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Dolo eventuale: non basta per il tentato omicidio

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per tentato omicidio, stabilendo un principio fondamentale sull’elemento psicologico del reato. Il caso riguardava un’aggressione con un coltello alla gola. La Corte ha chiarito che per configurare un tentativo non è sufficiente il dolo eventuale, ovvero la mera accettazione del rischio della morte della vittima, ma è necessario il dolo diretto, cioè la volontà finalizzata a causare l’evento. La sentenza è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione dei fatti.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo Eventuale: Non Sufficienza per il Tentato Omicidio secondo la Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di reati tentati, specificando la natura dell’elemento psicologico richiesto. La Corte ha stabilito che per configurare il tentato omicidio non basta il dolo eventuale, ovvero la semplice accettazione del rischio che la vittima possa morire, ma è indispensabile la presenza di un dolo diretto. Questa decisione ha portato all’annullamento di una condanna e impone una riflessione attenta sulla distinzione tra la volontà di ferire e quella di uccidere.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’aggressione avvenuta all’interno di un’abitazione, durante la quale l’imputato ha colpito la vittima alla gola con un coltello dotato di una lama di notevole lunghezza (19 cm), sfiorando i vasi arteriosi e mettendone in pericolo la vita. Inizialmente accusato anche di rapina (poi derubricata a furto aggravato e infine archiviata con assoluzione), l’uomo era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per tentato omicidio. La pena era stata fissata, in appello, a tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione, tenendo conto della concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, sia procedurali che di merito. Sebbene le censure procedurali relative alla verbalizzazione sintetica di alcune testimonianze siano state respinte, il cuore del ricorso si concentrava sulla errata qualificazione dell’elemento psicologico del reato.

La tesi difensiva sosteneva la mancanza di un vero e proprio animus necandi (intenzione di uccidere). Secondo i legali, la Corte d’Appello aveva motivato la condanna in modo contraddittorio e apparente, senza considerare adeguatamente elementi che avrebbero potuto indicare un’intenzione diversa, come quella di commettere il reato meno grave di lesioni personali. La difesa ha evidenziato come la stessa Corte d’Appello avesse mostrato dubbi sull’attendibilità della vittima in relazione al reato di furto, ma non avesse applicato lo stesso rigore critico nel valutare la dinamica dell’accoltellamento.

La Critica alla Motivazione sul Dolo Eventuale

Il punto cruciale del ricorso riguardava l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui il fendente era caratterizzato da “dolo, almeno eventuale, rispetto al possibile evento letale”. Questa qualificazione è stata fortemente contestata dalla difesa, che ha sottolineato come la giurisprudenza costante richieda, per la configurabilità del tentativo, un dolo diretto e non meramente eventuale. L’agente deve agire con l’obiettivo specifico di commettere il delitto, non solo accettandone il rischio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto le doglianze relative all’elemento psicologico, ritenendole fondate. I giudici hanno evidenziato come la motivazione della sentenza impugnata fosse viziata da un errore di diritto fondamentale. L’aver ritenuto sufficiente un “dolo, almeno eventuale” per sostenere una condanna per tentato omicidio si pone in netto contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.

La Corte ha ribadito che la fattispecie del delitto tentato è incompatibile con il dolo eventuale. Il tentativo richiede che gli atti compiuti siano “diretti in modo non equivoco” a commettere il reato. Tale finalità univoca presuppone una volontà diretta a produrre l’evento lesivo (in questo caso, la morte), e non una mera accettazione del rischio che esso si verifichi. Il dolo richiesto è quello diretto, che può manifestarsi anche nella forma del dolo alternativo (quando l’agente si rappresenta e vuole indifferentemente uno tra più eventi), ma non in quella del dolo eventuale.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per tentato omicidio. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello competente, in diversa composizione, per un nuovo giudizio. I nuovi giudici dovranno attenersi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione: per affermare la responsabilità per tentato omicidio, dovranno accertare la sussistenza di un dolo diretto, e non meramente eventuale, nella condotta dell’imputato. Questo riesame potrebbe portare a una riqualificazione del fatto nel reato meno grave di lesioni personali aggravate, con conseguenze significative sulla pena.

È sufficiente il dolo eventuale per configurare il reato di tentato omicidio?
No, secondo la sentenza della Corte di Cassazione, il dolo eventuale (la mera accettazione del rischio che l’evento morte si verifichi) non è compatibile con la fattispecie del tentato omicidio.

Quale tipo di dolo è richiesto per la configurabilità del tentato omicidio?
Per il tentato omicidio è richiesto il dolo diretto, che può manifestarsi anche nella forma del dolo alternativo. L’agente deve compiere atti diretti in modo non equivoco a causare la morte, con una volontà finalizzata a tale evento.

Qual è stata la conseguenza della decisione della Cassazione in questo specifico caso?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna della Corte d’Appello e ha disposto il rinvio per un nuovo giudizio. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi al principio secondo cui per il tentato omicidio è necessario il dolo diretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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