Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1465 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1465 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Nocera Inferiore il 20/10/1964
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 del Tribunale di Parma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 25 maggio 2023 e depositata il 6 giugno 2023, il Tribunale di Parma, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha respinto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo a fini di confisca diretta della somma di denaro di
54.705.231,18 euro nella sua disponibilità, o, in subordine, a fini di confisca per equivalente, di beni nella sua disponibilità fino a concorrenza di tale importo.
Il sequestro è stato disposto con riferimento al reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di illeciti penali tributari (capo 1), nonché ai reati di omessa dichiarazione ai fini IVA da parte della “RAGIONE_SOCIALE” per gli anni 2017, 2018 e 2019, per importi multimilionari (capi 2, 3 4) e di omesso versamento IVA da parte della “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2019 per l’importo di 15.171.159,00 euro (capo 9).
I reati contestati sono stati ipotizzati con riferimento alla compravendita di prodotti petroliferi. Secondo l’ordinanza impugnata, i prodotti petroliferi: a provenivano da raffinerie site in Slovenia (Petrol D.D.) e Croazia (RAGIONE_SOCIALE d.d.); b) erano acquistati da società del Regno Unito (“RAGIONE_SOCIALE“) e della Romania (“RAGIONE_SOCIALE“), facenti capo all’attuale ricorrente NOME COGNOME; c) erano poi venduti da queste società inglesi o romene a società “cartiere” con sede in Italia, come la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, facenti capo a NOME COGNOME, il quale di avvaleva della collaborazione di NOME COGNOME e dell’attuale ricorrente NOME COGNOME; d) erano quindi rivenduti dalle società “RAGIONE_SOCIALE“, le quali non versavano l’I.V.A. dovuta e spesso agivano quali evasori totali, al destinatario finale “COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, facente capo a NOME COGNOME, talvolta anche con l’intermediazione di un ulteriore passaggio, costituito dalla “RAGIONE_SOCIALE“; e) veniva trasportati direttamente dalle raffinerie al deposito del destinatario finale “RAGIONE_SOCIALE” dalla società croata “RAGIONE_SOCIALE“, di fatto gestita dall’at ricorrente NOME COGNOME Sempre secondo il Tribunale, la frode ha prodotto un danno complessivo di almeno 92.379.036,94 euro per il triennio 2016/2019.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe NOME COGNOME con due distinti atti, uno sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME e l’altro dall’avvocato NOME COGNOME
Il ricorso a firma dell’avvocato COGNOME è articolato in quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 416 e 640 cod. pen., 5, 8 e 10-ter d.igs. n. 74 del 2000, 8, 23 e 25 d.lgs. n. 504 del 1995, 1, commi da 945 a 959, legge n. 205 dei 2017, e 50-bis d.l. n. 331 del 1993, a norma dell’art. 606, comma IL, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che l’estraneità del ricorrente al sistema fraudolento ipotizzato è desumibile, in primo luogo, dall’applicazione delle regole concernenti il commercio intracomunitario dei prodotti sottoposti ad accisa.
Si premette che il sistema normativa applicabile è fondato, in particolare, sugli artt. 5, 8, 23 e 25 d.lgs. n. 504 del 1995, 1, commi 9 e da 937 a 959, legge n. 205 del 2017, e 50-bis d.l. n. 331 del 1993. Si precisa che in forza di questa disciplina: a) la raffineria emette un primo D.A.S. (documento di accompagnamento semplificato), nel quale si indicano il deposito fiscale o il destinatario registrato, obbligatoriamente dotati di un “codice accisa”, presso i quali il prodotto petrolifero viene consegnato in c.d. “sospensione di imposta”, e dal quale può essere prelevato solo previa pagamento dell’IVA e dell’accisa; b) il deposito fiscale o il destinatario registrato attestano sia la regolarità del consegna, sia, all’atto del prelievo presso tale deposito, il regolare pagamento delle accise e dell’IVA, e rimangono coobbligati in solido in caso di inadempimento di tali debiti fiscali; c) in particolare, al momento del prelievo, l’acquirente prodotto deve dimostrare di aver pagato VIVA e accise producendo il modello F24, o deve presentare una fideiussione assicurativa o bancaria di pari importo, e gli estremi del versamento o della fideiussione debbono essere annotati sul secondo D.A.S., rilasciato per il trasporto dal deposito fiscale al cliente finale.
