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Dolo di calunnia: la Cassazione sulla certezza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per calunnia. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il dolo di calunnia è richiesta la certezza assoluta, da parte dell’accusatore, dell’innocenza della persona incolpata. Il semplice dubbio non è sufficiente. Il ricorso è stato respinto perché mirava a una nuova valutazione dei fatti, compito precluso alla Corte di legittimità.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo di Calunnia: Quando la Falsa Accusa Diventa Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34671/2025, torna a pronunciarsi su un tema delicato e di grande rilevanza pratica: il dolo di calunnia. Questa decisione ribadisce con fermezza un principio cardine del nostro ordinamento penale: per accusare qualcuno del reato di calunnia, previsto dall’art. 368 del codice penale, non basta un sospetto o un dubbio, ma è necessaria la prova della certezza, da parte di chi denuncia, dell’innocenza della persona accusata. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso: Una Segnalazione e le Sue Conseguenze

La vicenda trae origine dalla condanna di una donna per il reato di calunnia. La donna aveva segnalato alle forze dell’ordine un suo vicino, accusandolo di spaccio di sostanze stupefacenti e di altri illeciti. Tuttavia, le indagini successive avevano dimostrato la falsità di tali accuse.

La difesa dell’imputata, nel corso dei gradi di giudizio, ha sempre sostenuto la sua buona fede, affermando che la donna non era consapevole dell’innocenza del vicino e che si era limitata a riportare informazioni apprese da terze persone. Una versione che, però, non ha convinto né il Tribunale né la Corte di Appello.

I giudici di merito hanno infatti ritenuto provata l’esistenza del dolo, basandosi su una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che delineavano un quadro ben diverso da quello di una semplice segnalazione imprudente.

La Decisione della Corte sul Dolo di Calunnia

L’imputata ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge riguardo alla sussistenza del dolo di calunnia. La Corte Suprema, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna.

La Cassazione ha chiarito che i motivi del ricorso erano essenzialmente fattuali, volti a ottenere una nuova valutazione delle prove, un’operazione che esula dai poteri del giudice di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è quello di stabilire quale sia la “migliore” ricostruzione dei fatti, ma solo di verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e giuridicamente corretta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Nel motivare la propria decisione, la Corte ha sottolineato come la Corte di Appello avesse adeguatamente giustificato la sussistenza del dolo, ossia della piena consapevolezza dell’innocenza dell’accusato. Gli elementi valorizzati dai giudici di merito sono stati ritenuti decisivi:

1. Il Contesto Temporale: La segnalazione era avvenuta lo stesso giorno di un’udienza civile che vedeva contrapposte le famiglie dell’accusatrice e dell’accusato per annose questioni di vicinato. Una coincidenza ritenuta tutt’altro che casuale.
2. La Fermezza dell’Accusa: L’imputata, nel momento della segnalazione, aveva dichiarato agli operanti di essere “sicurissima” di quanto stava denunciando, dimostrando un’assoluta certezza e non un semplice sospetto.
3. Le Versioni Contraddittorie: Nel corso del procedimento, la donna aveva fornito spiegazioni diverse e contrastanti riguardo alla fonte delle sue informazioni, minando la credibilità della sua versione difensiva.

Questi elementi, letti nel loro complesso, hanno permesso ai giudici di concludere, in modo logico e coerente, che l’incolpazione era “del tutto falsa e frutto di fantasia”, mossa dalla precisa intenzione di accusare una persona che si sapeva essere innocente.

Conclusioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’orientamento secondo cui il dolo di calunnia è una forma di dolo diretto e non può configurarsi in presenza di un mero dolo eventuale. Chi denuncia deve avere la certezza morale dell’innocenza dell’accusato; il dubbio non è sufficiente a integrare il reato. In secondo luogo, la pronuncia evidenzia i limiti del giudizio di cassazione: non è una terza istanza di merito dove si possono ridiscutere le prove, ma un controllo sulla legittimità della decisione. Infine, il caso rammenta la gravità della calunnia, un reato che lede non solo l’onore della persona ingiustamente accusata, ma anche il corretto funzionamento della giustizia, che viene sviata da denunce infondate.

Per commettere il reato di calunnia è sufficiente avere il dubbio sull’innocenza di una persona?
No, secondo la sentenza non è sufficiente. L’elemento soggettivo del reato di calunnia richiede la “consapevolezza certa dell’innocenza dell’incolpato”. Il cosiddetto dolo eventuale, ovvero l’accettazione del rischio che l’accusato sia innocente, è escluso.

Quali elementi ha considerato la Corte per affermare la piena consapevolezza dell’accusatrice?
La Corte ha ritenuto logica la valutazione dei giudici di merito basata su specifici elementi: la coincidenza temporale tra la denuncia e un’udienza per liti di vicinato, la dichiarazione dell’accusatrice di essere “sicurissima” dei fatti riportati, e le sue versioni contraddittorie fornite nel tempo sulle sue fonti di conoscenza.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del processo?
No, il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può rivalutare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici precedenti, ma può solo verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia esente da vizi logici o violazioni di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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