Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34949 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34949 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 544/2025
NOME COGNOME COGNOME
– Relatore –
R.G.N. 17864/2025
CARMINE RUSSO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/03/2025 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 25 marzo 2025, confermava la condanna di COGNOME NOME, pronunciata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lodi, alla pena di mesi due di reclusione per avere cagionato un incendio, avendo appiccato il RAGIONE_SOCIALE ad un quantitativo di rifiuti depositato in modo incontrollato all’interno della sua proprietà.
L’imputato, nella ricostruzione contenuta nei provvedimenti di merito, aveva dato RAGIONE_SOCIALE inizialmente ad un braciere ricavato da un bidone metallico; poi, nonostante gli fosse stato a più riprese intimato dalla RAGIONE_SOCIALE di spegnere il RAGIONE_SOCIALE, aveva continuato ad alimentarlo, per poi allontanarsi, lasciandolo incustodito; il RAGIONE_SOCIALE, a quel punto, si era esteso non solo alla proprietà dell’imputato, ma aveva invaso anche quella limitrofa, al punto che erano dovuti intervenire ripetutamente i RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE per domare le fiamme.
Avverso detto provvedimento propone ricorso l’imputato tramite il difensore di fiducia, enucleando un unico motivo di doglianza.
2.1 Lamenta il ricorrente la violazione degli artt. 423 cod. pen. e 256 bis d.lgs. 152/2006.
Secondo il ricorrente, in capo al COGNOME non potrebbe ritenersi sussistente il dolo di incendio, poiché GLYPH l’imputato non aveva agito né di nascosto né in modo clandestino ed, inoltre, senza alcuna intenzione di appiccare un RAGIONE_SOCIALE, poiché aveva accatastato materiale
che non doveva essere dato alle fiamme, utilizzando il RAGIONE_SOCIALE solo per pulire il terreno; aveva altresì adottato degli accorgimenti, quali l’utilizzo del braciere, che avrebbero dovuto evitare che il RAGIONE_SOCIALE si propagasse in maniera incontrollata.
Inoltre, dovendosi apprezzare la ricorrenza di un pericolo di incendio con prognosi ex ante, nel caso concreto, nel momento in cui l’autore ha posto in essere la condotta non sarebbe stata prevedibile l’evoluzione in concreto verificatasi.
Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in quanto generico.
Nel replicare alle conclusioni del procuratore generale, con memoria del 6 settembre 2025, il ricorrente respinge le censure di genericità e insiste per l’annullamento dell’impugnata sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1 La principale censura mossa all’impugnato provvedimento, avente ad oggetto l’omessa dimostrazione dell’elemento volitivo doloso in capo all’imputato, è fondata.
L’esame puntuale delle scansioni temporali di quanto avvenuto il 13 settembre 2021 come riportate nella sentenza di primo grado fa apparire ampiamente illogica l’affermazione della sussistenza in capo all’imputato del dolo di incendio.
Come riportato nella sentenza di primo grado, infatti, alle 11.15 l’imputato stava alimentando le fiamme con legname residuo di lavorazione all’interno di un braciere ricavato da un bidone metallico; era in quel frangente che due agenti della polizia locale si erano recati in loco e gli avevano intimato di spegnere le fiamme.
Alle 14.00 vi era stato un secondo accesso di un agente di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che, rilevato come COGNOME non avesse provveduto a spegnere le fiamme, ma, al contrario, avesse continuato ad alimentare il RAGIONE_SOCIALE, gli aveva nuovamente intimato di estinguere il RAGIONE_SOCIALE.
Alle 16.14 erano intervenuti una prima volta i vigili del RAGIONE_SOCIALE per spegnere le fiamme che si erano nel frattempo propagate anche alla proprietà limitrofa.
Quel medesimo giorno i RAGIONE_SOCIALE erano intervenuti altre due volte poiché le fiamme erano tornate ad alimentarsi; vi era stato un ultimo intervento il 15 settembre perché parte del legname interessato dall’incendio dei giorni precedenti aveva ripreso a bruciare.
I vicini di casa avevano visto NOME che dalle 11 alle 13,45 aveva alimentato il RAGIONE_SOCIALE all’interno del bidone di ferro; dopo l’intervento della vigilessa che lo aveva esortato a spegnere il RAGIONE_SOCIALE, l’uomo era andato alla ricerca di acqua, poi aveva utilizzato della terra per soffocare le fiamme.
I vicini avevano escluso che NOME avesse bruciato pezzi di plastica; tale materiale aveva preso RAGIONE_SOCIALE in ragione del propagarsi dell’incendio.
Le fiamme sembravano spente e NOME alle 14.30 si era allontanato; successivamente il RAGIONE_SOCIALE aveva ripreso e a quel punto le fiamme si erano propagate alla vegetazione circostante.
Il reato contestato all’imputato, e ritenuto sussistente dai giudici di merito, è il delitto di incendio di cui all’art. 423 cod. pen, che è connotato dal dolo generico, ovvero dalla volontà
di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità.
