Dolo Evasione e Scritture Contabili: la Cassazione Conferma la Condanna
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso significativo in materia di reati tributari, fornendo importanti chiarimenti sul concetto di dolo evasione. La pronuncia riguarda un imprenditore che, dopo aver distrutto o occultato le scritture contabili della propria attività, ha cercato di contestare la sussistenza dell’intento evasivo. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione, confermando un principio fondamentale: certi comportamenti sono di per sé una prova schiacciante della volontà di frodare il fisco.
I Fatti del Processo
Il caso nasce dal ricorso presentato da un imprenditore avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000, ovvero l’occultamento o la distruzione di documenti contabili. L’imprenditore, secondo l’accusa, aveva volutamente eliminato tale documentazione per impedire la ricostruzione dei propri redditi e del volume d’affari, sottraendosi così agli obblighi fiscali. La difesa, invece, contestava che tale condotta potesse automaticamente tradursi in una prova del dolo specifico di evasione richiesto dalla norma.
Le Ragioni del Ricorso e il Dolo di Evasione
Il ricorrente ha basato la sua difesa in Cassazione su tre motivi principali:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge sulla sussistenza del dolo specifico: Si sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente provato l’intento specifico di evadere le imposte, limitandosi a desumerlo dalla mera distruzione dei documenti.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Il ricorrente lamentava il diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante fossero state richieste.
3. Errata esclusione della non punibilità per particolare tenuità del fatto: Si contestava la decisione della Corte d’Appello di non applicare l’art. 131-bis c.p., che esclude la punibilità per fatti di minima offensività.
Il punto nevralgico della vicenda ruota attorno alla prova del dolo evasione: è sufficiente l’atto materiale della distruzione delle scritture contabili per affermare che l’imprenditore volesse frodare il fisco?
La Decisione della Corte: il Dolo Evasione è Palese
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. La decisione si fonda su un ragionamento logico e coerente che rafforza l’orientamento giurisprudenziale in materia.
Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici supremi hanno stabilito che la motivazione dei giudici di merito era tutt’altro che illogica. Aver concretamente esercitato un’attività d’impresa, producendo redditi, e aver poi distrutto le prove contabili di tale attività, costituisce una chiara e inequivocabile manifestazione del dolo evasione. Non si tratta di una presunzione, ma di una deduzione logica basata sull’esperienza comune: chi opera legalmente non ha motivo di nascondere le prove della propria gestione.
Anche gli altri due motivi sono stati ritenuti inammissibili. La Corte ha confermato che la presenza di precedenti penali specifici a carico dell’imputato era un elemento più che sufficiente a giustificare il diniego delle attenuanti generiche. Infine, ha avallato la scelta dei giudici di merito di escludere la particolare tenuità del fatto, data la gravità concreta della condotta, desumibile sia dall’entità dell’imposta evasa sia dall’intensità del dolo manifestato.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha motivato la propria decisione di inammissibilità analizzando punto per punto i motivi del ricorso. In primo luogo, ha evidenziato come l’apprezzamento dei giudici di merito sul dolo specifico fosse logico e non censurabile in sede di legittimità. La condotta di un imprenditore che, pur producendo reddito, occulta o distrugge la contabilità non può che essere letta come finalizzata a impedire l’accertamento fiscale. Questa è stata considerata una “chiara espressione del dolo di evasione”.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito che la valutazione delle circostanze attenuanti generiche è un potere discrezionale del giudice di merito, il quale, nel caso di specie, aveva correttamente basato il diniego sui precedenti penali dell’imputato, elemento ostativo che rendeva la motivazione adeguata e non illogica.
Infine, riguardo all’art. 131-bis c.p., la Corte ha qualificato il motivo come generico e manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva infatti escluso la non punibilità con un apprezzamento fattuale, anch’esso non illogico, basato sulla concreta gravità del fatto, desunta dall’importo dell’imposta evasa e dall’intensità dell’intento fraudolento. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni
Questa ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale per chiunque eserciti un’attività d’impresa: la corretta tenuta e conservazione delle scritture contabili non è solo un obbligo formale, ma un presidio di legalità la cui violazione può avere conseguenze penali molto serie. La distruzione della contabilità viene interpretata dai giudici non come una semplice negligenza, ma come un atto volontario e finalizzato a uno scopo illecito, ovvero l’evasione fiscale. La pronuncia insegna che il dolo evasione può essere desunto da comportamenti concludenti e che, una volta accertata la materialità del fatto, diventa estremamente difficile per l’imputato dimostrare l’assenza dell’intento fraudolento.
La distruzione delle scritture contabili è sufficiente a dimostrare il dolo di evasione?
Sì, secondo la Corte, se un soggetto esercita concretamente un’attività d’impresa producendo redditi, la distruzione o l’occultamento delle scritture contabili è ritenuta una chiara espressione del dolo di evasione, in modo non manifestamente illogico.
Avere precedenti penali impedisce di ottenere le attenuanti generiche?
Sì, la Corte ha ritenuto che la Corte di merito abbia motivato adeguatamente il diniego delle circostanze attenuanti generiche basandosi proprio sui precedenti penali, anche specifici, a carico dell’imputato, considerandoli un valido elemento ostativo.
Quando è inammissibile un ricorso che lamenta la mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto?
È inammissibile quando è generico e manifestamente infondato. Nel caso specifico, la Corte di merito aveva già escluso tale causa di non punibilità con una motivazione logica, basata sulla concreta gravità del fatto (desumibile dall’entità dell’imposta evasa) e sull’intensità del dolo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36656 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LORETO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOMECOGNOME che deduce il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione sussistenza dell’elemento soggettivo, è inammissibile, avendo ì giudici di merit ravvisato il dolo specifico dal fatto che l’imputato aveva concretamente esercita l’attività di ìmpresa producendo redditi, sicché la distruzione o l’occultamento de scritture contabili è stata ritenuta, in maniera certamente non manifestament illogica, chiara espressione del dolo di evasione;
rilevato che il secondo motivo, che lamenta la violazione di legge GLYPH ,il vizio di, ti”*….4.~,,44; ta motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generichenvendo la Corte di merito adeguatamente motivato sul punto, individuando, quale elemento ostativo, i precedenti penali, anche specifici di cui è gravato l’imputato;
rilevato che il terzo motivo, che eccepisce la violazione di legge e il vizi motivazione in relazione all’art. 131-bis cod. pen., è inammissibile perché generic e, comunque, perché manifestamente infondato, avendo la Corte di merito escluso, con un apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, la sussistenza dei presupposti integranti l’invocata causa di non punibilità alla luce della concr gravità del fatto, desumibile dall’entità dell’imposta evasa, e dell’intensità del d vista la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, del 26 luglio 2024, quale, nel riprendere i motivi di ricorso, non contiene elementi di novità;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cass delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2024.