Documento Falso: La Cassazione chiarisce quando il possesso è reato grave
Il possesso di un documento falso è una questione seria, ma le sue implicazioni legali possono variare notevolmente a seconda delle circostanze. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: essere trovati in possesso di un documento d’identità con la propria fotografia ma con generalità appartenenti a un’altra persona integra la fattispecie più grave del reato previsto dall’art. 497-bis del codice penale. Questa decisione sottolinea come la presenza della foto trasformi il possessore in un presunto coautore della falsificazione.
I Fatti del Caso Giudiziario
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per diversi reati, tra cui la falsificazione di documenti e il possesso di un documento falso. La Corte d’Appello, pur dichiarando prescritto il reato di falsificazione materiale (capo D), aveva confermato la condanna per il reato di cui all’art. 497-bis c.p., rideterminando la pena. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la decisione dei giudici di merito su tre fronti principali.
I Motivi del Ricorso e la questione del documento falso
L’imputato ha basato il suo ricorso su tre motivi principali, tutti incentrati sulla qualificazione giuridica del possesso del documento falso e sulla congruità della pena.
1. Erronea applicazione della legge: Secondo la difesa, il fatto doveva essere inquadrato nell’ipotesi meno grave del reato (primo comma dell’art. 497-bis c.p.), e non in quella più severa (secondo comma).
2. Illogicità della motivazione: Si contestava la logica della sentenza d’appello, sostenendo che la condotta relativa al reato prescritto fosse sostanzialmente la stessa di quella per cui era stata confermata la condanna.
3. Eccessività della pena: Il ricorrente lamentava una pena eccessiva rispetto ai fatti contestati.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa e confermando l’orientamento consolidato della giurisprudenza.
Le motivazioni
La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso, fornendo chiarimenti cruciali. In primo luogo, i giudici hanno ribadito che il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore ma con generalità false integra il reato previsto dal secondo comma dell’art. 497-bis c.p. La ragione è tanto semplice quanto logica: la presenza della propria fotografia sul documento costituisce un elemento indiziario di notevole peso. Questo dettaglio, infatti, rende evidente la partecipazione del possessore alla contraffazione. Sebbene sia astrattamente possibile che il soggetto non abbia contribuito materialmente alla falsificazione, la sua foto sul documento crea una forte presunzione del suo concorso nel reato. Di conseguenza, non si tratta di mero possesso, ma di una condotta che presuppone un coinvolgimento attivo nella creazione del falso.
Inoltre, la Corte ha giudicato infondato anche il secondo motivo, chiarendo che la condotta legata al reato di falsificazione materiale (dichiarato prescritto) è distinta e diversa da quella del possesso di un documento valido per l’espatrio contraffatto. Infine, il motivo relativo all’eccessività della pena è stato ritenuto inammissibile in quanto generico e non consentito in sede di legittimità, dove la Corte non può riesaminare il merito delle decisioni dei giudici precedenti se queste sono adeguatamente motivate.
Le conclusioni
L’ordinanza della Cassazione consolida un principio di grande rilevanza pratica: chi viene trovato in possesso di un documento falso con la propria foto non può sperare di essere accusato della sola ipotesi lieve del reato. La fotografia è la prova indiretta di un coinvolgimento diretto nella frode. Questa interpretazione rigorosa mira a contrastare efficacemente l’uso di identità fittizie, sanzionando non solo il possesso passivo, ma anche la partecipazione, seppur presunta, al processo di falsificazione. La sentenza funge da monito, sottolineando che fornire la propria foto per un documento contraffatto è un atto che la legge considera come un concorso attivo nel reato stesso.
Possedere un documento d’identità con la propria foto ma con generalità false è un reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, questa condotta integra la fattispecie più grave del reato di possesso di documenti di identificazione falsi, previsto dall’articolo 497-bis, secondo comma, del codice penale.
Perché la presenza della propria fotografia sul documento falso è considerata un fattore determinante?
La presenza della foto del possessore costituisce una ‘considerevole efficacia indiziaria’, ovvero un forte indizio che suggerisce il suo concorso nella contraffazione del documento stesso, giustificando così l’applicazione della norma più severa.
È possibile contestare l’entità della pena decisa dal giudice in Corte di Cassazione?
Generalmente no. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non riesamina nel merito l’adeguatezza della pena, a meno che la motivazione del giudice precedente sia manifestamente illogica o assente. Nel caso specifico, il motivo è stato ritenuto generico e quindi inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1988 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1988 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TAURIANOVA il 03/10/1969
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria che, in riforma della sentenza della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per essersi estinto il reato per prescrizione con riferimento al reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen (capo D) confermando nel resto la condanna con rideterminazione della pena per il reato di cui all’art. 497 bis cod. pen.
Letta la memoria difensiva sottoscritta dal difensore di fiducia pervenuta in data 3 novembre 2024 con la quale si reitera la richiesta di accoglimento del ricorso.
Considerato che il primo motivo con il quale il ricorrente denunzia violazione di legge in riferimento all’erronea applicazione dell’art. 497 bis cod. pen. è manifestamente infondato non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui integra il reato di cui all’art. 497-bis, comma secondo, cod. pen., e non quello meno grave di cui al comma primo della stessa norma, il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest’ultimo alla contraffazione del documento. (Sez.5, n. 25659 del 13/03/2018, Busa, Rv. 273303 che ha precisato che, pur potendo ipotizzare in astratto che il soggetto in possesso del documento falso riportante la propria fotografia non abbia concorso alla contraffazione, tuttavia la presenza della fotografia del possessore presenta una considerevole efficacia indiziaria in ordine alla condotta di concorso nella contraffazione).
Considerato che il secondo motivo di ricorso con il quale si contesta l’illogicità della motivazione in relazione alla condanna per un delitto diverso da quello previsto dall’art. 477 e 482 cod. pen., è manifestamente infondato atteso che la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pagg.3-4) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen. avendo chiarito che la condotta di cui al capo D per la quale è intervenuta estinzione per prescrizione è una condotta diversa.
Rilevato che il terzo e ultimo motivo di ricorso, dove si lamenta l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità è del tutto generico a fronte dell’onere argomentativo del giudice adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 4 della sentenza impugnata).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 dicembre 2024 Il c nsigliere estensore GLYPH
Il Presidente