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Dolo eventuale nel reimpiego: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna per reimpiego di proventi illeciti a carico dei dirigenti di un’associazione sportiva. La sentenza stabilisce che ignorare volontariamente numerosi e gravi indizi sulla provenienza sospetta di ingenti somme di denaro configura dolo eventuale e non semplice negligenza. I dirigenti, pur non avendo prova certa del reato presupposto (un furto ai danni di una grande società), avevano accettato il rischio che i fondi fossero di origine criminale, utilizzandoli per le attività dell’associazione.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo eventuale nel reimpiego: quando ‘non sapere’ diventa una colpa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale per amministratori e dirigenti: ignorare deliberatamente i segnali di allarme sulla provenienza di fondi può costare una condanna per reimpiego di capitali illeciti. Il caso analizzato chiarisce la sottile ma fondamentale differenza tra semplice negligenza e dolo eventuale, una forma di intenzione che si configura quando si accetta il rischio di commettere un reato.

I Fatti: Una Sponsorizzazione Anomala

Al centro della vicenda vi sono i vertici di un’associazione sportiva dilettantistica, condannati per aver utilizzato ingenti somme di denaro di provenienza illecita. Per circa quattro anni, l’associazione aveva ricevuto bonifici per oltre 500.000 euro da una grande multiutility. I fondi, tuttavia, non erano frutto di una legittima sponsorizzazione, ma venivano sottratti alla società da due suoi dipendenti infedeli.

I dirigenti dell’associazione si sono sempre difesi sostenendo di essere in buona fede. A loro dire, credevano che quei soldi fossero degli acconti per un ricco contratto di sponsorizzazione in via di perfezionamento con un noto gruppo del settore alimentare, e che la multiutility fosse solo un intermediario tecnico per i pagamenti. Una tesi che, tuttavia, non ha convinto i giudici.

La Decisione della Corte: Il Dolo Eventuale nel Reato di Reimpiego

La Corte di Appello, ribaltando l’assoluzione di primo grado, ha ritenuto i dirigenti colpevoli del reato di reimpiego di cui all’art. 648-ter del codice penale. La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, rigettando il ricorso della difesa. Il punto nodale della sentenza è l’affermazione del dolo eventuale nella condotta degli imputati.

Secondo i giudici, i dirigenti, pur non avendo la certezza assoluta che il denaro provenisse da un furto, si sono trovati di fronte a una serie di anomalie così evidenti da non poterle ignorare. Proseguendo nell’incassare e utilizzare quei fondi, hanno consapevolmente accettato il rischio che si trattasse di proventi di un’attività criminale.

Le Motivazioni: Oltre la Semplice Negligenza

La Corte ha individuato una serie di “indici” che, complessivamente considerati, rendevano insostenibile la tesi della buona fede e della mera negligenza. Questi elementi dimostravano una volontaria accettazione del rischio, configurando così il dolo eventuale:

1. Mancanza di Causali Chiare: I bonifici non riportavano alcun riferimento a un contratto di sponsorizzazione.
2. Incoerenza tra Pagatore e Sponsor: Il denaro proveniva da una società operante in un settore (utility) completamente diverso da quello del presunto sponsor (alimentare).
3. Anormalità degli Importi: Le somme ricevute erano sproporzionate e non giustificate da alcuna documentazione contrattuale.
4. Avvertimenti Ignorati: La commercialista dell’associazione aveva espresso più volte i suoi dubbi sulla regolarità delle operazioni, sollecitando chiarimenti e la restituzione delle somme.
5. Fiducia Ingiustificata: I dirigenti si erano basati unicamente sulle rassicurazioni vaghe di uno dei dipendenti infedeli, senza mai cercare un riscontro diretto con il presunto sponsor.
6. Modalità di Spesa: Una parte consistente dei fondi veniva prelevata in contanti presso gli sportelli bancari, una modalità atipica per la gestione trasparente di un’associazione.

La difesa ha tentato di sostenere che si trattasse al massimo di colpa cosciente, ovvero che i dirigenti avessero sì percepito un rischio, ma confidando che l’illecito non si sarebbe concretizzato. La Cassazione ha respinto questa lettura, sottolineando come la pluralità e la gravità degli indizi imponessero un dovere di agire e verificare. Non farlo ha significato accettare pienamente le conseguenze illecite della propria condotta.

Conclusioni: Implicazioni per Dirigenti e Amministratori

Questa sentenza lancia un messaggio inequivocabile a chiunque gestisca flussi di denaro per conto di società o associazioni. La buona fede non può essere uno scudo dietro cui nascondersi di fronte a palesi anomalie finanziarie. La legge richiede un atteggiamento attivo di vigilanza. Accettare fondi da fonti inspiegabili, basandosi su giustificazioni vaghe e senza effettuare le dovute verifiche, non è semplice leggerezza: è una condotta che può integrare il dolo eventuale e portare a gravi conseguenze penali. La responsabilità di un amministratore non si ferma alla gestione ordinaria, ma include il dovere di garantire la liceità delle risorse che transitano sui conti dell’ente che rappresenta.

Qual è la differenza tra ‘dolo eventuale’ e ‘colpa cosciente’ secondo questa sentenza?
La differenza risiede nell’atteggiamento psicologico verso il rischio. Nella colpa cosciente, l’agente prevede il rischio di un evento illecito ma agisce confidando che non si verificherà. Nel dolo eventuale, invece, l’agente prevede il rischio come una conseguenza concreta della sua azione e, pur di raggiungere il suo scopo, ne accetta la possibile verificazione. In questo caso, i dirigenti hanno accettato il rischio che i fondi fossero illeciti.

Perché la buona fede dei dirigenti dell’associazione non è stata ritenuta credibile?
La loro buona fede è stata esclusa a causa di una serie di circostanze oggettive e gravi anomalie (i cosiddetti ‘indici’) che avrebbero dovuto allertare qualsiasi amministratore diligente. Tra queste, la provenienza del denaro da una società incongrua, l’assenza di un contratto formale, gli avvertimenti della commercialista e l’uso di ingenti prelievi in contanti. Ignorare tutto ciò è stato interpretato come una scelta deliberata di non voler sapere.

Per essere condannati per reimpiego, è necessario conoscere esattamente il reato da cui provengono i soldi?
No. La sentenza chiarisce che per integrare il dolo del reato di reimpiego (art. 648-ter c.p.) è sufficiente una consapevolezza generica della provenienza delittuosa dei capitali. Non è richiesta la conoscenza specifica del reato presupposto (in questo caso, il furto commesso dai dipendenti), ma basta la consapevole accettazione del rischio che il denaro sia ‘sporco’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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