Il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente il necessario elemento doloso poiché l’imputato aveva originato ed alimentato l’incendio, anche dopo che gli era stato intimato di spegnerlo e quel RAGIONE_SOCIALE aveva raggiunto una intensità e diffusione tale da costituire un incendio.
Il provvedimento impugnato, circa la sussistenza del necessario elemento volitivo doloso, sostiene che l’imputato aveva appiccato il RAGIONE_SOCIALE all’interno del bidone e lo aveva reiteratamente alimentato, anche dopo che le fiamme si erano estese dalla base del bidone verso il terreno circostante: questo particolare non è contenuto nella ricostruzione dei fatti offerta dalla sentenza di primo grado e risulta in contrasto con quanto affermato qualche riga dopo, laddove si afferma che COGNOME, in ottemperanza all’invito rivoltogli di spegnere il RAGIONE_SOCIALE, aveva buttato terra all’interno del bidone, come del resto confermato anche dai vicini di casa, per spegnere il RAGIONE_SOCIALE; se il RAGIONE_SOCIALE davvero si fosse già propagato fuori dal bidone tale condotta non avrebbe avuto alcun senso.
Secondo la Corte territoriale, poi, nel momento in cui venne posto in essere tale tentativo di spegnimento, il RAGIONE_SOCIALE appariva già propagato ben oltre il bidone, mentre, come affermato nella sentenza di primo grado, il RAGIONE_SOCIALE, alle 14.30, cioè nel momento in cui COGNOME abbandonava l’area, sembrava spento.
La Corte afferma che la presenza di un odore acre e di un fumo consistente erano segnali del pericolo che il RAGIONE_SOCIALE ripartisse di lì a poco.
La ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata che costituisce il fondamento motivazionale della ritenuta sussistenza dell’elemento volitivo doloso è confusa e contradditoria.
Da un lato, infatti, si afferma che il RAGIONE_SOCIALE appariva ben propagato al di fuori del bidone, al punto che l’intervento di spegnimento del COGNOME si era rivelato intempestivo, mentre, dall’altro, si afferma che nel momento in cui COGNOME aveva abbandonato l’area vi erano ancora fumo e odore acre, ma all’evidenza non più fiamma, che infatti aveva ripreso una volta che COGNOME si era allontanato dall’area.
Cosa ne sia stato del RAGIONE_SOCIALE che si sarebbe asseritamente propagato al di fuori del bidone, come sostenuto in narrativa, nel momento in cui COGNOME abbandonò la proprietà, quando cioè all’evidenza di RAGIONE_SOCIALE non ve ne era più, il provvedimento impugnato non lo chiarisce.
La circostanza che emerge con evidenza da entrambe le ricostruzioni dei giudici di merito è che, a seguito dell’intervento dell’imputato, nelle prime ore del pomeriggio, il RAGIONE_SOCIALE sembrava spento ed era in quel momento che egli aveva abbandonato l’area; purtroppo, il RAGIONE_SOCIALE di lì a poco avrebbe ripreso vigore.
L’ampiezza del RAGIONE_SOCIALE che, secondo la sentenza impugnata si sarebbe esteso alla base del bidone, è poco rilevante al fine di verificare l’elemento psicologico, atteso che pare accertata la circostanza che, nel momento in cui l’imputato abbandonò l’area, il RAGIONE_SOCIALE appariva spento, nonostante il permanere di fumo e odore acre.
In ragione di tali elementi fattuali, la riconduzione della condotta dell’imputato ad una volizione dolosa appare scorretta: le circostanze che l’imputato pose in essere un’attività di spegnimento del RAGIONE_SOCIALE, per quanto non idonea e dimostratasi inefficace sul lungo periodo, e che abbandonò l’area solo nel momento in cui ebbe la fallace convinzione che il RAGIONE_SOCIALE si fosse spento, sembrano permettere di escludere che la volontà dell’imputato fosse quella di appiccare un abbruciamento di vaste proporzioni alla sua proprietà e a quelle altrui.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, non pare sussistere neppure l’elemento volitivo doloso nelle forme del dolo eventuale: il fatto che l’imputato avesse posto in essere delle attività per spegnere il RAGIONE_SOCIALE e ci fosse anche riuscito, abbandonando l’area solo a RAGIONE_SOCIALE (apparentemente) spento sembra indicare che non sussisteva l’accettazione del rischio di provocare un incendio, proprio per l’insanabile contraddittorietà della condotta posta in essere rispetto a tale asserito atteggiamento mentale, ma, piuttosto, un atteggiamento imprudente e negligente.
Per le ragioni testé evidenziate la sentenza impugnata si appalesa affetta da un vizio di motivazione circa la sussistenza del dolo, per l’insanabile contrasto evidenziato fra gli avvenimenti, per come ricostruiti nelle sentenze di merito, e la condotta tenuta dall’imputato in rapporto al ritenuto atteggiamento volitivo doloso.
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la necessità di una nuova approfondita valutazione dell’elemento psicologico della condotta e della qualificazione giuridica del reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione alla qualificazione giuridica del fatto con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano
Così deciso il 17 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME