Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10599 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10599 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PORTO CESAREO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
E presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di BRINDISI in difesa di NOME–NOME e NOME COGNOME che conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso e deposita conclusioni e nota spese.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di BARI in difesa di NOME COGNOME e NOME COGNOME che si associa alle conclusioni del P.G. e deposita conclusioni e nota spese.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME COGNOME del foro di LECCE in difesa di ROI
NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso. E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di BARI, quale sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di BARI in difesa di COGNOME NOME, come da nomina depositata in udienza, che insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Lecce ha parzialmente riformato quella pronunciata dalla Corte di assise della stessa città in data 19 aprile 2022, dichiarando non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di cui agli artt. 2 e 7 1.895/67 contestato sub b) perché estinto per prescrizione ed ha ridotto la pena per le residue imputazioni di omicidio volontario con dolo eventuale e violazione degli artt. 4 e 7 1.895/67 di cui alle lettere a) e b) della rubrica (rispetto alle quali ha confermato il giudizio di penale responsabilità) ad anni ventuno e mesi quattro di reclusione.
1.1. L’imputazione riguardava: a) reato di cui all’art.575 cod. pen. per avere cagionato la morte di NOME COGNOME attingendolo alla regione frontale paracentrale sinistra con un pistola TARGA_VEICOLO.TARGA_VEICOLO; in particolare, NOME COGNOME aveva esploso ad altezza d’uomo due colpi all’indirizzo del muro di cinta dietro il quale si trovava NOME pastore suo dipendente, incaricato di condurre in quel luogo il gregge da vigilare ivi presente, accentando il rischio di attingere il giovane NOME a parti vital e quindi volendo cagionarne la morte. In Porto Cesareo il 6 aprile 2014 (imputazione così modificata alla udienza del 7 novembre 2019); b) reato di cui agli artt. 2,4 e 7 1.895/67 per avere illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico una pistola TARGA_VEICOLO, marca e tipo non potuti accertare perché non rinvenuta ed il relativo munizionamento; in Porto Cesareo il 6 aprile 2014.
1.2. La Corte di primo grado aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile di entrambi i reati, riuniti sotto il vincolo della continuazione, e lo aveva condannato alla pena di anni 30 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite. La Corte distrettuale, decidendo sul gravame dell’imputato, ha dichiarato prescritto il reato di cui agli artt.2 e 7 1.895/67, confermando per il resto la gravata sentenza rideterminando il trattamento sanzionatorio in anni ventuno e mesi quattro di reclusione (così determinato: anni ventuno di reclusione per il delitto di omicidio, aumentati di mesi quattro per la continuazione con il reato di cui agli artt.4 e 7 1.895/67).
1.3. In particolare, la Corte distrettuale ha condiviso le valutazioni operate dalla Corte di primo grado rispetto alla responsabilità per entrambi i reati non
prescritti ed individuando nel dolo eventuale l’elemento soggettivo del delitto sub a); al contrario il gravame è stato accolto limitatamente al trattamento sanzionatorio con la riduzione della pena nei termini sopra indicati.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, per mezzo degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. pr pen., insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1. Con i primi due (strettamente connessi tra loro) lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento all’art.192, comma secondo, del codice di rito ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; al riguardo osserva che, in sostanza, la conferma del giudizio di colpevolezza sarebbe stato fondato su elementi di carattere indiziario (quale l’avere l’imputato puntato in una precedente occasione un’arma verso la vittima, l’orario del decesso, l’alibi ed il possesso di armi da parte del ricorrente) privi del carattere di gravità, precisione e concordanza.
2.2. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art.125, comma terzo, del codice di rito ed il relativo vizio di motivazione rispetto alle specifiche censure contenute nell’appello con riferimento all’elemento psicologico del reato.
2.3. Con il quarto e quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt.42, 43, 575 e 589 cod. pen. per avere la Corte distrettuale escluso la sussistenza della c.d. ‘colpa cosciente’ e per l’erronea valutazione delle risultanze probatorie anche rispetto ai principi fissati in materia dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n.38343/2014.
2.4. Con il sesto motivo evidenza l’intervenuta prescrizione (alla data del 20 aprile 2023) del delitto di cui agli artt. 4 e 71.895/67.
2.5. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione dell’art.62-bis cod. pen. per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche che, a suo dire, non sarebbe stata adeguatamente motivata avendo tenuto in debito conto dell’offerta risarcitoria nei confronti delle parti civili.
Infine, nel corso della udienza di discussione le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei limiti appresso indicati.
