Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10855 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10855 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile COGNOME NOME IN PROPRIO E N.Q. AMM. UNICO E LEGALE RAPPR. DELLA RAGIONE_SOCIALE nato a MANDURIA il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a MANDURIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che, riportandosi alla memoria depositata, ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata;
udito l’AVV_NOTAIO nell’interesse della parte civile, che ha illustrato le ragioni del ricorso e si è riportato alle conclusioni ed alla nota spese, contestualmente depositate;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega orale dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nell’interesse dell’imputato, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o in subordine il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in data 5 luglio 2023 mandava assolto NOME COGNOME, perché il fatto non costituisce reato, revocando le statuizioni civili, così riformando la sentenza del Tribunale tarantino, che aveva accertato la responsabilità penale dell’imputato in ordine al delitto di diffamazione.
In particolare a COGNOME veniva contestata la violazione dell’art. 595 cod. pen., «perché offendeva la reputazione di COGNOME NOME nel corso di un colloquio con più persone, dichiarando che il NOME aveva evaso le imposte per un totale di 17 milioni di euro, aveva commesso varie truffe anche dopo l’intervento dell’Autorità Giudiziaria, aveva effettuato il cambio di ragione sociale della sua azienda per favorire tale attività illecita e aveva la possibilità di sottrarsi a conseguenze dei suoi reati riparandosi all’estero, avendo sposato una donna sudamericana. In Manduria, il 3 agosto 2015».
Il ricorso per cassazione è proposto nell’interesse della parte civile NOME COGNOME e consta di unico articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, per illogicità manifesta e travisamento della prova quanto all’elemento soggettivo del delitto di diffamazione.
La Corte di appello non avrebbe tenuto in conto che la condotta posta in essere dall’imputato consentiva di ritenere comprovato il dolo richiesto dal delitto di diffamazione, consistente in quello generico dell’avere consapevolezza di utilizzare espressioni offensive.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente limitato l’efficacia probante della condotta oggettiva del COGNOME, che non solo narrava a terze persone il contenuto dell’articolo di stampa – riferendo che COGNOME era stato rinviato a giudizio per omesso pagamento dell’Iva, enfatizzando allusivamente la notizia e narrandola come una condanna – ma anche aggiungeva dei cambi di denominazione della società di COGNOME, da valutarsi in connessione con le condotte truffaldine, del successivo insistere di COGNOME nell’evasione dell’Iva, anche dopo le iniziative dell’autorità giudiziaria, connettendo a tutto ciò il trasferimento in Santo Domingo.
Il ricorrente lamenta la falsità delle accuse, come anche la circostanza che il diritto di critica, pure richiamato nella sentenza impugnata, richieda un nucleo di
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verità, nel caso in esame stravolto e strumentalizzato, il che renderebbe evidente la volontà dell’imputato di ledere l’onore della persona offesa.
Inoltre, risulterebbe manifestamente illogica la sentenza, nella parte in cui rileva come il rinvio che COGNOME fece all’articolo di giornale risultasse dimostrativo dell’assenza di volontà diffamatoria, in quanto la lettura dello stesso avrebbe consentito ai destinatari della comunicazione di verificare che alcuna condanna era intervenuta: diversamente, osserva il ricorrente, il rinvio alla notizia giornalistic serviva a rafforzare la verità delle proprie asserzioni, per colpire un concorrente commerciale, come dimostrava anche la circostanza che il narrato si estendeva a fatti non riferiti dal giornalista, quali il cambio di denominazione della società, l perpetrazione delle truffe e il trasferimento all’estero.
Il ricorso è stato trattato con l’intervento delle parti a seguito di richiest tempestiva di trattazione orale, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – ha chiesto annullarsi la sentenza, rilevando come la stessa non abbia valutato quella parte della dichiarazione dell’imputato rivolta ai terzi, che sopravanzava il contenuto della notizia giornalistica, in particolare con riferimento all’insistere nell’evasione di imposta nonostante le vicende giudiziarie che avevano interessato la parte civile.