Si osserva che, in conformità con le disposizioni normative applicabili, l’attuale ricorrente, non essendo il titolare del deposito fiscale o del destinatari autorizzato, non doveva disporre di alcun “codice accisa”, e, non essendo l’acquirente del prodotto giacente presso il deposito fiscale o il destinatari registrato, non era tenuto ad alcun pagamento di imposi:a: egli vendeva in esenzione e non doveva preoccuparsi né dell’accisa, né dell’IVA. Si aggiunge che, anzi, l’attuale ricorrente ragionevolmente confidava nella regolarità delle operazioni, perché il depositario, omettendo di compiere una efficace vigilanza, oltre ad assumere su di sé il debito fiscale, poneva a rischio la propria autorizzazione. Si rileva, inoltre, che l’unico profitto tratto dall’attuale ricorr dalla partecipazione alle operazioni in contestazione è costituito, come riconosce l’ordinanza impugnata, dall’aver venduto a prezzo di mercato i prodotti petroliferi acquistati, e, quindi, è un profitto lecito. Si segnala, ancora, che le imprese italian acquirenti dall’estero, come “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, erano obbligate esclusivamente ad avere un deposito fiscale, e questo vi era nel caso di specie, identificandosi nella “RAGIONE_SOCIALE“. Si evidenzia, quind che, in linea con la disciplina normativa vigente, il primo D.A.S. era emesso dalla raffineria estera, mentre il secondo D.A.S. era emesso dalla “RAGIONE_SOCIALE“, e che il destinatario finale acquistava dalle ditte italiane importatrici, co appunto “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, perché erano queste ultime a disporre dell’attestazione, rilasciata dal deposito fiscale, del regolare pagamento delle accise e dell’IVA.
Si espone, a questo punto, che il Tribunale ha desunto la serietà degli indizi a carico dell’attuale ricorrente dalla sua consapevolezza in ordine al destinatario
3 GLYPH
–
finale dei prodotti. Si segnala che questo dato è del tutto irrilevante, in quant l’attuale ricorrente era il venditore di prodotti destinati ad un deposito fiscale spesso, il fornitore del servizio di trasporto, mediante apposito contratto: come tale, non aveva obblighi di verifica circa la sorte fiscale del prodotto, e non era conoscenza del prezzo praticato al destinatario finale, anche perché non riportato sul secondo D.A.S.; egli, inoltre, poteva specificamente confidare sulla regolarità delle successive vendite, posta, in particolare, l’esistenza di autorizzazioni rilasciate sia al deposito fiscale “RAGIONE_SOCIALE“, sia alle società ita importatrici “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 321 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc pen., avendo riguardo ancora alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che vi è assoluto difetto di motivazione in ordine al coinvolgimento dell’attuale ricorrente nei reati in contestazione.
Si osserva, in primo luogo, che il reato di associazione per delinquere è a dolo specifico, sicché non può essere sufficiente il dolo eventuale (si cita Sez. 1, n. 4342 del 14/10/1994), come invece ritiene l’ordinanza impugnata. Si aggiunge, inoltre, e in termini generali, che il dolo non può essere desunto, come «elemento principe» (così si esprime l’ordinanza impugnata), dal vantaggio di vendere prodotti petroliferi a prezzo di mercato, trattandosi di un profitto lecito.
Si evidenzia, poi, che la vendita del prodotto non poteva essere effettuata direttamente dalle società inglesi e romene dell’attuale ricorrente al destinatario finale, la “RAGIONE_SOCIALE“, perché quest’ultima non disponeva dell’atto di assenso del deposito fiscale, ossia della “RAGIONE_SOCIALE“, per lo stoccaggio e la nazionalizzazione del prodotto. Si segnala che, del resto, non risulta alcun contatto diretto, nonostante l’attività di intercettazione effettuata, tra l’att ricorrente e il titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE
Si rappresenta, ancora, che l’attuale ricorrente non può essere accusato sul presupposto del “non poteva non sapere” della frode, anche perché: a) egli consegnava ad un deposito autorizzato, il quale rilasciava il prodotto verso il destinatario finale solo dopo aver accertato l’avvenuto adempimento dell’obbligo di versare VIVA o la presentazione di polizza fideiussoria o assicurativa, dandone specifica attestazione nel secondo D.A.S.; b) i suoi acquirenti, la “RAGIONE_SOCIALE e la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, erano in possesso di autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate.
Si segnala, quindi, che non può postularsi la partecipazione dell’attuale ricorrente ad una stabile organizzazione illecita con i pretesi sodali, perché: a) i medesimo aveva ordinari rapporti con i legali rappresentanti della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE“, tra l’altro spesso in termini conflittuali, specie per la misurazione dei carichi, si è relazionato con Marsiglia
siccome intermediario e rappresentante di tali società, in misura inoltre poco frequente, essendo stati accertati solo dodici colloqui nell’arco di oltre due anni, e non risulta aver avuto alcun contatto con COGNOME; b) solo una parte modesta del fatturato della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE“, così come della “RAGIONE_SOCIALE“, si riferisce a prodotti provenienti dal società facenti capo all’attuale ricorrente; c) le ditte dell’attuale ricorrente, co documentato nella consulenza tecnica prodotta dalla difesa, avevano rapporti con molte altre imprese del settore.
Si rileva, infine, che nessun rilievo indiziario può essere attribuito all’ave l’attuale ricorrente, attraverso società a lui riferite, curato l’attività di traspor prodotto fino al destinatario finale, anche perché tale attività è stata svolta pur da altre imprese.
Si conclude: «In definitiva, non potevano dirsi configurati gli elementi materiali e oggettivi dei reati in contestazione, sia perché COGNOME non doveva pagare l’Iva, non aveva alcun interesse perché non fosse pagata e doveva ritenere che fosse stata pagata (vista la attestazione offerta dal destinatario registrato su “secondo” RAGIONE_SOCIALE); sia perché le sue condotte i suoi rapporti con gli altri coindagati erano di natura banalmente commerciale e pienamente leciti, oltre che frequentemente conflittuali».
