Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23873 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23873 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/07/2023 la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di diciotto anni e otto mesi di reclusione per i reati di tentato omicidio di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo a) e di detenzione e porto d’arma da fuoco (capo b), escludendo l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. contestata al capo a), e rideterminando la pena inflitta in dodici anni di reclusione.
I Giudici di merito, con concorde valutazione, hanno così ricostruito il fatto: il 23 ottobre 2021 alle ore 23:05 un’autovettura Volkswagen Golf di colore nero si immetteva a fortissima velocità in INDIRIZZO, e cominciava a “zigzagare” finché non raggiungeva una vettura Mercedes, percorrente lo stesso senso di marcia, a cui tagliava la strada, bloccandola; dalla Golf scendevano due uomini, e il conducente raggiungeva il lato sinistro della Mercedes impugnando una pistola che puntava distendendo il braccio ‘verso il conducente della Mercedes (successivamente identificato in NOME COGNOME), mentre il passeggero della Golf, raggiungeva il lato destro della Mercedes tentando di aprire lo sportello anteriore della stessa.
La Mercedes, nel tentativo di sottrarsi agli assalitori, si dava alla fuga in retromarcia a fortissima velocità, travolgendo l’uomo che si trovava sulla sua sinistra e che aveva già aperto la portiera anteriore sinistra del veicolo, che cadeva rovinosamente al suolo; durante tale manovra, l’uomo armato di pistola esplodeva alcuni colpi d’arma da fuoco verso il veicolo.
Il conducente della Mercedes continuava la sua corsa in retromarcia nel tentativo di fuggire agli attentatori impattando con lo sportello lato passeggero, rimasto aperto, un palo dell’illuminazione pubblica; l’autovettura imboccava INDIRIZZO e veniva inseguita a piedi dai due assalitori finché la Mercedes riusciva a continuare la fuga e ad allontanarsi definitivamente. A quel punto i due attentatori tornavano all’autovettura Golf e si allontanavano inseguiti da una vettura civetta della Squadra Mobile che aveva casualmente visto l’intera scena, riuscendo tuttavia a dileguarsi.
L’autovettura Mercedes, rintracciata dagli operanti in INDIRIZZO, presentava alcuni fori di entrata di colpi da fuoco e gli occupanti della stessa erano identificati in NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali tuttavia non davano indicazioni utili all’identificazione degli assalitori.
Il soggetto che esplose i colpi d’arma da fuoco contro la Mercedes veniva identificato con certezza nell’imputato NOME COGNOME, il quale, in sede spontanee dichiarazioni rese in udienza preliminare, ammetteva le proprie responsabilità, affermando che il movente dell’azione era da individuarsi nella confidenza che NOME COGNOME aveva fatto alla convivente del COGNOME circa una relazione clandestina che questi intratteneva con altra donna, motivo per il quale la sua convivente l’aveva allontanato dall’abitazione familiare e dai suoi figli. Egli, nel confermare le dinamiche dell’agguato, già ampiamente ricostruite sulla base di quanto direttamente percepito dagli operanti che si trovavano casualmente in loco nonché dalla visione delle telecamere di sorveglianza poste lungo il tragitto compiuto dai due veicoli, affermava che non era stata sua intenzione né ferire né uccidere le persone all’interno dell’autovettura.
Entrambi i Giudici di merito hanno ritenuto integrato il contestato delitto di tentato omicidio in considerazioni delle complessive modalità del fatto: risultava in particolare come l’imputato avesse esploso da distanza ravvicinata con il braccio disteso in direzione dell’abitacolo della vettura ben quattro colpi d’arma da fuoco, nella fase in cui il conducente della Mercedes aveva azionato la retromarcia e si stava allontanando; due di questi colpi penetravano all’interno del veicolo, ed in particolare uno forava il centro del parabrezza ed andava a conficcarsi alla base del poggiatesta del posto del passeggero, mentre l’altro penetrava dallo sportello lato guida per poi proseguire la traiettoria all’interno dell’abitacolo, scalfendo la plastica interna dello sportello; dopo aver esploso i colpi d’arma da fuoco, il COGNOME aveva inseguito a piedi l’auto che si dava alla fuga in retromarcia fino a che essa non riusciva a dileguarsi.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto del tutto condivisibile e non scalfita dalle argomentazioni svolte in sede di gravame, la ricostruzione dell’elemento soggettivo del tentato omicidio in termini di dolo diretto, declinato quantomeno come dolo alternativo: la direzione dei colpi era univocamente diretta verso il bersaglio umano e non ha raggiunto l’obiettivo solo per circostanze fortuite.