I difensori delle parti private hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che le dichiarazioni rifluite nell’imputazione venivano riferite dall’imputato a un investigatore privato, assoldato da COGNOME.
Quest’ultimo, infatti, aveva saputo da clienti comuni che COGNOME, titolare di altra concessionaria d’auto e quindi concorrente nel medesimo settore merceologico della parte civile, lo stesse diffamando, in tal modo scoraggiando la clientela dal rivolgersi alla concessionaria del COGNOME.
A fronte di tali notizie, si legge nella sentenza di primo grado, l’investigatore accompagnato dal coniuge – che restava ignaro della ragione dell’accesso alla concessionaria dell’imputato – registrò la conversazione avuta con COGNOME e rifluita nell’imputazione in precedenza riportata.
Pertanto, alcuna contestazione vi è quanto alla ricostruzione oggettiva dei fatti, in quanto COGNOME effettivamente riferiva quanto indicato nella contestazione e ricapitolato nella sentenza di primo grado, oltre che riportato in ricorso, essendo tale contenuto tratto dalla registrazione della conversazione.
A fronte di tali emergenze oggettive certe, ciò che esclude la Corte di appello è la prova del dolo, ritenendo che COGNOME non abbia agito con consapevolezza della portata offensiva della propria narrazione, anche perché, non esperto di questioni di giustizia, aveva ritenuto di trarre da un articolo di un quotidiano la notizia che COGNOME fosse stato condannato, mentre invece era stato solo rinviato a giudizio.
3. Ebbene, va richiamato il consolidato principio per cui il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282612 – 01; Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281404 – 01; massime conf.: N. 4222 del 2017 Rv. 268948 – 01, N. 29253 del 2017 Rv. 270149 – 01).
Il principio è stato ribadito anche da Sez. U. n.14800/18 del 21/12/2017, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430, per cui il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, se non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, deve però offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva.
Le Sez. U, Troise, hanno precisato che la presunzione d’innocenza e il ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione al diverso epilogo decisorio: la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione, differenza che ha evidenti riflessi anche sul piano della estensione dell’obbligo di motivazione. Esso, infatti, si atteggia in modo diverso a seconda che si veda nell’una o nell’altra ipotesi: in caso di sovvertimento di una sentenza assolutoria, al giudice d’appello si impone
l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti viz logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio; per il ribaltamento di una condanna, invece, egli può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sul scorta di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo (pur avendo cura di precisare che, in tal caso, deve trattarsi di ricostruzioni alternative non solo astrattamente ipotizzabili, ma la cui plausibilità risulti ancorata alle evidenze processuali).
Nel caso in esame il motivo di ricorso è fondato in quanto la sentenza non risponde al requisito di sostenibilità di una ricostruzione alternativa plausibile, i tema di dolo. Infatti, non si confronta con due dati rilevanti.
In primo luogo, COGNOME mai è stato condannato e, dunque, la circostanza riferita dall’imputato che alludeva sostanzialmente ad un accertamento definitivo non rispondeva al vero (sul punto cfr. sentenza di primo grado, fol. 6).
Ma quand’anche dovesse ritenersi che COGNOME fosse caduto in errore, confondendo la condanna con il rinvio a giudizio indicato nell’articolo del Quotidiano di Taranto, va evidenziato che in tema di diffamazione l’errore sulla veridicità dei fatti o sulla correttezza dei giudizi oggetto della condotta incriminata non esclude il dolo richiesto dalla norma, perché non ricade sugli elementi costitutivi della fattispecie, potendo il reato essere consumato anche propalando la verità, ed essendo sufficiente, ai fini della configurabilità dell’element soggettivo, la consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa (Sez. 5, n. 47973 del 07/10/2014 Ud. De Salvo, Rv. 261205 – 01).
