Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8121 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8121 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 06/08/1999
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIBUNALE RAGIONE_SOCIALE di PALERMO
visti gli atti letto il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 611, comma 1, c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo dell’11/10/2024 che, nel rigettare la richiesta di riesame, ha confermato il provvedimento con cui il Gip del Tribunale di Marsala ha applicato al ricorrente la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in ordine al reato di cui agli artt. 110, 628, commi 1 e 3 n. 1 cod. pen.
La difesa affida il ricorso a due motivi con i quali deduce:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come rapina anziché furto.
Al riguardo, si evidenzia come il ricorrente si sia impossessato del telefono cellulare prelevandolo da una panchina dove era stato lasciato e che la sottrazione dell’oggetto è avvenuta in un momento separato dalla colluttazione (peraltro reciproca) tra il ricorrente e la p.o., quando il primo si stava allontanando. Mancava, quindi, l’uso di violenza e minaccia, sussistendo uno iato tra la colluttazione, sorta per altri motivi, e l’impossessamento.
2.2. Violazione di legge e omessa motivazione con riferimento all’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.
Si lamenta l’omessa motivazione in ordine all’attualità e alla concretezza dell’esigenza cautelare ravvisata, essendosi il Tribunale limitato a dare conto dell’adeguatezza della misura applicata.
Il Pubblico ministero, con requisitoria del 13 gennaio 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il motivo sulla gravità indiziaria è manifestamente infondato poiché prospetta una ricostruzione alternativa dei fatti che trova puntuale smentita nell’ordinanza impugnata.
In particolare, il Tribunale del riesame, sulla scorta delle precise dichiarazioni della p.o., per come confermate negli snodi essenziali del fatto da due testimoni presenti all’accaduto, ha ricondotto la sottrazione del telefono cellulare all’aggressione ai danni della vittima del reato. E poco importa che il motivo iniziale del contendere non fosse animato dall’intento sottrattivo e che il telefono si trovasse sulla panchina e non indosso alla p.o., posto che, per come sottolineato
dall’ordinanza impugnata, di tale situazione ha approfittato il ricorrente per impossessarsi del telefono cellulare, così rendendo non affatto decisivo lo iato temporale, in ipotesi verificatisi, tra l’aggressione e la sottrazione, risultand l’impossessamento derivazione, anche eziologica, della violenza perpetrata quale condizione di fatto che ha permesso al ricorrente di conseguire anche l’ingiusto profitto patrimoniale.
Il fatto, poi, che l’azione violenta sia sorta in origine per altre ragioni no consente di escludere ex sé il dolo del delitto di rapina. Infatti, come la giurisprudenza di questa Corte Suprema non ha mancato di sottolineare, è ben possibile ritenere che il reato possa essere integrato anche dal cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, in quanto la coscienza e volontà del soggetto attivo, dovendo cadere sulla funzione e sulla efficacia della minaccia o della violenza, strumentali rispetto all’impossessamento, non devono necessariamente preesistere all’inizio della attività integratrice dal reato, ma possono insorgere anche in un secondo momento, peraltro durante il compimento degli atti di violenza o di minaccia (ex multis, Sez. 1, n. 10097 del 09/01/1974,
Acquaviva, Rv. 128864 -01; da ultimo, Sez. 2, n. 39562 del 29/09/2023, COGNOME, n.m., in motivazione a pag. 3).
In tale senso,deve dunque leggersi l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale “ai fini della sussistenza del delitto di rapina, è sufficiente che l’agent ponga in essere l’impossessamento, allorché la minaccia (o la violenza – ndr.) è già in atto, non essendo necessario che la minaccia sia finalizzata a tale scopo fin dal primo atto” (Sez. 2, n. 4667 del 09/10/1987, dep. 1988, Del Percio, Rv. 178144 – 01; Sez. 2, n. 3116 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 265644 – 01).
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo in tema di esigenze cautela ri.
L’ordinanza impugnata sul punto risulta corredata da congrua motivazione, essendosi richiamati, a corredo del periculum evocato, tanto le spregiudicate modalità della condotta, del tutto continenti con l’uso di un coltello, quanto il precedente annoverato dal ricorrente per i reati di resistenza a p.u. e lesioni aggravate, elementi che ne avvalorano la concretezza in termini di rischio di recidiva. La circostanza, poi, che il fatto per cui si procede sia stato commesso il 13 settembre 2024 e, quindi, in tempo estremamente recente rispetto all’ordinanza genetica (del 27/09/2024), dà ragionevolmente conto dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato e tanto a prescindere dall’orientamento della Corte di legittimità a mente del quale, in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con
l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stamegna, Rv. 267785 – 01; Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285217 – 01).
In conclusione, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 1’11 febbraio 2025.