In relazione agli ulteriori motivi di appello, la Corte territoriale ha ritenut fondato il motivo inerente l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod, pen., che escludeva; ha quindi ritenuto sussistente la contestata recidiva e condivisibile il diniego delle circostanze attenuanti generiche; ha infine rideterminato la pena inflitta ponendo come pena base quella di anni 11 di reclusione, aumentata di un terzo per la recidiva reiterata, ulteriormente aumentata per il reato di detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo, sino alla pena complessiva di 18 anni di reclusione, ridotta infine di un terzo per il rito, pervenendo in tal modo alla pena finale di 12 anni di reclusione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per il tramite dei difensori di fiducia AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi di impugnazione, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo si denunciano vizi ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza dell’obbligo motivazionale prescritto dagli artt. 546, 125 comma 3, 192 cod. pen., e artt. 24 e 111 comma 6 Cost., stante la sostanziale apparenza della motivazione resa in punto di conferma dell’affermazione della penale responsabilità del COGNOME per il delitto di plurimo tentato omicidio ascritto, rispetto alle specifiche deduzioni difensive introdotte con l’atto di appello, ovvero per manifesta insufficienza, contraddittorietà e illogicità del percorso argomentativo risultante dal testo della sentenza impugnata, inficiato da grave travisamento sulla prova, in specie sulle fasi materiali dell’azione costituente reato, avente diretta incidenza sull’elemento soggettivo.
Evidenzia in primo luogo la difesa come il capo di incolpazione rechi un evidente errore nell’indicare quale autovettura colpita la Golf e non la Mercedes, censurando la mancata rettifica da parte della Corte territoriale. Evidenzia poi come le plurime fonti di prova avessero chiarito che i colpi d’arma da fuoco erano stati esplosi solo dopo l’inizio della corsa in retromarcia della Mercedes e non prima: ne consegue che erroneamente la Corte affermava che la retromarcia della Mercedes fosse dovuta alla volontà di schivare i colpi. La circostanza che il COGNOME abbia puntato l’arma senza sparare quando aveva possibilità di attingere chiaramente i soggetti all’interno del veicolo costituisce un elemento di assoluto rilievo per l’indagine sulla direzione della volontà che ha orientato l’azione dell’imputato; la dinamica dei fatti, come ricostruita sulla base delle accertamenti di polizia giudiziaria, indicava chiaramente come l’intento originario degli aggressori fosse quella di far scendere i soggetti dal veicolo e quindi di fermarli, e non di cagionare la morte di tutti gli occupanti della Mercedes.
Nella ricostruzione del fatto da parte dei Giudici di merito emergono anche dati confliggenti in contrasto tra loro: da un lato si legge che sul luogo della sparatoria venivano rinvenuti cinque bossoli d’arma da fuoco, ma dai video estratti dalle telecamere presenti risultava che i colpi esplosi fossero stati due. Nessun accertamento balistico sui bossoli è stato effettuato al fine di accertarne la provenienza dalla stessa arma utilizzata da COGNOME; peraltro, i rilievi della polizia scientifica hanno acclarato che solo due proiettili raggiunsero la Mercedes.
Ancora errata è l’affermazione della Corte territoriale circa l’esplosione degli spari, in numero di quattro, da distanza ravvicinata, dal momento che i colpi furono esplosi mentre la Mercedes era in movimento in retromarcia e quindi non da distanza ravvicinata e le deflagrazioni visibili, come già sopra argomentato, sono state solo
due. I dati relativi al numero dei colpi d’arma da fuoco è reso ancora meno certo alla luce delle dichiarazioni, riportate in sentenza, dell’operante che si trovava fuori servizio sul luogo dei fatti, il quale aveva dichiarato di aver udito in tutto sei colpi tale versione non collima né con quanto riportato dagli operanti della Squadra Mobile, che si trovavano sull’auto civetta, né con quanto registrato dalle videocamere di sorveglianza, né con il numero di fori riscontrati sull’auto, né con il numero di bossoli rivenuti a terra sulla carreggiata; eppure di tale discrasia non si dà spiegazione alcuna in sentenza.