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art 321 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla omessa motivazione in ordine al periculum in mora.
Si deduce che il provvedimento impugnato è del tutto privo di riferimenti al periculum in mora, e che anche il provvedimento genetico contiene solo generici cenni alla disponibilità di conti all’estero e a finanziamenti agli investimenti immobiliari realizzati dalla moglie, nonostante le censure della difesa sul punto, corredate anche da indicazioni sulla consistenza patrimoniale delle società dell’attuale ricorrente. Si precisa che, attraverso la consulenza tecnica, erano stati documentati gli ingenti volumi di affari delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e che, inoltre, le vendite di prodotti petroliferi alla “RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” avevano rappresentato solo il 26 % del fatturato di “RAGIONE_SOCIALE” e il 16 % del fatturato di “RAGIONE_SOCIALE“.
Si aggiunge che il volume delle vendite da “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” a “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” è stato pari 31.976.282,60 euro, come si evince dai capi di imputazione 15, 16, 17, 18 e 19, con conseguente IVA pari a 7.034.782,17 euro, siccome calcolata all’aliquota del 22 0/0, e che, invece, il provvedimento di sequestro ha ad oggetto l’importo di 54.705.231,18 euro, in violazione, quindi, dei principi di proporzionalità ed adeguatezza della misura.
3.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge e difetto assoluto di motivazione, in ordine sia al fumus commiss; delicti, sia al periculum in mora.
Si deduce che l’ordinanza impugnata non ha fornito risposte ai molteplici rilievi sia relativamente alla ricostruzione dei fatti, anche con riguardo alla regolarit della registrazione al V.I.E.S. ed alle comunicazioni Intrastat, sia relativamente alla sussistenza del pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, sia relativamente alla proporzionalità della misura applicata.
Il ricorso a firma dell’avvocato COGNOME è articolato in cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che vi è assoluta mancanza di motivazione sulla deduzione difensiva, riassunta anche nell’ordinanza impugnata, circa l’effettuazione del “salto” d’imposta in un momento successivo alla vendita del prodotto da parte delle società dell’attuale ricorrente. Si rappresenta che nessuna risposta è fornita ai rilievi concernenti la garanzia data dal deposito registrato, la “RAGIONE_SOCIALE“, in ordine all’avvenuto pagamento dell’IVA, mediante specifica attestazione apposta sui documenti di trasporto, ed alla estraneità dell’attuale ricorrente all’attività di formazione e produzione di F24 mendaci e di false polizze alla “RAGIONE_SOCIALE“, quale presupposto per ottenere l’attestazione dell’avvenuto pagamento dell’IVA, trattandosi di condotta contestata al solo COGNOME. Si aggiunge che i contatti tra l’attuale ricorrente ed il destinatario fina della merce NOME COGNOME quale titolare della “RAGIONE_SOCIALE“, s spiegano perché l’attuale ricorrente, pur avendo ormai già venduto il prodotto, si occupava dell’intero ciclo del trasporto di questo mediante la società “RAGIONE_SOCIALE, avendo con la stessa un contratto di esclusiva.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 416 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, con riferimento all’elemento soggettivo del reato associativo di cui al capo 1.
Si deduce che l’elemento soggettivo in ordine alla condotta di partecipazione all’associazione per delinquere è individuato nel dolo eventuale, e che, però, tale forma di dolo è incompatibile con la configurabilità di un acc:ordo associativo. Si aggiunge che non è ipotizzabile una condotta di concorso esterno a carico dell’attuale ricorrente, perché, secondo la contestazione, l’associazione per delinquere risulta costituita da soli tre soggetti, tra cui proprio l’attuale ricorre
4.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 416 e 110 cod. pen., 5 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, e 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla
ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, con riferimento ai reati-fine di cui ai capi 2, 3, 4 e 9.
Si deduce che le contestazioni per i reati-fine ascritti all’attuale ricorrente fondano sull’attribuzione al medesimo, nelle imputazioni, del ruolo di gestore di fatto delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e che, però, l’ordinanza impugnata, così come quella genetica, nulla dicono in proposito. Si aggiunge che, come evidenziato nella consulenza tecnica di parte, i rapporti tra l’attuale ricorrente e le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” erano spesso conflittuali.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 416 e 110 cod. pen., 5 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, e 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, con riferimento a tutti i reati-fine contestati all’attuale ricorrente.