Anzitutto deve ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come nel caso di specie, rispetto ai reati di tentato incendio e di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis Cass. Sez. 5, Sentenza n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
2.1. Orbene, come chiarito in seguito, le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, quindi il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
2.2. E’ costante, infatti, l’ insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6 n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ‘ictu ocu/i’, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento ( Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
3. I fatti sono stati ricostruiti da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini. Il giorno di domenica 6 aprile 2014 NOME (giovane albanese che lavorava come pastore alle dipendenze dell’imputato) veniva ucciso in località Castiglione di Torre Lapillo; dal verbale degli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi, effettuati dai militari del comando provinciale di Lecce dei RAGIONE_SOCIALE nucleo investigativo, era risultato che il cadavere si trovava sul terreno in posizione supina, a destra per chi guarda di fronte dell’abitazione di proprietà di NOME COGNOME, a ridosso dell’angolo del muro perimetrale di destra del fronte della casa. Nelle vicinanze era parcheggiato un furgone Fiat Doblò di colore bianco, di pertinenza di NOME COGNOME (padre dell’imputato), il quale, recatosi sul posto per portare il pranzo alla vittima, aveva rinvenuto il cadavere ed era stato il primo a chiamare i soccorsi per poi avvertire il figlio.
Secondo il medico legale la morte del pastore era avvenuta tra due ore e mezzo e sei ore prima dell’inizio dell’attività necroscopica (iniziata alle ore 16:00 dello stesso giorno) e quindi tra le ore 10:00 e le ore 13:30 del 6 aprile 2014. Quanto poi alle cause del decesso esse erano state individuate nell’arresto cardiorespiratorio per trauma aperto del cranio con sfacelo celebrale ed emorragia subaracnoidea diffusa; la morte era stata provocata da un unico colpo di arma da fuoco a proiettile singolo che aveva attinto la vittima in regione frontale paracentrale sinistra con tramite intracerebrale a decorso fronto-occipitale e proiettile ritenuto. Secondo il medico legale, inoltre, il colpo che aveva attinto il cranio era stato esploso con l’arma puntata di fronte alla vittima, la quale pertanto era in piedi nelle vicinanze del luogo dove era stata rinvenuta cadendo al suolo subito dopo essere stata colpita; il pastore quindi era rivolto verso lo sparatore o comunque volgeva lo sguardo verso l’arma.
Le caratteristiche morfologiche del foro di ingresso, la mancanza di quello di uscita e di lesione da impatto sull’osso occipitale dimostravano che il colpo era
stato esploso da una distanza superiore ai 40/70 cm.; infine, all’interno della scatola cranica era stata rinvenuta e sequestrata una ogiva di piombo ramato fortemente deformata dall’impatto.
Inoltre, il consulente informatico del Pubblico ministero, che aveva esaminato il telefono cellulare della vittima consegnatogli acceso sempre il 6 aprile 2014 dalla polizia giudiziaria, aveva evidenziato che il telefono segnava come data quella di ‘default’ (cioè 1’1.1) e l’orario delle ore 05:55; in sostanza vi era stato uno sfasamento di orario dovuto ad un evento che aveva comportato un distacco temporaneo della batteria (a causa anche di un urto) ed una sua riattivazione. L’ora reale era quindi quella delle ore 18:50 e, dunque, andando a ritroso, l’evento che aveva determinato il distacco temporaneo della batteria si era verificato intorno alle ore 12:50/12:55 del 6 aprile 2014 ed in tale orario (tenuto anche conto del traffico registrato sul telefono della vittima e della circostanza che la chiamata al NUMERO_TELEFONO da parte del padre dell’imputato era avvenuta alle ore 13:27) doveva anche collocarsi la morte del pastore.
Sul lato sinistro della vittima, all’altezza della gamba, era stato rinvenuto un bastone in plastica con delle piccole tracce di liquido ematico ed un ombrello chiuso con anche esso delle macchie ematiche sul manico; nella tasca dei pantaloni era stato rinvenuto un telefono cellulare marca Samsung che veniva sequestrato e dall’esame del quale venivano poi desunti elementi utili per determinare l’ora della morte. Il cranio presentava sulla fronte un foro di entrata di colpo di arma da fuoco, con fuoriuscita di sangue, ritrovato sul terreno sotto il braccio sinistro del corpo. Gli operanti evidenziavano, inoltre, sul muro perimetrale all’altezza di m.INDIRIZZO (nello stesso punto in cui, ai piedi di esso, giaceva il cadavere) una piccola traccia di colore rosso, di natura verosimilmente ematica; sul margine sinistro esterno del muro di recinzione dell’abitazione era stato rinvenuto, abbandonato, un frigorifero, sulla cui fiancata destra era presente un foro che sembrava di arma da fuoco ed era stato trovato un proiettile deformato cal.22 in piombo ramato, alla distanza di cm.44 dalla fiancata sinistra del frigorifero e cm.46 dal muro perimetrale esterno.
