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Dolo alternativo: concorso in tentato omicidio

Un passeggero, rimasto a bordo di un’auto rubata durante una fuga, è stato ritenuto responsabile di tentato omicidio in concorso con il guidatore che ha investito un carabiniere. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, qualificando l’elemento psicologico come dolo alternativo, poiché la scelta consapevole di non scendere dal veicolo, avendone la possibilità, implica l’accettazione e la volizione di tutte le conseguenze necessarie per garantire la fuga, inclusa l’azione violenta.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dolo Alternativo e Concorso di Persone: La Scelta di Restare a Bordo Rende Complici?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35604/2025, affronta un caso complesso di concorso in tentato omicidio, chiarendo i confini tra dolo eventuale e dolo alternativo. La decisione sottolinea come la scelta di un complice di rimanere a bordo di un veicolo durante una fuga disperata, pur avendo la possibilità di scendere, possa configurare una piena adesione psicologica al reato più grave commesso dal conducente. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione sulla responsabilità penale del concorrente che non compie materialmente l’azione principale.

I Fatti: Una Fuga Violenta Dopo il Furto

Il caso ha origine da un intervento dei Carabinieri per intercettare un’auto rubata, i cui occupanti avevano appena commesso un furto in una tabaccheria. Fermata a un semaforo, l’auto, dopo un’apparente intenzione di arrendersi, ingrana una repentina retromarcia e si dà alla fuga, dando inizio a un inseguimento. Durante la fuga, il veicolo si ferma nuovamente. Un passeggero scende e scappa, mentre il conducente e un altro complice rimangono a bordo. L’auto riparte, invade la corsia opposta e punta deliberatamente contro un carabiniere, che nel frattempo si era posizionato a piedi per bloccare la strada. Nonostante il militare tenti di schivare il veicolo, viene travolto e gravemente ferito. La difesa del passeggero rimasto a bordo sosteneva che la sua unica intenzione fosse la fuga e che non avesse previsto né voluto l’investimento, attribuendo la responsabilità esclusivamente al guidatore.

L’Analisi della Corte sul Dolo Alternativo del Passeggero

Il nucleo della decisione della Suprema Corte risiede nella qualificazione dell’elemento psicologico del passeggero. La difesa aveva tentato di inquadrare la sua condotta nell’ambito del dolo eventuale, sostenendo che egli avesse al massimo accettato il rischio di un incidente, ma non voluto un tentato omicidio. Tale tesi è stata respinta.

I giudici hanno invece confermato la tesi del dolo alternativo. La Corte ha valorizzato un momento cruciale: quando l’auto si è fermata la seconda volta, permettendo a un altro complice di scappare, l’imputato ha avuto la concreta e chiara possibilità di dissociarsi, scendendo a sua volta. La sua scelta di rimanere a bordo è stata interpretata non come una passiva accettazione del rischio, ma come una adesione attiva e volontaria alla strategia di fuga del conducente, qualunque essa fosse. In quel contesto, era altamente probabile che la fuga avrebbe comportato azioni violente per superare l’ostacolo rappresentato dalle forze dell’ordine.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che il dolo alternativo si configura quando l’agente si rappresenta e vuole indifferentemente l’uno o l’altro degli eventi che possono scaturire dalla sua condotta. Nel caso di specie, il passeggero, scegliendo di non scendere, ha voluto la fuga e, alternativamente, ha voluto anche l’evento lesivo (il ferimento o la morte dell’agente) come mezzo necessario per realizzarla. L’intensità della sua volontà è stata ritenuta ben superiore a quella di una mera accettazione del rischio, tipica del dolo eventuale. Questa forma di dolo, a differenza di quello eventuale, è pienamente compatibile con la figura del delitto tentato.

Inoltre, la Corte ha dato peso anche alle condotte post factum: il passeggero non solo è rimasto nel veicolo dopo l’investimento, ma ha proseguito la fuga con i complici e partecipato attivamente ai successivi tentativi di depistaggio, come gettare polvere di estintore dal finestrino e, infine, dare fuoco all’auto per cancellare le tracce. Questi comportamenti sono stati considerati un’ulteriore prova della piena condivisione del proposito criminoso e del rafforzamento reciproco tra i correi.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto di notevole importanza pratica: in contesti criminali ad alto rischio, l’opportunità di dissociarsi da un’azione illecita assume un valore decisivo. La mancata dissociazione, quando possibile, non viene letta come semplice inerzia, ma come un’adesione volontaria all’evoluzione criminosa, anche quando questa sfocia in reati più gravi non direttamente compiuti dal concorrente. La distinzione tra accettare un rischio (dolo eventuale) e volere indifferentemente uno tra più esiti (dolo alternativo) diventa così fondamentale per determinare il grado di responsabilità nel concorso di persone nel reato.

Quando la permanenza di un passeggero in auto durante una fuga lo rende responsabile di tentato omicidio commesso dal guidatore?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando il passeggero ha avuto una concreta e chiara possibilità di scendere dal veicolo per dissociarsi dalla condotta criminosa, ma ha consapevolmente scelto di rimanere a bordo. Tale scelta viene interpretata come un’adesione volontaria all’azione di fuga e a tutte le sue probabili e necessarie conseguenze, integrando così il dolo alternativo.

Qual è la differenza tra dolo alternativo e dolo eventuale secondo questa decisione?
Il dolo eventuale consiste nella mera accettazione del rischio che un evento non voluto possa verificarsi come conseguenza della propria azione. Il dolo alternativo, invece, implica un’intensità volitiva superiore: l’agente prevede e vuole indifferentemente uno dei possibili risultati della sua condotta (nel caso specifico, la fuga ad ogni costo, anche a quello di uccidere), dimostrando così una piena adesione psicologica all’evento più grave, che non viene solo accettato come rischio ma voluto come opzione.

La condotta tenuta dopo il fatto principale può essere usata per dimostrare l’intenzione del complice?
Sì. La Corte ha affermato che il comportamento dell’imputato successivo all’investimento (proseguire la fuga, partecipare ai tentativi di depistaggio, incendiare l’auto) è un elemento probatorio rilevante. Tale condotta, definita post factum, è stata considerata un forte indicatore della sua piena condivisione del piano criminoso fin dall’inizio e della sua adesione a tutte le fasi dell’azione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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