Da tutti gli elementi evidenziati consegue la sussistenza di un vizio argomentativo dell’impugnata sentenza denunciabile in sede di legittimità.
2.2. Con un secondo motivo il ricorrente ‘denuncia, ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., violazione di legge in relazione al fatto di reato contestato ai sensi degli artt. 10, 12 e 14 legge 497 del 1974, per erroneo riconoscimento della penale responsabilità tanto per la illegale detenzione, quanto per il porto in luogo pubblico, dell’arma comune da sparo; nonché mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta continuazione tra i reati di detenzione e porto in luogo pubblico dell’arma.
Ha errato la Corte territoriale nel non ritenere il reato di porto assorbente il disvalore del reato di detenzione d’arma comune da sparo in considerazione del fatto che i due illeciti sono stati consumati con idem factum attraverso un’unica condotta commissiva con concorso a’pparente tra le disposizioni violate. Richiamata la giurisprudenza di legittimità sul punto, la difesa evidenzia come le due condotte di detenzione e porto hanno avuto inizio in uno stesso momento storico, né la detenzione dell’arma risulta proseguita dopo l’azione dal momento che, come dal medesimo dichiarato, COGNOME si era disfatto immediatamente della pistola gettandola , nel Tevere.
2.3. Con un terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della recidiva.
Premesso che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l’aumento di pena per la recidiva reiterata può essere applicato solo qualora si ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità dell’interessato, si duole la difesa come la sentenza della Corte territoriale sia carente dal punto di vista motivazionale in merito alla accresciuta pericolosità sociale dell’imputato, anche in considerazione del fatto che i precedenti gravanti su COGNOME sono molto lontani nel tempo e pronunciati per fatti completamente aspecifici.
2.4. Con un quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen.
La Corte territoriale ha completamente pretermesso l’analisi sulla diversa natura dei precedenti penali gravanti sull’imputato rispetto ai fatto per cui è processo, nonché ha omesso di esaminare i plurimi elementi aventi valenza positiva evidenziati dalla difesa, primo fra tutti l’imponente decisività delle dichiarazioni auto accusatorie che hanno concorso a rendere certa l’identificazione del COGNOME quale autore del reato.
Il diniego delle circostanze attenuanti generiche altro che non è che è una vera e propria petizione di principio in considerazione della totale assenza di apprezzamento degli elementi relativi alla personalità dell’imputato, che ha reso immediatamente coscienza del disvalore del fatto reato commesso, rendendo dichiarazioni auto accusatorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, che presenta tratti di inammissibilità, è complessivamente infondato.
È opportuno premettere come il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle !Dirti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez, U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, COGNOME, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, COGNOME G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente l’esistenza di un «ragionevole dubbio», esula quindi dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’it argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
In linea generale, occorre, ancora, notare come debbano essere dichiarati inammissibili quei motivi che, da un lato, costituiscano mera riproposizione di questioni già dedotte in appello che tendano a una rilettura delle emergenze processuali in un senso stimato più plausibile.
Sempre in via generale, giova ribadire il consolidato principio di diritto secondo il quale, a fronte della duplice condanna in primo e in secondo grado (c.d. doppia conforme), col ricorso per cassazione non può essere coltivato il vizio di travisamento della prova, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i Giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME e altri, Rv. 256837; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438).
Tanto precisato ai fini del corretto inquadramento teorico delle questioni dedotte, va precisato che la Corte territoriale, con ampia e puntuale motivazione, ha risposto a tutte le eccezioni formulate dalla difesa (ora sostanzialmente reiterate), esibendo un apparato motivazionale logico ed esaustivo, quindi immune da censure in sede di legittimità.