In secondo luogo, fondatamente il ricorso evidenzia come la sentenza impugnata abbia in modo manifestamente illogico trascurato il valore sintomatico della consapevolezza della offensività – delle ulteriori espressioni utilizzate, che vanno ben oltre il contenuto dell’articolo, spingendosi a narrare condotte di evasione dell’Iva commesse da COGNOME dopo gli accertamenti della autorità giudiziaria, come anche il riferimento ai cambi di denominazione, la sostanziale fuga all’estero di COGNOME, anche questa allusivamente collegata alle condotte illecite.
Va richiamato il consolidato principio per cui, in tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse
vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013. Dep. 2014, Verratti Rv. 258943 – 01), non essendo richiesto che sussista l'”animus iniurandi vel diffamandi” (Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012, dep. 2013, Rv. 254390 – 01).
Deve dunque evidenziare questa Corte come la motivazione sia viziata, in quanto si richiama la necessità di una intenzione diffamatoria per un verso, non richiesta, e per altro verso risulta manifestamente illogica nella parte in cui prende in considerazione solo alcune delle emergenze fattuali incontestate al fine di verificare la (in)sussistenza del dolo di diffamazione.
D’altro canto, non può non considerarsi che in tema di diffamazione, le notizie e le valutazioni esternate con espressioni dubitative o interrogative, se non corrispondenti al vero, possono ledere l’altrui reputazione quando le frasi pronunciate nel contesto della comunicazione, in quanto allusive, coinvolgenti e suggestive, sono idonee ad ingenerare nella mente dei destinatari il convincimento della effettiva rispondenza a verità del fatto formalmente solo adombrato (Sez. 5, n. 41042 del 17/06/2014, COGNOME, Rv. 260772 – 01; mass. conf. N. 6062 del 1995 Rv. 201762 – 01, N. 45910 del 2005 Rv. 233039 – 01).
A questi principi di diritto dovrà, pertanto, attenersi il Giudice civile, al quale va rimessa la decisione, in quanto l’art. 573, comma 1-bis cod. proc. pen., norma di nuovo conio, non è applicabile al caso di specie.
Difatti le Sezioni Unite di questa Corte in data 25 maggio 2023 hanno fissato il principio per cui l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione ai sensi dell’art. 99-bis del predetto d. Igs. n. 150 del 2022. Pertanto, la nuova norma non trova applicazione nel caso in esame, essendo la costituzione della parte civile antecedente al 30 dicembre 2022.
Pertanto, spetterà valutare al Giudice civile, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., l’incidenza che la soluzione delle censure predette ha sulla configurazione del reato e trarne le conseguenze quanto alle statuizioni civili.
Il Giudice del rinvio valuterà anche l’esito della decisione delle Sezioni Unite penali – prefissata per il 28 marzo 2024, ric. COGNOME NOME – e la sua incidenza per il caso concreto, avente ad oggetto il quesito se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, intervenuta l’estinzione del reato per prescrizione, il giudice debba pronunciarsi sulle statuizioni civili sulla base della regola di giudizio processual-
penalistica dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» ovvero di quella processualcivilistica del «più probabile che non».
Ne consegue l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. al Giudice civile competente per l’appello, al quale va rimesso anche il governo delle spese del presente grado di giudizio. Le spese di rappresentanza e difesa in giudizio verranno poi liquidate al definitivo, in quanto la parte civile non può ottenere la rifusione delle spese processuali all’esito del giudizio di legittimità che si è concluso con l’annullamento con rinvio, ma può far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell’imputato, dell’obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al principio della soccombenza, con riferimento all’esito del gravame (Sez. 5, n. 15806 del 19/03/2019, Valle, Rv. 276627 – 01; Sez. 5, n. 25469 del 23/04/2014, COGNOME, Rv. 262561 – 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Spese al definitivo.
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente
Così deciso in Roma, 19/12/2023