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Dolo diffamazione: annullata l’assoluzione

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per il reato di diffamazione. Il caso riguardava un imprenditore che aveva accusato un concorrente di gravi illeciti, basandosi parzialmente su un articolo di giornale ma aggiungendo dettagli falsi. La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini del dolo diffamazione, è sufficiente la consapevolezza di pronunciare frasi oggettivamente lesive, anche se si crede erroneamente che siano vere. La Corte d’Appello aveva errato nel non considerare tutte le espressioni utilizzate dall’imputato, che andavano ben oltre la notizia di stampa e dimostravano la volontà diffamatoria.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo Diffamazione: Quando la Consapevolezza dell’Offesa è Sufficiente per la Condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10855/2024) ha riaffermato un principio cruciale in materia di diffamazione: per la configurabilità del reato è sufficiente il dolo diffamazione nella sua forma generica, ossia la semplice consapevolezza di pronunciare frasi lesive della reputazione altrui, senza che sia necessario un intento specifico di offendere. Questa decisione ha portato all’annullamento di una sentenza di assoluzione, evidenziando come una valutazione superficiale dell’elemento psicologico possa condurre a conclusioni errate.

I Fatti: Concorrenza Sleale e Accuse Infamanti

La vicenda trae origine dalla querela di un imprenditore, titolare di una concessionaria d’auto, contro un suo diretto concorrente. Quest’ultimo aveva diffuso, parlando con più persone, una serie di notizie gravemente lesive della reputazione del querelante.

Le accuse erano pesanti: evasione fiscale per 17 milioni di euro, commissione di truffe, cambi di ragione sociale per favorire attività illecite e persino l’intenzione di fuggire all’estero, avendo sposato una donna sudamericana. Per verificare la veridicità di queste voci, la persona offesa aveva assoldato un investigatore privato che, fingendosi un cliente, aveva registrato la conversazione incriminata.

Il Percorso Giudiziario: Dalla Condanna all’Assoluzione in Appello

In primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto la colpevolezza dell’imputato per il reato di diffamazione. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, mandando assolto l’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.

La motivazione dei giudici di secondo grado si fondava sull’assenza di dolo. Secondo la Corte territoriale, l’imputato non avrebbe agito con la consapevolezza di offendere, ma sarebbe caduto in errore. Egli avrebbe tratto le sue informazioni da un articolo di un quotidiano locale che riportava la notizia di un rinvio a giudizio a carico del concorrente, confondendolo erroneamente con una condanna definitiva. Questa confusione, unita alla sua presunta inesperienza in materia legale, sarebbe stata sufficiente, secondo i giudici d’appello, ad escludere l’elemento soggettivo del reato.

L’Analisi della Cassazione sul Dolo Diffamazione

La parte civile ha impugnato la sentenza di assoluzione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata valutazione dell’elemento psicologico. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello manifestamente illogica e carente.

I giudici di legittimità hanno evidenziato due errori fondamentali nel ragionamento della sentenza impugnata:

1. Irrilevanza dell’errore sulla verità del fatto: La Cassazione ha ribadito che, in tema di diffamazione, l’eventuale errore sulla veridicità dei fatti narrati non esclude il dolo. Il reato può essere commesso anche propalando notizie vere. Ciò che conta è la consapevolezza di formulare giudizi e usare espressioni oggettivamente lesive della reputazione altrui. Confondere un rinvio a giudizio con una condanna non è una scusante.

2. Travisamento della prova: La Corte d’Appello ha trascurato in modo illogico il fatto che l’imputato non si era limitato a riportare il contenuto dell’articolo di giornale. Al contrario, aveva aggiunto di sua iniziativa ulteriori accuse gravissime e del tutto false, come la continuazione delle evasioni, i cambi di denominazione sociale per scopi illeciti e la fuga all’estero. Queste “aggiunte” andavano ben oltre la notizia di stampa e costituivano un sintomo inequivocabile della consapevolezza del loro carattere offensivo e della volontà di ledere l’immagine del concorrente.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha censurato la sentenza d’appello perché, nel riformare una condanna di primo grado, non ha offerto una motivazione “rafforzata” in grado di confutare puntualmente gli argomenti della prima decisione. La motivazione assolutoria è stata giudicata insostenibile e illogica, poiché ha ignorato elementi di prova decisivi che dimostravano ampiamente la sussistenza del dolo diffamazione, quantomeno nella forma del dolo eventuale. La Corte ha ricordato che per integrare il reato non è richiesto il cosiddetto animus iniurandi vel diffamandi (l’intento specifico di nuocere), ma è sufficiente il dolo generico, inteso come l’uso consapevole di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di assoluzione. Tuttavia, trattandosi di un ricorso della sola parte civile, gli effetti della decisione sono limitati agli aspetti civilistici. La causa è stata quindi rinviata al Giudice civile competente per l’appello, che dovrà riesaminare la vicenda e decidere sulla richiesta di risarcimento danni, attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione. In pratica, il nuovo giudice dovrà valutare la responsabilità civile dell’imputato partendo dal presupposto che la sua condotta, così come descritta, integra l’elemento soggettivo del dolo diffamazione.

Credere che un’informazione diffamatoria sia vera esclude il dolo diffamazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’errore sulla veridicità dei fatti non esclude il dolo richiesto per il reato di diffamazione. È sufficiente avere la consapevolezza di formulare giudizi o usare espressioni che sono oggettivamente lesive della reputazione di un’altra persona.

Cosa deve fare un giudice d’appello per assolvere un imputato già condannato in primo grado?
Deve fornire una motivazione puntuale, adeguata e approfondita (cosiddetta motivazione rafforzata) che dia una giustificazione razionale della diversa decisione, confutando specificamente gli argomenti che avevano portato alla condanna nel giudizio precedente.

È necessario avere l’intenzione specifica di offendere per commettere il reato di diffamazione?
No. La sentenza chiarisce che per il reato di diffamazione non è richiesto l'”animus iniurandi vel diffamandi” (l’intenzione specifica di offendere). È sufficiente il dolo generico, che consiste nell’uso consapevole di parole ed espressioni che, secondo il loro significato sociale, sono offensive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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