3.1. Come risultante dal verbale della successiva perquisizione della masseria dell’imputato, effettuata il 7 maggio 2014, i militari dell’ Arma constatavano che sul portone in ferro e lamiera zincata a quattro ante che dall’ovile consentiva
l’accesso all’area esterna recintata con rete metallica, erano presenti tre deformazioni della lamiera riconducibili all’esplosione di colpi di arma da fuoco, ovvero provocate dall’impatto con proiettile, una delle quali aveva determinato un foro. I Carabinieri avevano inoltre rinvenuto tre cartucce a pallini marca RC di colore verde, conservate in una busta di plastica bianca, nascosta sotto un telone in plastica che copriva delle balle da fieno, un caricatore vuoto a forma curva tipico del fucile mitragliatore Kalashnikov, messo in una busta di plastica occultata sotto una cisterna di acciaio all’esterno dello stesso ovile, due bossoli di cartuccia cal.12, una azzurra marca RC e l’altra rossa marca Baschieri, due bossoli di cartuccia cal. 12, una rossa marca Fiocchi e l’altra verde senza marca, due borre in plastica, sette frammenti riportanti evidenti tracce determinate dall’impatto di pallini di cartucce da caccia. Dal verbale di una successiva perquisizione del 5 novembre 2014 risulta che sul muro di recinzione in pietra di tufo dell’ovile, in particolare accanto al cancello scorrevole di accesso, venivano rilevati fori verosimilmente causati dall’esplosione di colpi di arma da fuoco.
3.2. Sulla base delle risultanze processuali (tra cui i rilevamenti effettuati sul telefono cellulare della vittima, gli accertamenti medico legali sul cadavere, i sequestri effettuati in sede di perquisizione, l’assenza di un alibi per l’ora nella quale era stata fissata la morte della vittima e le varie deposizioni testimoniali) la Corte distrettuale ha confermato che ad esplodere il colpo di arma da fuoco che aveva ucciso il giovane pastore albanese era stato l’imputato. Era infatti emerso che NOME NOME, in quanto appassionato di armi e detentore privo di autorizzazione di esse, fosse solito sparare liberamente a campo aperto nei luoghi dove era stata uccisa la vittima, senza adottare alcuna precauzione ed anzi, come riferito da un amico del morto, in alcuni casi si era divertito a spaventare il pastore sparando in sua direzione.
Il giorno dei fatti, quindi, l’imputato aveva un’arma da fuoco ed aveva sparato – ad altezza d’uomo e al di sopra del muro di recinzione – verso il frigorifero che fungeva così da bersaglio, nonostante sapesse che proprio in quel punto vi fosse NOME COGNOME intento a pascolare (come ogni domenica) il gregge, accettando così il rischio di colpire il giovane albanese. In particolare, secondo entrambi i giudici di merito, l’NOME non si era accorto dell’arrivo dell’imputato e al primo sparo diretto verso il frigorifero, si era affacciato incuriosito sopra il muro per guardare
in direzione dello sparo stesso ed era stato così attinto dal secondo colpo esploso dall’odierno ricorrente, non più diretto verso il frigorifero essendo troppo alta la mira, ma piuttosto verso la zona dove NOME COGNOME sapeva trovarsi il proprio dipendente.
Ciò posto, con riferimento ai due primi motivi, vanno richiamati i principi che il giudice di merito deve seguire nella valutazione della prova indiziaria, valutazione che, come chiarito da Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, COGNOME, Rv. 260017, «si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente nella sua valenza qualitativa, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, confluendo in un medesimo contesto dimostrativo, sicché l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto».
4.1. La prima fase, dunque, richiede la valutazione di ciascun dato indiziario singolarmente considerato «onde saggiare la valenza qualitativa individuale», posto che «una molteplicità di elementi ai quali fosse attribuibile rilevanza, non sulla base di regole collaudate di esperienza e di criteri logico e scientifici, ma bensì ed esclusivamente in virtù di semplici intuizioni congetturali o di arbitrarie e personaliste supposizioni, non consentirebbe di pervenire ragionevolmente ad alcun utile risultato probatorio anche nel quadro di un contesto estimativo unitario (icasticamente, si usa dire in tali situazioni, che “più zeri non fanno un’unità”, aforisma che il legislatore ha canonizzato nel 2° comma dell’articolo 192 c.p.p.)» (Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, COGNOME, Rv. 191230).