Si deduce che erroneamente si è ipotizzata una condotta di partecipazione nei reati contestati alla luce delle condotte concretamente ricostruite. Si premette che i reati-fine, costituiti dalle fattispecie di omessa dichiarazione e di omess versamento di IVA, sono reati omissivi istantanei propri e che, quindi, per ipotizzare il concorso in essi del soggetto estraneo, è necessario individuare condotte direttamente e causalmente collegate con quella descritta dalla disposizione incriminatrice, o comunque un accordo con l’intraneus. Si osserva che: a) le condotte di fornitura e trasporto precedenti o successive a quelle omissive, penalmente rilevanti, non hanno rilevanza causale rispetto a queste ultime; b) il dolo eventuale è incompatibile con l’accordo illecito con l’intraneus; c) il vantaggio conseguito dall’attuale ricorrente, costituito dal vendere a prezzi d mercato i prodotti petroliferi acquistati dalle raffinerie, è del tutto indifferent estraneo all’omesso pagamento dell’IVA da parte di altri soggetti, nonché in sé pienamente lecito; d) l’intermediazione delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, pur essendo queste prive di depositi registrati, non è vicenda anomala, perché l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, espressamente prevede la figura dei soggetti sprovvisti di depositi registrati, e stabilisce per ques l’obbligo di procurarsi un atto di assenso di un deposito registrato come condizione per il legittimo acquisto della merce proveniente dall’estero; e) le vendite delle società facenti capo all’attuale ricorrente, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” alle ditte cartiere “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” hanno costituito solo una parte minoritaria del fatturato delle prime, pari precisamente a non oltre il 26 % per “RAGIONE_SOCIALE” e a non oltre il 16 % per “RAGIONE_SOCIALE“; f) “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” hanno effettuato oltre l’80 % dei loro acquisti di prodotti petroliferi da soggetti diversi “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“; g) è del tutto irrilevante il dato de
p
vendite effettuate da “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” ad ulterior acquirenti responsabili di irregolarità fiscali’ anche perché del tutto parziale, perché, per legge, i doveri di controllo gravano solo sui depositi fiscali e su destinatari finali dei prodotti.
4.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art 321 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione del profitto confiscabile.
Si deduce che il profitto confiscabile è stato illegittimamente determinato sulla base dell’ammontare complessivo dell’IVA evasa da “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“. Si rappresenta, in proposito, che: a) “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” hanno acquistato l’80 % dei prodotti da ditte diverse da quelle facenti capo all’attuale ricorrente; b) “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” hanno venduto merce anche a soggetti diversi da “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“; c) l’attuale ricorrente non risulta aver gestito, neppu in maniera occulta, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“.
In replica alla requisitoria del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato distinte memorie.
Nella memoria a firma dell’avvocato COGNOME si ripropongono e sviluppano le questioni poste nei motivi in tema di fumus commissi del/citi.
Nella memoria a firma dell’avvocato COGNOME si ripropongono e sviluppano le questioni poste nei motivi, anche con riguardo alla proporzionalità del sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.
Fondate, in primo luogo, sono le censure proposte nel secondo motivo del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME e nel secondo motivo del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME nella parte in cui contestano l’affermazione di sussistenza del fumus commissi delicti nei confronti dell’attuale ricorrente in ordine al delitto di partecipazione ad associazione per delinquere, deducendo che illegittimamente il Tribunale ha ritenuto sufficiente ai fini della configurabilità del reato il eventuale.
2.1. Occorre innanzitutto premettere che, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca, è necessario accertare l’esistenza di concreti elementi di fatto anche in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo necessario per l’integrazione del reato posto a fondamento della misura.
Invero, come affermato dall’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo a fi di confisca, è necessario accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quanto meno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato (così Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278152-01, e Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272927-01).
Ora, l’indicata esigenza di accertamento non può non riguardare anche l’elemento soggettivo della fattispecie ipotizzata: anche l’elemento soggettivo è elemento costitutivo del reato, siccome necessario ai fini dell’integrazione dell’illecito penale.
In questo senso, del resto, si esprimono numerose decisioni, secondo le quali, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi de fattispecie contestata, compreso quello soggettivo, almeno quando il difetto di quest’ultimo sia di immediato rilievo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 26007 de 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276015-01, nonché Sez. 2, n. 183.31 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 266896-01, nonché ancora Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 259337-01).
2.2. Va poi rilevato che, ai fini dell’integrazione del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, è necessario il dolo diretto, non potendo ritenersi sufficiente il dolo eventuale.
2.2.1. Secondo una risalente decisione, richiamata anche dai difensori, non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale, perché i delitti di cui agli artt. 416 e 416-bis cod. pen. sono caratterizz dal dolo specifico, e deve conseguentemente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodal criminoso (così Sez. 2, n. 4342 del 14/10/1994, COGNOME, Rv. 199704-01).
Ora, indipendentemente dall’accoglimento della tesi della incompatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico, controversa in giurisprudenza (cfr., ad esempio, per la compatibilità di dolo eventuale e dolo specifico, Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104-01, relativamente al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché Sez. 5, n. 15791 del 14/03/2007, COGNOME, Rv. 236554-01, in tema di furto), deve osservarsi che, nei reati associativi, è la struttura dell fattispecie delittuosa a richiedere il dolo diretto, oltre che quello specifico.
Nelle fattispecie c.d. associative, infatti, la condotta che deve costituir oggetto di rappresentazione e volontà è quella di partecipazione attiva ad un gruppo avente lo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti.
