Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7167 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7167  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ACERRA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO, il quale conclude chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 gennaio 202:3 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia il 3 febbraio 2022, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di tentato omicidio plurimo pluriaggravato, detenzione e porto in luogo pubblico illeciti di arma comune da sparo, ricettazione, detenzione non autorizzata di munizioni e danneggiamento e, applicate le circostanze attenuanti generiche e quella della provocazione in rapporto di equivalenza con le aggravanti e ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condanNOME alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato, di otto anni di reclusione oltre che al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia.
I menzionati provvedimenti sono stati resi nell’ambito del procedimento penale relativo ai fatti verificatisi in Reggio Emilia il 17 ottobre 2020, giorno i cui NOME COGNOME fu coinvolto, in orario serale, in un diverbio con alcuni giovani di origine nordafricana, nel quale egli, versando in condizioni di inferiorità numerica, ebbe la peggio tanto che, roviNOME in terra, venne raggiunto dai calci sferrati dai contraddittori.
COGNOME, poco dopo, reincontrò il gruppo di ragazzi, al cui indirizzo esplose, disponendo di un’arma di origine furtiva, nove colpi di pistola, sei dei quali attinsero altrettante persone offese.
La Corte di appello, chiamata a pronunziarsi, tra l’altro, sul dolo che animò l’agente – profilo sul quale si concentra l’unico motivo di ricorso per cassazione – ha ritenuto che la sua azione sia stata connotata da animus necandi, sub specie, quantomeno, di dolo diretto alternativo, avuto precipuamente riguardo: alla micidialità dell’arma; all’esplosione di colpi in immediata sequenza ed a distanza ravvicinata dalle vittime, impegnate in un tentativo di fuga; all’avere COGNOME rivolto la pistola nei confronti, indiscriminatamente, di tutti i componenti del drappello, che ha inseguito, mirando ad altezza d’uomo (in quanto compresa tra 131 e 140 cm.); al numero dei colpi esplosi, in astratto sufficiente a cagionare la morte di tutte le vittime, la maggior parte delle quali, peraltro, sono state effettivamente attinte.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto che la sua condotta è stata animata da dolo omicidiario nei confronti di tutte le persone offese anziché del solo NOME COGNOME, il quale è stato raggiunto per primo
perché ritenuto principale responsabile dell’aggressione che egli aveva, poco prima, subito e che, anche per questa ragione, ha ripoh:ato, nell’occasione, lesioni di maggiore gravità rispetto a quelle arrecate alle altre vittime.
Segnala, in proposito, che la proposta doglianza trova conforto nelle dichiarazioni rese da una delle persone offese, NOME COGNOME, a dire del quale egli aveva diretto la propria furia vendicativa nei riguardi proprio di NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su motivo manifestamente infondato.
Preliminarmente, avendo il ricorrente articolato doglianze anche ai sensi dell’ad. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., occorre ricordare, con la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217) che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a sindacare l’intrinsec attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove, né a ripercorrer l’analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME‘ Rv. 226074-01).
Sarebbero, quindi, inammissibili censure che si fondassero su alternative letture del quadro istruttorio, sollecitando il diverso apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l’eventuale sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, tassativamente previsti dall’ad. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6 n. 13442 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del :30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153).
Ne discende, è stato, da ultimo, ribadito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747), che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non
sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, del spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Nel caso di specie, la Corte di appello ha spiegato, in termini alieni da qualsivoglia frattura razionale ed aderenti alle emergenze istruttorie, che, pacifica l’attitudine letale dell’arma utilizzata da COGNOME, le modalità dell’azione depongono univocamente per la sussistenza di un atteggiamento piscologico caratterizzato, nei confronti di tutte le persone offese, da dolo diretto alternativo, per come univocamente attestato dall’esplosione, a distanza di pochi metri, di nove colpi di arma da fuoco ad altezza d’uomo, sei dei quali hanno raggiunto altrettanti bersagli umani, ciò che attesta che egli, diversamente da quanto da lui apoditticamente eccepito, ha rivolto la manifestazione di violenta aggressività nei confronti, indiscriminatamente, di tutti i componenti del gruppetto nel quale militava anche NOME COGNOME.
In questo senso, del resto, depone il fatto che quest’ultimo, ancorché individuato dall’agente quale primo responsabile del pestaggio da lui poco prima patito, non è stato raggiunto da una pluralità di colpi, mentre la circostanza che COGNOME abbia riportato conseguenza più serie costituisce, nella complessiva economia della vicenda, mero accidente’ non idoneo ad evidenziare, nel complesso della motivazione della sentenza impugnata, vizi rilevabili dal giudice di legittimità.
Al riguardo, la Corte di appello ha, peraltro, spiegato che l’impostazione accusatoria trova ulteriore riscontro nella genesi della reazione dell’imputato, fermamente intenzioNOME a rivalersi nei confronti non solo di NOME, il quale aveva dato il la all’aggressione, ma anche degli altri soggetti che, nella medesima circostanza, non avevano esitato ad inferire su di lui.
Detta ricostruzione non appare contraddetta dalle parole di NOME COGNOME, estraneo alla prima fase della vicenda, il quale, per quanto si legge nella sentenza di primo grado (cfr. pag. 9), si è limitato a riferire che COGNOME ha sparato all’indirizzo di COGNOME, circostanza che, come detto, non esclude che l’imputato abbia sfogato il proprio rancore dirigendo i colpi, come effettivamente
accaduto, verso gli altri giovani che si trovavano insieme al principale, ma non unico, obiettivo della sua condotta illecita.
Assolutamente ragionevole è, dunque, nel contesto testé delineato, la conclusione raggiunta dalla Corte di appello in merito all’indifferenza, in capo all’agente, delle conseguenze, letali o meramente lesive, che avrebbero potuto scaturire, nei confronti di ciascuna delle vittime, dalla sua scellerata iniziativa.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa cli inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/11/2023.