In sostanza l’esame globale e unitario del compendio indiziario deve essere preceduto dallo scrutinio, secondo i rigorosi criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., dei vari indizi «singolarmente, verificandone la valenza
qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione» (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231678). E in questa fase che vengono in rilievo i canoni della gravità, della precisione e della concordanza fissati dalla norma codicistica.
4.3. Nella seconda fase, l’insieme del compendio indiziario deve essere esaminato «in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo» (Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit.); infatti, è solo l’esame di tale compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/4/2008, Ferdico, Rv. 239789), posto che
nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 1992, COGNOME, cit.).
4.4. Il complessivo compendio conoscitivo deve poi essere valutato sulla base della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, che «impone di pronunciare condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione, nella fattispecie concreta, non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240763; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280). In caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, devono essere individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria e motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva (Sez. 6, n. 10093 del 5/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275290).
4.5. Venendo al caso in esame, si osserva che la Corte di assise di appello di Lecce era chiamata a valutare la forza dimostrativa del compendio probatorio disponibile, in grado di far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalle censure sollevate dalla difesa dell’imputato circa l’attribuzione allo stesso dell’azione omicidiaria; orbene la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei richiamati principi di diritto.
4.6. Come visto i dati probatori di natura indiziaria a carico dell’odierno ricorrente sono stati concordemente individuati, da entrambi i giudici di merito, nei seguenti elementi: a) l’ora della morte fissata sulla base dei rilievi necroscopici e tecnici sul cellulare della vittima; b) l’assenza di un alibi per tale ora da parte dell’imputato; c) il sequestro di armi avvenuto nella proprietà dell’odierno ricorrente; d) la riferita passione per le armi dell’imputato ed il fatto che egli fosse solito esercitarsi sparando in spazi aperti e che avesse, in precedenza, spaventato la vittima sparando in sua direzione; e) l’assenza di un movente per l’omicidio e di eventuali piste alternative, peraltro nemmeno specificamente dedotte da NOME COGNOME; f) la circostanza che l’imputato, quando aveva richiesto i soccorsi al 118, aveva fatto riferimento ad un incidente ed al
fatto che il pastore era stato raggiunto da un colpo, nonostante il volto fosse coperto da sangue e terra con la impossibilità, in quel momento, di scorgere il foro di entrata, circostanza ritenuta a conoscenza soltanto dell’autore dello sparo.
4.7. Si rileva quindi che, sulla base dei sopra indicati elementi indiziari per come sono stati valutati e valorizzati dal giudice di appello nella sentenza impugnata, la relativa motivazione dà conto, in modo coerente, della formulazione del giudizio di penale responsabilità dell’imputato dopo il previo superamento di ogni ragionevole dubbio come previsto dall’art. 533, comma 1, cod. pen. e del rispetto dei già enunciati principi per l’apprezzamento della prova indiziaria.
4.8. Tutti questi elementi, valutati sia singolarmente, che nel loro insieme, inducono quindi a ritenere motivata, in maniera scevra da vizi logici, la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale per confermare il giudizio di attribuzione all’odierno ricorrente dell’azione omicidiaria. Ne consegue che, pur lamentandosi violazione di legge e vizio di motivazione, con l’impugnazione si vorrebbe in realtà pervenire ad una non consentita differente valutazione del materiale indiziario rispetto a quella coerentemente operata dal giudice a quo.
Al contrario sono fondati il terzo, quarto e quinto motivo (che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione) riguardanti l’elemento psicologico del reato.
Come è noto, secondo la giurisprudenza di legittimità (segnatamente, Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, COGNOME, Rv. 261105), per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente a essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; e) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere,
alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di NOME).