In altri termini, la condotta penalmente rilevante consiste nell’attività d inserimento fattivo ed organico in un gruppo la cui ragion d’essere è quella di commettere un numero indeterminato di delitti, con una prospettiva temporale non predefinita.
Ora, perché possa ritenersi che vi sia coscienza e volontà di tale condotta, è necessaria la consapevolezza della finalità, perseguita dal gruppo con il quale si collabora attivamente e stabilmente, di commettere un numero indeterminato di delitti: nella fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen., è proprio questo fine l’elem discriminante, che rende l’associazione una struttura illecita, altrimenti organismo del tutto lecito e al quale si partecipa in esplicazione di un diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 18 Cost.
Non è sufficiente, quindi, ai fini della configurabilità delle condotte di c all’art. 416 cod. pen., il dolo eventuale, da intendersi come prospettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità che, con la propria condotta, si partecipi attivamente e stabilmente ad un gruppo che persegue lo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti.
2.2.2. Una conferma delle conclusioni precedentemente esposte risulta fornita dalla elaborazione giurisprudenziale in tema di necessità del dolo diretto per la configurabilità del concorso esterno nel reato associativo.
Non solo sono costanti, con riguardo al concorso esterno nel reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, le affermazioni della necessità che il dolo del concorrente investa sia il fatto tipico oggetto della previsio incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio, e, correlativamente, della insufficienza del dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti (cfr., per tutte: Sez. U, 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231672-01; Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002, dep. 2003, Carnevale, Rv. 224181-01; Sez. 2, n. 26589 del 23/02/2018, V, Rv. 273356-01).
Ma, ancor più significativamente, con una indicazione di carattere generale, espressamente estesa a tutte le fattispecie associative, Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit., afferma: «La particolare struttura della fattispecie concorsuale comporta infine, quale essenziale requisito, che il dolo del concorrente esterno investa, nei momenti della rappresentazione e della volizione, sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte altrui nella produzione
dell’evento lesivo del “medesimo reato”. E, sotto questo profilo, nei delitti associativi si esige che il concorrente esterno’ pur sprovvisto dell’a ffectio societatis e cioè della volontà di far parte dell’associazione, sia altresì consapevole dei metodi e dei fini della stessa (a prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffatti metodi e fini, che lo muovono nel foro interno) e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento dell’associazione: egli “sa” e “vuole” che il suo contributo sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio» (in motivazione, § 4 del Considerato in diritto).
Ora, sembra ragionevole osservare, se è necessario il dolo diretto per la configurabilità del concorso esterno nel reato associativo, a maggior ragione identico presupposto soggettivo deve ritenersi occorrente per la configurabilità della partecipazione da intraneo nel reato associativo.
2.3. Una volta premesso che la sussistenza del fumus COMMiSSi delicti è da escludere in caso di difetto dell’elemento soggettivo della fatt:ispecie ipotizzata, e che, ai fini della configurabilità del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, non è sufficiente il dolo eventuale’ deve concludersi che la motivazione dell’ordinanza impugnata è illegittima laddove ritiene di poter fondare il sequestro sul reato di cui all’art. 416 cod. pen., contestato al capo 1.
2.3.1. Secondo il Tribunale, a carico dell’attuale ricorrente, sarebbe ravvisabile un quadro di serietà indiziaria, perché dagli atti si evincerebbe non solo la partecipazione «materiale» alle operazioni fraudolente delle società dell’attuale ricorrente, «ma anche la sua coscienza e volontà, quanto meno sotto forma di dolo eventuale, di partecipazione nella frode IVA».
Ora, se si afferma l’esistenza del fumus commissi delicti perché vi sarebbe, da parte dell’attuale ricorrente, «coscienza e volontà, quanto meno sotto forma di dolo eventuale, di partecipazione nella frode IVA», si afferma che è sufficiente il dolo eventuale del medesimo anche, e a maggior ragione, con riguardo alla condotta di partecipazione nell’associazione per delinquere.
Si consideri, infatti, che, secondo la contestazione provvisoria, e la motivazione dell’ordinanza impugnata, l’associazione per delinquere ascritta all’attuale ricorrente è finalizzata alla realizzazione di una frode IVA.
Di conseguenza, ritenere sufficiente il dolo eventuale di partecipazione nella frode all’IVA significa ritenere sufficiente il dolo eventuale anche con riguardo alla condotta di partecipazione all’associazione finalizzata a realizzare la frode all’IVA.
2.3.2. È bene aggiungere che le considerazioni appena esposte appaiono ancora più evidenti alla luce della concreta conformazione del caso di specie.
Invero, per quanto risulta dall’imputazione provvisoria, l’associazione per delinquere sarebbe costituita da sole tre persone, una delle quali appunto l’attuale ricorrente, e questi sarebbe anche promotore ed organizzatore della consorteria.
Ciò posto, sembra davvero implausibile ipotizzare che un’associazione per delinquere sia costituita dal numero minimo di persone previsto dalla legge e che una di queste abbia concorso decisivamente nella formazione della consorteria senza avere piena ed indubbia consapevolezza del programma delittuoso perseguito dalla medesima: in tale ipotesi, risulta difficile persino affermare che esista un’associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti.
