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Dolo eventuale: coltivazione di varietà vegetale protetta

Un imprenditore agricolo, condannato per aver coltivato pomodori di una varietà protetta da brevetto, viene assolto dalla Cassazione. La Corte ha ritenuto non provato il dolo eventuale, elemento psicologico necessario per la configurabilità del reato, annullando la sentenza perché il fatto non costituisce reato.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di varietà brevettata: quando manca il dolo eventuale?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7023 del 2025, ha annullato una condanna per violazione della proprietà industriale, sottolineando un principio fondamentale: per la configurabilità del reato previsto dall’art. 517-ter c.p. è necessaria una rigorosa prova dell’elemento psicologico, anche nella sua forma minima di dolo eventuale. Questo caso offre uno spunto cruciale sull’onere della prova che grava sull’accusa, specialmente in contesti tecnicamente complessi come quello della privativa vegetale.

I Fatti del Processo

Un imprenditore agricolo era stato condannato sia in primo grado che in appello per aver coltivato una specifica varietà di pomodoro, protetta da brevetto comunitario, senza l’autorizzazione del titolare del diritto di privativa. La difesa dell’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che le corti di merito non avessero adeguatamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In particolare, si contestava che la responsabilità penale fosse stata affermata sulla base di un presunto dolo eventuale, senza però che vi fossero prove concrete della consapevolezza o dell’accettazione del rischio di commettere un illecito.

L’Analisi della Corte di Cassazione e l’Insussistenza del Dolo Eventuale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le censure della difesa. I giudici di legittimità hanno smontato l’impianto accusatorio, evidenziando come la motivazione delle sentenze precedenti fosse basata su argomenti presuntivi e non su prove concrete.

Le corti di merito avevano dedotto la colpevolezza da alcuni fattori:
1. La qualifica dell’imputato come “soggetto esperto” nel settore.
2. L’alto livello tecnico e l’avanguardia della sua azienda agricola.
3. La mancata esibizione del cosiddetto “passaporto pianta”.

La Cassazione ha giudicato questi elementi “equivoci” e “non adeguatamente dimostrati”.

La Prova dell’Elemento Psicologico nel Reato

Il cuore della decisione risiede nella valutazione del dolo eventuale. Per condannare, non basta dimostrare che l’imputato avrebbe potuto sapere, ma occorre provare che egli si fosse concretamente rappresentato la possibilità di violare la legge e avesse deciso di agire comunque, accettando tale rischio. Nel caso di specie, mancava questa prova.

Anzi, un elemento cruciale a favore della difesa era la difficoltà oggettiva nel distinguere la varietà brevettata da quella che l’imprenditore sosteneva di aver acquistato. La necessità di un’indagine scientifica complessa, svolta da un centro di ricerca specializzato, per accertare la tipologia vegetale dimostrava che la differenza non era affatto evidente. Non si poteva quindi pretendere che un agricoltore, per quanto esperto, riconoscesse a occhio nudo una violazione di privativa.

L’Irrilevanza degli Indizi Forniti dall’Accusa

La Corte ha inoltre chiarito l’irrilevanza di altri indizi. Il “passaporto pianta”, ad esempio, è un documento che accompagna le sementi fino all’utilizzatore finale (l’agricoltore), ma una volta che le sementi sono state consegnate, la sua funzione cessa. La sua mancata esibizione durante un controllo successivo non poteva quindi costituire prova della malafede. Allo stesso modo, il fatto che l’acquisto fosse avvenuto tramite una società consortile non provava nulla, dato che le fatture documentavano l’acquisto di una varietà diversa da quella contestata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato l’annullamento della sentenza sulla base della manifesta carenza probatoria riguardo all’elemento soggettivo del reato. I giudici di merito avevano costruito un castello accusatorio fondato su presunzioni, come l’esperienza professionale dell’imputato, trasformandole in prova di colpevolezza. Tuttavia, la professionalità in un settore non implica automaticamente la consapevolezza di ogni singolo dettaglio normativo o tecnico, specialmente quando la distinzione tra un prodotto lecito e uno illecito richiede analisi di laboratorio.

L’accusa, secondo la Corte, non è riuscita a dimostrare che l’imprenditore, una volta ricevute le sementi e iniziata la coltivazione, si fosse reso conto della difformità del materiale vegetale rispetto a quello ordinato e avesse deciso di proseguire, accettando il rischio di violare un brevetto altrui. In assenza di tale prova, il dolo, anche nella sua forma eventuale, non può dirsi sussistente.

Conclusioni: L’Annullamento della Condanna

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza senza rinvio “perché il fatto non costituisce reato”. Questa pronuncia riafferma un principio cardine del diritto penale: la responsabilità penale è personale e richiede una prova rigorosa non solo del fatto materiale, ma anche dell’elemento psicologico. Le presunzioni e gli indizi equivoci non sono sufficienti a fondare una condanna. Per gli operatori del settore agricolo e industriale, questa sentenza rappresenta un’importante garanzia: la violazione di un diritto di privativa industriale può portare a una condanna penale solo se l’accusa riesce a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la piena consapevolezza e volontarietà della condotta illecita.

Perché l’imprenditore è stato assolto nonostante coltivasse una varietà di pomodoro brevettata senza licenza?
È stato assolto perché l’accusa non è riuscita a provare l’elemento soggettivo del reato, ovvero che egli fosse consapevole di coltivare una varietà protetta o che avesse accettato il rischio di farlo (dolo eventuale). La sola coltivazione del prodotto non è sufficiente per una condanna penale se manca la prova della colpevolezza.

Cosa si intende per ‘dolo eventuale’ e perché è stato decisivo in questo caso?
Il dolo eventuale si verifica quando una persona non vuole direttamente commettere un reato, ma prevede la possibilità che la sua azione possa integrarlo e ne accetta il rischio, agendo comunque. È stato decisivo perché la Corte ha ritenuto che non ci fossero prove sufficienti a dimostrare che l’imprenditore si fosse rappresentato e avesse accettato il rischio di violare un brevetto.

Essere un ‘esperto’ del settore è sufficiente per dimostrare la colpevolezza in un reato tecnico come questo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la qualifica di ‘esperto’ non è di per sé una prova della colpevolezza. L’accusa deve dimostrare concretamente la conoscenza o l’accettazione del rischio dell’illecito, e non può semplicemente presumerla sulla base della professionalità dell’imputato, specialmente quando la violazione non è di macroscopica evidenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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