell’apparato argomentativo della pronuncia di appello si evince l’enunciazione dei fatti e delle circostanze relative agli addebiti di ricettazione (così riqualificata le originarie contestazioni riciclaggio), che sono gli unici appellati (per il solo profilo della sussistenza de dolo) a seguito dell’intervenuto giudizio di condanna.
L’intero complesso degli addebiti contestati era dunque ben noto all’imputato, die risulta riportato anche nel decreto di citazione a giudizio innanzi al Tribunale, come emerge dal fascicolo di merito il cui esame è consentito a questa Corte in ragione della questione processuale dedotta.
Non si profila pertanto alcuna lesione del diritto di difesa dell’imputato con riferimento alla incompleta intestazione della sentenza di appello, frutto di un evidente refuso.
Manifestamente infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso che possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro correlati.
3.1. La mancata derubricazione dei fatti nella fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 712 cod. pen. discende logicamente dalla ritenuta sussistenza del dolo di ricettazione che la Corte di appello ha ravvisato, quantomeno in forma eventuale, con conseguente esclusione dell’ipotesi di incauto acquisto.
È principio consolidato che il criterio distintivo tra il delitto di ricettazione il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza consiste proprio nell’elemento psicologico nel senso che nel primo caso l’agente ha la consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa acquistata o ricevuta, mentre nel secondo caso ricorre una condotta colposa consistente nel mancato accertamento della provenienza della cosa acquistata o ricevuta. L’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale che si configura in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. U, n.12433 del 26/11/2009, dep. 2010, COGNOME, RV. 246324) non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare l’origine lecita della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di bene di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238515, Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, COGNOME, Rv. 257237; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. N. 270179).
La diversa qualificazione giuridica operata da altra autorità giudiziaria in relazione ad un fatto sovrapponibile, per le concrete modalità di realizzazione, a quelli contestati nel presente giudizio è circostanza del tutto irrilevante.
3.2. La sussistenza del dolo di ricettazione è stata affermata dalla Corte di appello sviluppando un apparato argomentativo privo di manifesti vizi logici.
Pacifico il possesso da parte dell’imputato di mezzi di provenienza furtiva, corredati anche da falsi certificati di idoneità tecnica, la sentenza impugnata (pagg. 5 e 6) ha dato conto, in risposta alle deduzioni della difesa appellante, che COGNOME non aveva in alcun modo documentato l’acquisto degli stessi presso una rivendita romana ed anzi aveva indicato quale dante causa un soggetto (tale NOME COGNOME) del quale aveva fornito la copia del documento falsificato; del resto- ha osservato- era del tutto contrario alla logica e alla comune esperienza, un acquisto, a fini di rivendita, di beni iscritti al pubblico registro e di valore cospicuo, senza previo tracciamento delle fasi dell’operazione commerciale e dell’identità del venditore.
Tale costrutto motivazionale è del tutto aderente all’indirizzo ermeneutico, dettato dalla giurisprudenza di legittimità (e che qui si ribadisce) per cui, la circostanza che l’imputato sia stato trovato nella disponibilità di un bene provento di delitto e non abbia fornito alcuna attendibile giustificazione in ordine a tale possesso, integra il dolo del delitto di ricettazione perché rivelatrice di una volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede ( tra le tante, Sez. 2, n. 50952 del 26/11/2013 , COGNOME, Rv. 257983; Sez. 1, n. 13599 del 13/03/2012 Pomella, Rv. 252285; Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2010, Tenne, Rv. 248718; Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, Rv. 248265; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120).
Tale principio non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sul consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713). Non si richiede, in tal modo, all’imputato di provare la provenienza del possesso della cosa, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine di tale disponibilità, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione dì un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice (in tal senso, Sez. U. n. 35535 de 12.7.2007, COGNOME, Rv. 236914, in motivazione).
Manifestamente destituito di fondamento è anche il quarto motivo di appello con il quale si deduce che i giudici di secondo grado avrebbero omesso di
fornire contezza in ordine alle ragioni per cui ha inteso confermare il giudizio di responsabilità anche per il delitto di calunnia.
La doglianza è del tutto inconferente.
Nel giudizio di primo grado è stata emessa declaratoria di non procedibilità per tale reato in quanto estinto per prescrizione e rispetto a tale statuizione la Corte territoriale non si è pronunciata in quanto mai devoluta con l’atto di appello, nel quale la affermata non falsità della denuncia penale sporta dall’imputato nei confronti di NOME COGNOME era stata valorizzata esclusivamente per sostenere la buona fede dell’imputato nella ricezione di quadricicli e, dunque, l’assenza del dolo dei contestati illeciti di ricettazione.
Inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso relativo alla omessa declaratoria di estinzione dei reati per i quali è intervenuta condanna in ragione della intervenuta prescrizione i cui termini, secondo il ricorrente, sarebbero decorsi in data precedente alla sentenza di appello.
I capi di imputazione – ancorchè contenenti il riferimento all’art. 99, comma secondo, cod. pen. – contestano all’imputato la recidiva reiterata specifica che, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, comma secondo, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, comma secondo, cod. pen. (Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, COGNOME, Rv. 268214; Sez. 3, n. 50619 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 271802; Sez. 2, n. 5985 del 10/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272015; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490; Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267).
Ne consegue – come correttamente affermato dalla Corte territoriale (pag. 8 della sentenza impugnata – che per ciascuno dei delitti di ricettazione (punito con la pena detentiva massima di anni otto di reclusione) il termine di prescrizione (in ragione delle intervenute cause interruttive) è pari ad anni 22, mesi 2 e giorni 20 decorrenti dal 28/12/2006 per il capo C), dal 21/03/2007 per il capo E), dal 04/06/2007 per il capo G), dal 20/04/2008 per il capo H) e dal 01/09/2008 per il capo I); a detto termine vanno ulteriormente aggiunti complessivi mesi 11 e giorni 18 di sospensione ex lege disposta nel primo e nel secondo grado di giudizio.
Al momento della pronuncia di appello, quindi, non era maturato il termine di prescrizione.
inammissibili, infine, sono le doglianze dedotte con il sesto motivo di ricorso avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio.
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La doglianza relativa alla violazione di legge in punto di dosimetria della pena base e degli aumenti operati a titolo di continuazione non è stata oggetto di motivo appello e quindi non può essere esaminata in questa sede.
Quanto alla mancata disapplicazione della recidiva, la sentenza impugnata (pagg. 7 e 8) ha fornito adeguata motivazione al riguardo evidenziando che la gravità dei fatti, da considerarsi nel loro complesso e connotati da particolare insidiosità , rappresentava sintomo di rafforzata pericolosità sociale, ove valutata in uno con le numerose condanne riportate dall’imputato anche per delitti della stessa indole.
Per le medesime ragioni, la Corte di appello ha escluso di potere operare in termini di prevalenza il bilanciamento delle attenuanti generiche, riconosciute dal primo giudice, sulla ritenuta recidiva reiterata e specifica, operazione che sarebbe stata comunque preclusa dal divieto normativo previsto dall’art. 69, comma quarto, cod. pen.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 25/10/2024.