Fondate sono anche le censure proposte nel secondo motivo del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME e nel terzo e nel quarto motivo del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME nella parte in cui contestano l’affermazione di sussistenza del fumus commissi delicti nei confronti dell’attuale ricorrente in ordine a tutti i reati fine, costituiti dai delitti di omessa dichiarazione (capi 2, 3 e 4), e dal delit omesso versamento di IVA (capo 9), deducendo che il Tribunale non ha motivato sul ruolo di gestore di fatto dell’attuale ricorrente rispetto alle società cu riferiscono le omesse dichiarazioni e l’omesso versamento di IVA, né ha individuato ulteriori condotte direttamente e causalmente collegate a detti reati.
3.1. Appare utile una sintetica precisazione sui limiti del sindacato di legittimità in tema di fumus commissi delicti.
Indubbiamente, come indicato dalle Sezioni Unite, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli erro res in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01).
Tuttavia, come più volte precisato dalla successiva giurisprudenza, rientrano nella nozione di violazione di legge, per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione ex art. 325, comma 1, cod. proc. pen., anche l’assoluta mancanza di motivazione e la motivazione apparente, sicché il tribunale del riesame, a fronte di specifiche censure mosse dal ricorrente in ordine al fumus commissi delicti, è tenuto, nei limiti del giudizio cautelare, a fornire adeguata motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso, incorrendo, in caso contrario, nella denunciata “violazione di legge”, cui consegue l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza (così Sez. 1,( ( ii( 2, n. 37100 del 07/07/2023, COGNOME, Rv. 285189-01, e Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, COGNOME, Rv. 264011-01).
Inoltre, muovendo da questa prospettiva, si è anche osservato che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, il tribunale del riesame è tenuto a valutare il contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla parte, e, sia pure sommariamente, la pertinenza o meno della stessa rispetto all’oggetto dell’indagine e, ove sussista un contrasto con altri elaborati tecnici su punti decisiv del tema cautelare, è tenuto a dar conto sinteticamente delle ragioni della prevalenza dei rilievi difensivi su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, onde non incorrere nel vizio di violazione di legge per assoluta mancanza di motivazione, essendo insufficiente il generico richiamo alla consulenza tecnica dell’una o dell’altra parte (Sez. 3, n. 30296 del 26/05/2021, Rv. 281721-01).
3.2. Deve evidenziarsi, poi, che il soggetto su cui non grava l’obbligo specifico di presentare la dichiarazione fiscale o di versare VIVA al momento della scadenza può concorrere nei reati di cui all’art. 5 e all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 solo in forma morale, istigando l’autore materiale della condotta o rafforzandone il proposito criminoso, eventualmente mediante un preventivo accordo in ordine alla commissione dell’illecito.
Invero, questo principio consegue alla conformazione strutturale dei reati di omessa dichiarazione e di omesso versamento di IVA: entrambi sono reati propri, unisussistenti ed istantanei, che possono essere commessi solo da chi, per legge, è obbligato alla presentazione della dichiarazione o al pagamento dell’imposta, e che sono integrati dal mancato compimento dell’atto dovuto (presentazione o pagamento) nel preciso momento in cui si verifica la relativa scadenza.
3.2.1. In particolare, per quanto riguarda il reato di omessa presentazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, convergenti e persuasive indicazioni nel senso appena indicato sono fornite dalla elaborazione giurisprudenziale in materia.
Innanzitutto, in generale, costituisce principio ampiamenl:e consolidato quello secondo cui il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 è reato omissivo proprio, in quant la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il dovere di presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o dell’IVA (cfr. tra le tante, Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421-01; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 265087-01; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, dep. 2010, COGNOME Rv. 246208-01).
In particolare, poi, una decisione ha espressamente precisato che il concorso nel reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 è ipotizzabile solo forma morale, quando cioè chi vi è obbligato ha omesso di presentare la dichiarazione perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con altri soggetti (Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 265121-01).
A fondamento di questo principio si è osservato, innanzitutto, che il delitto di omessa dichiarazione è un reato istantaneo ed unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione, e che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322), è obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa, o, al più, dal soggetto incaricato della trasmissione (art. 3, comma 3, d.P.R. n. 322 del 1998) dall’incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento (così, Sez. 3, n. 43809 del 2015, cit., in motivazione, §§ 18.1 e 18.2).
Si è inoltre rappresentato che la volontà dell’omissione concernente la presentazione della dichiarazione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine, e che le condotte antecedenti e successive a tale momento possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell’unica condotta omissiva (v. Sez. 3, n. 43809 del 2015, cit., in motivazione, §§ 18.3 e 18.4).
Si è quindi rilevato che, di conseguenza, il concorso nel reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000: a) è ipotizzabile solo in forma morale, precisamente quando vi è istigazione o rafforzamento, nei confronti del soggetto obbligato a presentare la dichiarazione, a non adempiere a tale dovere, eventualmente concordando con lo stesso un accordo; b) deve avere ad oggetto la specifica omissione, non le condotte che l’hanno preceduta, che rilevano solo in quanto da esse possa desumersi, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova dell’accordo criminoso (cfr. Sez. 3, n. 43809 del 2015, cit., in motivazione, §Ei 18.5, 18.7 e 18.8).
