Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in Egitto il 01/07/1999
avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di cassazione di voler dichiarare inammissibile il ricorso con le conseguenti statuizioni;
lette le conclusioni del difensore Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 marzo 2024 la Corte di appello di Roma confermava la decisione con la quale il Tribunale di Roma, ad esito del giudizio ordinario, aveva condannato alla pena di tre anni, sei mesi di reclusione e 1.200,00 euro di multa NOME per i reati di rapina e lesioni, entrambi aggravati.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione di due motivi.
2.1. Vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni personali, con travisamento della prova, avuto riguardo alle dichiarazioni rese dall’operante COGNOME.
Detto elemento si caratterizza per un quid pluris rispetto al dolo sotteso alla condotta violenta integrante la rapina e va nel caso di specie escluso, considerato il tenore delle suddette dichiarazioni, idonee a far dubitare in ordine alla effettiva conoscenza da parte dell’imputato della condotta posta in essere dal correo.
2.2. Violazione della legge penale in relazione alla determinazione della pena a seguito della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità dell’art. 628 del codice penale con la sentenza n. 86 del 13 maggio 2024 della Corte costituzionale.
In forza di detta pronuncia, successiva a quella della sentenza impugnata, la pena dovrebbe essere ridotta, poiché il fatto commesso risulta di lieve entità, tant’è che il Tribunale ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, determinando la pena base nel minimo edittale, con un trattamento sanzionatorio ritenuto equo e proporzionato dalla Corte territoriale.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione proposta ai sensi dell’art. 611, commi 1 -bis e 1 -ter, del codice di rito.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate, alle quali ha replicato il difensore del ricorrente con memoria del 13 dicembre 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto proposto con motivi manifestamente infondati.
2. Il primo motivo di ricorso è privo di ogni fondamento.
Non sussiste alcuno dei vizi della motivazione, peraltro cumulativamente lamentati dalla difesa, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale «i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità» (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027, non mass. sul punto; nello stesso senso, da ultimo, v. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01).
In realtà la difesa, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, non ha lamentato una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, perché su una valutazione delle prove asseritamente contrastante con quanto emerso in dibattimento.
Il ricorrente ha impropriamente evocato un travisamento della prova, vizio che vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica d conformità delle rappresentazioni dell’elemento probatorio nella motivazione e, rispettivamente, nel relativo atto del processo per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a -valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persi divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (cfr. Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01).
Il ricorso (pag. 4) ha riportato due sole risposte del teste COGNOME a fronte della sua lunga deposizione, trascritta alle pagg. 4 -14 del verbale stenotipico allegato allo stesso atto, che è stata ben sintetizzata e valutata nella sentenza impugnata, senza alcun travisamento, là dove ha dato atto che – secondo quanto riferito dall’operante – Mosalem era stato proprio colui che aveva spintonato la vittima contro il parapetto, tenendola lì subito prima che uno dei correi la colpisse violentemente (pagg. 6, 9, 11 e 12).
Correttamente, vista la suddetta ricostruzione del fatto, la Corte territoriale, disattendendo il motivo di gravame nel quale pure erano riportate le stesse frasi del teste trascritte nel ricorso, ha riconosciuto la sussistenza del dolo anche in relazione al delitto di lesione personale, risultando del tutto irrilevante l circostanza che non fu Mosalem a colpire con calci e pugni la persona offesa.
La prospettazione difensiva secondo cui l’imputato avrebbe volontariamente preso parte alla rapina commessa con violenza ma non avrebbe inteso cagionare lesioni è priva di fondamento e oblitera il principio, costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale per la sussistenza del dolo di lesioni non è necessario che la volontà del soggetto agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, essendo sufficiente la consapevolezza che l’azione propria o del concorrente provochi ovvero possa provocare danni fisici alla vittima; basta, quindi, il dolo generico che deve reputarsi sussistente anche nella forma eventuale (cfr., ad es., Sez. 4, n. 28891 del 11/06/2019, COGNOME, Rv. 276373 01; Sez. 6, n. 7389 del 24/01/2014, COGNOME, Rv. 258803 – 01; Sez. 5, n. 35075 del 21/04/2010, B., Rv. 248394 – 01; da ultimo v. Sez. 7, n. 35635 del 09/09/2024, COGNOME, non mass.).
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Con la sentenza n. 86 del 13 maggio 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, e in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dell’art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevedono che la pena ivi comminata «è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Nel caso di specie, avuto riguardo al bene sottratto (una collanina d’oro del valore di circa 2.500 euro) e alle lesioni subite (frattura ossa nasali), va escluso in radice che il danno arrecato sia stato tenue.
Inoltre, la ricostruzione del fatto effettuata dai giudici di merito, anche avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, non lascia alcuno spazio per una nuova valutazione da parte della Corte d’appello in ordine alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della ulteriore circostanza attenuante introdotta nell’ordinamento a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale: la rapina, infatti, oltre a cagionare le descritte lesioni, fu consumata da tre persone, in tempo di notte e con modalità particolarmente aggressive e violente (v. pag. 12 della sentenza di primo grado).
Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2024.