5.1. Nell’ordinamento italiano la graduazione della responsabilità in siffatte ipotesi si colloca in un’area individuabile attraverso le sfumature della interpretazione della sfera volitiva dell’agente. È peraltro vero che le importanti affermazioni contenute nella nota sentenza relativa al caso Thyssenkrupp consentono di ricavare il grado di responsabilità soggettiva (colposa o dolosa) del soggetto attivo non solo dall’indagine personologica sul soggetto attivo, dei motivi determinanti la sua azione, ma altresì dalla caratterizzazione del fatto storico per come esso si presenta nel suo svolgimento diacronico (prima, durante e dopo la consumazione del reato), senza trascurare – dato, questo, di peculiare importanza nel caso di specie – le conseguenze negative per l’autore che possano derivare dalla sua condotta. Deve, quindi, evitarsi di ricondurre nel fuoco del dolo ogni comportamento improntato a grave azzardo, quasi che la distinzione tra dolo e colpa fosse basata su un dato “quantitativo” della sconsideratezza della condotta (uguagliando la maggiore sconsideratezza al maggiore tasso di rappresentazione e volizione), piuttosto che su un accurato esame delle specificità del caso concreto, attraverso il quale pervenire al dato differenziale di fondo: ossia attribuire o meno al soggetto attivo un atteggiamento di volizione dell’evento lesivo o mortale (intesa in senso ampio, ossia comprensiva dell’accettazione dell’eventualità concreta).
5.2.Venendo al caso di specie, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata per sostenere la sussistenza del dolo eventuale, nei termini delineati dalle Sezioni Unite, non risulta convincente.
In particolare, manca una adeguata spiegazione di come (e sulla base di quali elementi incontrovertibili) si sia ritenuto sicuro che l’odierno ricorrente fosse a conoscenza che, nel momento nel quale egli aveva esploso il secondo colpo, la vittima si trovava esattamente nel luogo dove era stata raggiunta dal proiettile.
Invero, la Corte distrettuale ha fatto un generico riferimento alla circostanza che l’ imputato sapeva che il pastore la domenica fosse solito portare a pascolare il gregge nella zona dove poi sarebbe stato rinvenuto cadavere, senza però tenere in debito conto che tra lui e NOME COGNOME vi era il muro, dietro il quale – come
indicato nella sentenza impugnata – la vittima al momento del primo sparo era accovacciata e, soprattutto, del fatto che all’epoca vi era anche un albero (successivamente tagliato) le cui foglie coprivano parzialmente la visuale del ricorrente, come risultante dai rilievi fotografici effettuati dai militari dell’Arm (vedi pag. 53 della sentenza di primo grado). Inoltre, è stata omessa la considerazione del dato, parimenti acclarato, che il primo colpo era stato esploso contro il frigorifero in disuso.
5.3. La citata carenza motivazionale, considerati i principi fissati in materia dalle Sezioni Unite, inficia quindi il ragionamento svolto dalla Corte distrettuale per sostenere la configurabilità del dolo eventuale, non avendo la sentenza impugnata adeguatamente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto dimostrato che l’imputato sapeva esattamente dove si trovava NOME al momento del secondo sparo e che, quindi, si fosse prefigurato la sua morte, accettandone il relativo rischio. In particolare, la Corte di assise di appello – al fine di ritener sussistente il dolo eventuale – si è limitata a dare rilievo al fatto che l’imputato sapesse che il giovane pastore, come tutte le domeniche, si trovava ‘da qualche parte’ vicino all’abitazione dello COGNOME perché mai avrebbe potuto lasciare le pecore incustodite (pag. 23 della sentenza impugnata).
In sostanza la Corte territoriale – pur dando per scontato che la vittima non fosse visibile a NOME COGNOME, in quanto nascosta dalla vegetazione e dal muro di cinta – ciò nonostante ha ritenuto che l’imputato fosse perfettamente a conoscenza della sua posizione in ragione della sola presenza del gregge; per tale ragione, quindi, nella sentenza impugnata si sostiene che la mancata visibilità del pastore avrebbe dovuto indurre l’imputato ad una maggiore prudenza nell’avviare l’azione di sparare facendo però così riferimento, in modo contraddittorio, ad un elemento (I’ imprudenza) tipico del reato colposo (pag.27 della sentenza impugnata).
6. Parimenti fondato è anche il sesto motivo in quanto il delitto di cui agli artt. 4 e 7 della 1.895/67 si è prescritto (successivamente alla sentenza impugnata) in data 20 aprile 2023, tenuto conto sia del termine prescrizionale di anni otto e mesi quattro, che della sospensione dei termini per 183 giorni in primo grado che della sospensione di 74 giorni in secondo grado (cfr., sul punto, pag.28 della sentenza impugnata).
Infine, a seguito dell’annullamento con rinvio disposto con riferimento al profilo dell’elemento soggettivo del reato, rimane assorbito il motivo di ricorso riguardante la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio limitatamente al profilo dell’elemento soggettivo (ed assorbimento delle censure relative alla mancata concessione delle generiche) e va dichiarata l’intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt. 4 e 71.895/67; il rigetto invece deve essere respinto nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di porto abusivo di arma da sparo di cui al capo B) perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’elemento soggettivo del reato di omicidio con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Taranto. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2023.