3.1. Quanto al rilevato errore contenuto nel capo di imputazione (laddove, nella parte iniziale, viene individuata quale vettura a bordo della quale viaggiavano le persone offese la TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO anziché la TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO), lo stesso è pacificamente irrilevante ed ininfluente, dal momento che, non solo i Giudici di merito hanno correttamente descritto i fatti (peraltro pacifici, avendo il COGNOME ammesso di avere esploso colpi d’arma da fuoco in direzione della Mercedes su cui viaggiavano le persone offese) ma dalla stessa lettura del capo di imputazione, è evincibile il mero errore materiale atteso che, nella descrizione dell’azione, viene specificato che COGNOME «compiva atti idonei e diretto in modo non equivoco a cagionare la morte degli occupanti dell’autovettura Mercedes Classe A (targata TARGA_VEICOLO)».
3.2. Del pari, con motivazione affatto illogica, la Corte territoriale rispondendo alla specifica doglianza avanzata in sede di gravame (volta a contestare la sussistenza dell’animus necandi desumendola dalla circostanza che COGNOME, se avesse voluto uccidere, trovandosi a distanza ravvicinata, avrebbe avuto tutto il tempo di porre in essere l’intento omicidiario prima che il conducente della Mercedes azionasse la retromarcia), evidenziava (pagg. 15, 16) come «il fatto che l’imputato avesse inizialmente sotto tiro gli occupanti della vettura e non avesse fatto fuoco non rappresenta univoco elemento dell’intento non omicidiario dell’imputato, tanto che, non appena inizia la fuga in retromarcia della Mercedes, l’imputato esplode in rapida successione una pluralità di colpi di arma da fuoco, due dei quali penetrano nell’abitacolo della vettura e solo del tutto fortunatamente non colpis, o nessun
occupante, posto che uno di essi va a conficcarsi nella parte bassa del poggiatesta lato passeggero dove avrebbe dovuto trovarsi il capo del passeggero, mentre altro proiettile fora l’abitacolo dello sportello lato guida per poi proseguire la traiettoria all’interno dell’abitacolo, scalfendo la plastica interna dello sportello».
Il ricorrente si limita a confutare gli elementi di prova, ma senza in realtà offrire concreti elementi di contrasti alla logica e consequenziale ricostruzione operata dai Giudici di merito. Va a tale proposito osservato come il Collegio condivida la linea interpretativa tracciata da questa Corte, secondo la quale l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice di merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148).
3.3. In relazione alla tematica attinente il numero di colpi esplosi dal COGNOME, va innanzitutto rilevato come la circostanza che i bossoli rinvenuti in sede di sopralluogo dalla Polizia Giudiziaria (in numero di 5), non potessero essere ricondotti all’azione di sparo posta in essere dal COGNOME, in assenza di perizia balistica, è argomento oltre che nuovo (non risulta che analoga doglianza fosse stata sottoposta alla valutazione dei Giudici di appello in sede di gravame), il che rende la censura inammissibile in questa sede, palesemente infondato: non solo COGNOME ha ammesso di avere sparato una pluralità di colpi in direzione del veicolo Mercedes, ma l’azione delittuosa è stata vista e monitorata dalla pattuglia di polizia che si trovava casualmente in loco.
Quanto al numero di colpi sparati, dal complesso motivazionale dell’impugnata sentenza si arguisce chiaramente come i colpi esplosi fossero stati almeno quattro: nella parte descrittiva dei fatti la Corte riportava la testimonianza resa da un teste qualificato, l’AVV_NOTAIO, che, trovandosi sull’auto civetta in loco, aveva udito quattro colpi d’arma da fuoco, seguiti da altre due deflagrazioni; i bossoli rinvenuti erano in numero di cinque. La Corte, rispondendo alle doglianze avanzate in sede di gravame, affermava che, allorquando la Mercedes aveva innestato la retromarcia COGNOME aveva esplosi “ben quattro colpi”.
Ebbene, non vi è dubbio, alla luce di quanto riportato in sentenza, che COGNOME abbia esploso almeno quattro colpi d’arma da fuoco in direzione degli occupanti della Mercedes, due dei quali, come visto, andati a segno.