3.2.2. Pienamente in linea con l’elaborazione della giurisprudenza in ordine a natura e conformazione del reato di cui all’art. 10-ter d.Igs. n. 74 del 2000 è anche la conclusione per cui il soggetto su cui non grava l’obbligo di versare VIVA al momento della relativa scadenza può concorrere nel precisato delitto solo in forma morale, istigando l’autore materiale della condotta o rafforzandone il proposito criminoso.
Innanzitutto, risulta costante e mai contestata l’affermazione secondo cui il reato di omesso versamento dell’IVA ha natura istantanea ed unisussistente (cfr. Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263126-01 e Sez. 3, n. 19099 del 06/03/2013, COGNOME, Rv. 255327-01).
Non è dubbio, inoltre, che la fattispecie di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 costituisca un reato proprio, posto che, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, non risponde del reato di omesso versamento di IVA, chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale per conto di un ente, non effettua il pagamento dell’imposta nel termine previsto perché abbia dismesso la carica di amministratore della persona giuridica, salvo che abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell’art. 110 cod. pen.,
all’omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell’imposta dichiarata (così Sez. 3, n. 53158 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 261596-01, e Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259808-01).
3.3. In considerazione delle indicate premesse sul sindacato di legittimità in tema di fumus commissi delicti e sui presupposti giuridicamente necessari per la configurabilità del concorso dell’extraneus nei reati di cui all’art. 5 e all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, deve escludersi che l’ordinanza impugnata abbia fornito una reale motivazione in argomento.
Il Tribunale, infatti, ha affermato la sussistenza del fumus commissi delicti a carico dell’attuale ricorrente per i reati di cui all’art. 5 e all’art. 10-ter d.lgs. n. 74, sul presupposto che il medesimo, mediante società da lui controllate, avrebbe fornito (ad un prezzo di mercato) i prodotti petroliferi alle società c.d. carti RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” ed avrebbe inoltre trasportato la merce fino al destinatario finale, non potendo «non essersi reso conto che l’articolato meccanismo realizzato (tipico delle frodi finalizzate all’evasione dell’IVA) avesse quale unico scopo quello dell’evasione fiscale».
In questo modo, però, il Tribunale, da un lato, non ha offerto alcuna concreta indicazione per affermare che l’attuale ricorrente fosse il gestore di fatto delle società c.d. cartiere “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, le quali hanno omesso, la prima, di presentare la dichiarazione obbligatoria ai fini IVA (capi 2, 3 e 4), e, la seconda, di versare VIVA dichiarata (capo 9).
Dall’altro, non si e fatto carico di tutte le obiezioni difensive potenzialmente decisive per escludere la consapevolezza dell’attuale ricorrente circa la finalizzazione all’evasione .fiscale delle operazioni cui egli ha partecipato. In particolare, l’ordinanza impugnata non solo non precisa se le operazioni in cui erano parti le imprese gestite dal ricorrente fossero caratterizzate da regolarità formale (ad esempio, con riferimento alle registrazioni VIES ed alle comunicazioni Intrastat), ma, soprattutto, non chiarisce se il ricorrente si sia relazionato, e co quali modalità e contenuti, con i soggetti formalmente preposti alle imprese c.d. cartiere, la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, e perché tale dato, se effettivo, sia irrilevante. A tale ultimo proposito, va rilevato che, second quanto segnalato dai difensori, la relazione tecnica depositata in occasione del procedimento di riesame evidenzia come l’attuale ricorrente, nell’arco di circa due anni, non avrebbe mai avuto contatti con il reale dominus delle due cartiere, NOME COGNOME ed avrebbe avuto solo dodici colloqui con NOME COGNOME comunque rappresentante formale di tali ditte.
Di conseguenza, risultano illegittime, o quanto meno assertive e non supportate da alcuna reale motivazione, le conclusioni secondo cui le condotte di fornire merci ad un prezzo di mercato ad una società, e di trasportare le stesse per conto di tale impresa, da parte di un soggetto esterno ad essa, costituiscono:
un contributo materiale alla condotta degli amministratori di questa ditta di non presentare le dichiarazioni o di non versare VIVA, sebbene i reati di omessa dichiarazione e di omesso versamento di IVA costituiscano reati propri, unisussistenti ed istantanei, realizzabili solo da chi, per legge, è obbligato all presentazione della dichiarazione o al pagamento dell’imposta, ed integrati esclusivamente dal mancato compimento dell’atto dovuto (presentazione o pagamento) nel preciso momento in cui si verifica la relativa scadenza; ovvero b) azioni, per ciò solo, dolosamente dirette ad istigare o a rafforzare il proposito criminoso degli amministratori dell’ente indicato di commettere i delitti di cui agl artt. 5 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Fondate, ancora, sono le censure enunciate nel terzo e quarto motivo del ricorso a firma dell’avvocato COGNOME nella parte in cui c:ontestano la totale assenza di motivazione dell’ordinanza emessa in sede di riesame in ordine alla sussistenza del periculum in mora.