Le differenti emergenze evidenziate dal ricorrente si pongono su un piano fattuale e scontano l’evidente vizio della non decisività: va infatti ricordato che la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma
che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 – 01; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988 – 01).
Si rileva, inoltre, sotto concorrente profilo, che anche il giudice di appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (tra le altre, Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002, dep. 2003, Delvai, Rv. 223061
Ciò premesso, non appare affetta da vizi logici o contraddizioni – e perciò, incensurabile nella presente sede di legittimità – la motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza, nel comportamento del ricorrente, dell’elemento psicologico del dolo omicidiario, osservando come la direzione dei colpi fosse (pag. 16) «univocamente diretta verso il bersaglio umano e non raggiunge l’obiettivo solo per circostanze fortuite, sicché il dolo alternativo non comprende minacce e lesioni personali, ma piuttosto lesioni personali ed omicidio».
L’apparato motivazionale adottato dalla Corte di appello appare, sul punto, di granitica tenuta logica, puntuale ed esaustivo, quindi immune da critiche in questa sede.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la violazione degli artt. 10,12, 14 della legge n. 497 del 1974, avendo la Corte di merito omesso di ritenere l’assorbimento per continenza della detenzione dell’arma nel porto, è inammissibile perché proposto per la prima volta in sede di legittimità.
Non possono infatti essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sià annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
Invero il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono
ogni atto d’impugnazione ex artt. 581, comma 1, lett. c), e 591, comma 1, lett. c), cod proc. pen. – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. Infatti, la disposizione in esame deve essere letta in correlazione con quella dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
Nel caso in esame, dalla disamina dell’atto di gravame si desume come al motivo VII dell’atto di appello si fosse prospettata esclusivamente la doglianza attinente la riduzione dell’aumento per la continuazione, sia interna al capo a), che con riferimento al capo b), senza null’altro argomentare in relazione alle contestazioni di cui agli artt. 10 e 12 legge 497 del 1974, elevate al capo b).
Questo Collegio non ignora il consolidato il principio per cui la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609 cod. proc. pen. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purché l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (ex pluris Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651 – 01); purtuttavia nel caso di specie la richiesta formulata in ricorso presuppone una diversa ricostruzione fattuale, né si confronta con quanto, sul tema, trattato dal Giudice di primo grado (pag. 24) che ha espressamente osservato che dal complesso svolgimento dei fatti emergesse come il COGNOME si fosse procurato in anticipo l’arma poi utilizzata per la commissione del reato di tentato omicidio.
Del pari inammissibile è il terzo motivo di ricorso, in quanto manifestamente infondato, aspecifico e non consentito.
La Corte d’appello di Roma ha ritenuto sussistente la contestata recidiva, osservando come il COGNOME fosse, all’epoca dei fatti, gravato da cinque condanne irrevocabili per fatti commessi tra il 2012 ed il 2017, e come l’odierna contestazione si rivelasse sintomatica di «una accresciuta pericolosità sociale dell’imputato e di un atteggiamento di indifferenza verso la legge penale e di insensibilità rispetto alla minaccia della sanzione penale ed all’effetto dissuasivo delle pene precedentemente inflitte»; il ricorrente si limita a riproporre la censura sollevata in atto di appello risolta con motivazione che, sia pure stringata, risulta congrua ed adeguata, immune da censure.
Manifestamente infondato è infine il quarto motivo di ricorso, con il quale la Difesa si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
A fondamento della statuizione contestata, la Corte di appello ha incensurabilnnente valorizzato i precedenti penali dell’imputato, le gravi modalità dei fatti accertati (avvalendosi di arma da fuoco in pubblica via), e l’assenza di elementi sintomatici della necessaria meritevolezza. In tal modo i giudici di merito si sono adeguati al consolidato orientamento di questa Corte, per il quale, al fine di ritenere od escludere la configurabilità di circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole od all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (cfr., Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME Cotiis, Rv. 265826; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163).
L’impugnazione va, pertanto, rigettata.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 marzo 2024