4.1. La questione da risolvere è se sia ammissibile il ricorso per cassazione avverso un’ordinanza che abbia respinto l’istanza di riesame avverso un provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca, per denunciare l’assenza di motivazione in ordine al presupposto del periculum in mora anche quando in quella sede non siano state formulate specifiche censure.
4.1.1. Occorre innanzitutto rilevare che il periculum in mora costituisce presupposto indispensabile ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca.
In questo senso si sono pronunciate, in linea generale, le Sezioni Unite, affermando che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi d sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (così Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01).
E il principio è costantemente ritenuto applicabile anche in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 37727 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283694-01, e Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, Beni, Rv. 284313-01).
4.1.2. Va poi evidenziato che la richiesta di riesame, anche in materia di provvedimenti cautelari reali, è un mezzo di impugnazione interamente devolutivo,
il quale, quindi, impone al giudice adito un nuovo esame ed una specifica motivazione in ordine a tutti gli elementi necessari per l’applicazione della misura.
Invero, l’art. 324, comma 4, cod. proc. pen. prevede che la formulazione di motivi è meramente facoltativa, siccome gli stessi «possono» – non debbono essere enunciati nella richiesta in sede di discussione. Inoltre, l’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., dispone l’applicazione (anche) della disposizione di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., secondo la quale «MI tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso».
E in questo senso, con specifico riferimento ai riesami reali, risultano essersi espresse alcune decisioni (così Sez. 4, n. 2331 del 16/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284088-01, e Sez. 3, n. 37608 del 09/06/2021, COGNOME, Rv. 282023-01).
Può aggiungersi che, sulla base di identica disciplina in tema di facoltatività dell’enunciazione dei motivi e di poteri di annullamento, riforma o conferma del provvedimento impugnato, anche il riesame avverso i provvedimenti impositivi di una misura coercitiva personale è pacificamente ritenuto mezzo di gravame puro, interamente devolutivo, il quale, quindi, impone al giudice adito di esaminare la sussistenza di tutti i presupposti necessari per l’adozione di forme di cautela personale, persino in caso di rinuncia ai motivi concernenti uno di tali presupposti (cfr., per tutti, Sez. 2, n. 27865 del 14/05/2019, Sepe, Rv. 277016-02, e Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-03).
Di conseguenza, posto che, per quanto evidenziato in precedenza al § 4.1.1, il periculum in mora è un elemento necessario per l’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca, deve ritenersi che il giudice del riesame reale avverso un provvedimento impositivo di tale misura, ln difetto di specifici motivi in ordine a tale punto, ha comunque l’obbligo di esporre le proprie considerazioni in argomento, sia pur succintamente, eventualmente richiamando per condividere quanto indicato nel provvedimento genetico relativamente a questo profilo, e che, di conseguenza, una eventuale omessa motivazione in proposito può essere denunciata con ricorso per cassazione.
4.2. Una volta chiarito che è ammissibile proporre il ricorso per cassazione avverso un’ordinanza che abbia respinto l’istanza di riesame avverso un provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca, per denunciare la totale assenza di motivazione in ordine al presupposto del pericuium in mora anche quando in quella sede non siano state formulate specifiche censure, deve concludersi che, nella specie, tali doglianze sono fondate.
Il provvedimento impugnato, infatti, non rappresenta alcunché con riguardo alla sussistenza del periculum in mora, nemmeno richiamando quanto indicato in
proposito nel provvedimento genetico al fine di mostrare di aver valutato il presupposto e di condividere le conclusioni del G.i.p.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Parma, competente a norma dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Il Giudice del rinvio sottoporrà nuovamente ad esame l’ordinanza impugnata evitando di incorrere nelle violazioni precedentemente rilevate. In particolare, valuterà: a) ai fini del giudizio sulla sussistenza del fumus commissi delicti in ordine al reato di partecipazione ad associazione per delinquere di cui al capo 1, se siano rilevabili concreti e persuasivi elementi di fatto, quanto meno indiziari, anche con riguardo al dolo diretto dell’attuale ricorrente, in considerazione di quanto indicato supra nei §§ 2, 2.1, 2.2, 2.2.1, 2.2.2, 2.3, 2.3.1 e 2.3.2; b) ai fini del giudizio sulla sussistenza del fumus commissi delicti a carico dell’attuale ricorrente in ordine ai reati di omessa dichiarazione di cui ai capi 2, 3 e 4, e d omesso versamento di IVA di cui al capo 9, se siano rilevabili concreti e persuasivi elementi di fatto, quanto meno indiziari, del concorso morale del medesimo in tali reati, secondo quanto precisato supra nei §§ 3, 3.1, 3.2, 3.2.1, 3.2.2 e 3.3, anche evitando di incorrere nelle lacune motivazioni sulle deduzioni della difesa potenzialmente decisive per escludere il dolo; c) eventualmente, qualora possa ritenersi esistente il fumus commissi delicti di reati che consentano l’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca, se sia rilevabile il periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Parma competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso in data 10/11/2023
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente