Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37146 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37146 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/02/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 febbraio 2024, la Corte di appello di Genova, per quanto qui di interesse, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla aggravante contestata ai sensi dell’art. 497 bis, comma 2, cod. pen., esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME dal Tribunale di Genova ad anni 2 di reclusione, così confermandone la responsabilità in ordine al delitto ascrittogli al capo 20 della rubrica, per avere formato un falso documento di identità, valido per l’espatrio, sul quale era stata apposta la sua effigie fotografica.
1.1. La Corte distrettuale, in risposta ai dedotti motivi di appello, osservava quanto segue.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. Rv. 273303 e 266554) ha costantemente affermato come la presenza sul documento contraffatto della foto dell’imputato costituisca congrua conferma del fatto che questi avesse quantomeno concorso nella falsificazione del medesimo, configurandosi pertanto l’ipotesi di cui al comma secondo dell’art. 497 bis cod. pen. (e non quella, di minor gravità, punita, per il mero possesso del documento, dal primo comma del citato articolo).
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando le proprie censure in due motivi.
2.1. Con il primo eccepisce la nullità dell’ordinanza della Corte di appello adottata all’udienza del 6 febbraio 2024.
Con tale decisione, infatti, la Corte aveva disposto procedersi in assenza dell’imputato – dopo averne effettuato le ricerche nel solo territorio nazionale ed avere, all’esito negativo, emesso decreto di irreperibilità – osservando anche come questi fosse assistito da un difensore di fiducia, avesse partecipato al primo grado di giudizio e si fosse allontanato dal territorio dello Stato senza fornire alcun recapito ove potere essere reperito.
Il ricorrente eccepisce, invece, come erroneamente le ricerche dell’imputato si erano limitate al territorio nazionale posto che l’art. 169, comma 4 cod. proc. pen. impone che le stesse debbano effettuarsi anche nello Stato estero ove risulti che questi abbia la dimora o la residenza (Cass. n. 41492/2015).
Doveva, inoltre, considerarsi, a detta del ricorrente, che non rispondeva neppure al vero che l’imputato avesse partecipato personalmente al processo di prime cure – non risultando la sua presenza in alcuna delle udienze celebrate – e
che questi aveva abbandonato il territorio dello Stato non di sua volontà ma in ottemperanza ad un decreto di espulsione emesso dal competente AVV_NOTAIO.
Né l’imputato era stato in grado, al momento, di indicare un nuovo domicilio.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed in particolare la mancata derubricazione del fatto nella condotta di cui al primo comma del contestato art. 497 bis cod. pen., con il conseguente difetto di giurisdizione del giudice italiano (essendo stato trovato il prevenuto in possesso del documento contraffatto in territorio francese).
Il concorso del prevenuto nel reato era stato desunto dalla mera presenza della sua fotografia nel documento contraffatto. Tuttavia, anche considerando il contesto complessivo (nel medesimo procedimento erano implicati anche falsari dotati di notevole professionalità), tale circostanza non poteva considerassi decisiva al fine di provarne il concorso nell’ipotesi più grave, di contraffazione appunto (Cass. n. n. 16753/2018).
Del resto, lo stesso imputato aveva patito altro processo per il possesso di un diverso documento contraffatto e gli era stato contestato l’invocato primo comma dell’art. 497 bis cod. pen.
Il possesso del documento era stato poi accertato a Calais in Francia (come confermato dal sovr. COGNOME, escusso come teste dell’accusa) e da ciò derivava il difetto di giurisdizione dell’autorità italiana.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME AVV_NOTAIOCOGNOME, ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso considerando che al medesimo non erano stati allegati gli atti che dimostravano la mancata notifica al prevenuto del primo atto processuale e la sua mancata partecipazione al primo grado di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, sulla nullità della notifica al prevenuto del decreto di citazione in appello non essendosi proceduto a nuove ricerche in territorio estero del medesimo prima di decretarne l’irreperibilità, è privo di fondamento normativo.
Deve, in premessa, ricordarsi come, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c)cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U,
n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) così che la mancata allegazione al ricorso degli atti processuali a cui si è fatto riferimento non ne impedisce il vaglio (qualora gli stessi si rinvengano nel fascicolo trasmesso a questa Corte).
Ciò premesso si deve ricordare come l’invocato quarto comma dell’art. 169 del codice di rito, così reciti:
“Quando dagli atti risulta che la persona nei cui confronti si deve procedere risiede o dimora all’estero, ma non si hanno notizie sufficienti per provvedere a norma del comma 1, il giudice o il pubblico ministero, prima di pronunciare decreto di irreperibilità, dispone le ricerche anche fuori del territorio dello Stato nei lim consentiti dalle convenzioni internazionali”.
Il presupposto della sua applicazione – con le conseguenti ricerche all’estero della persona a cui comunicare l’atto – è, pertanto, costituito dal fatto che la residenza o la dimora all’estero (pur non essendo noto l’esatto recapito, visto che altrimenti si applicherebbe il primo comma dello stesso art. 169, con l’invio della missiva ivi prevista) emerga, comunque, dagli atti del processo.
Nell’odierno caso concreto, invece, pur essendo stato accertato che l’imputato era uscito dal territorio nazionale (volontariamente, pur avendo ricevuto un ordine di espulsione) non era giunta notizia alcuna circa la sua nuova residenza o dimora, se coincidesse con lo Stato ove il prevenuto era nato o se si fosse diretto altrove.
Del resto, l’imputato stesso, nel corso del processo, aveva eletto domicilio presso la sua dimora in Genova, aveva nominato un difensore di fiducia e vi aveva presenziato (contrariamente a quanto si assume in ricorso), visto che, dopo avere, quale detenuto per altra causa, rinunciato a comparire all’udienza del 2 luglio 2019, si era presentato a quella del 18 settembre 2019), venendone così revocata la contumacia.
Peraltro, neppure dall’odierno atto di ricorso è dato desumere che il ricorrente dimori in Albania (il mandato con l’elezione di domicilio – presso lo studio del difensore – sono stati sottoscritti in Genova, e dell’imputato si indicano solo il luogo, il solo Stato in verità, e la data di nascita).
Nessun vizio è pertanto rinvenibile dei presupposti del decreto di irreperibilità in base al quale è avvenuta la notifica del decreto di citazione in appello.
2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.
Si è infatti affermato come integri il reato di cui all’art. 497-bis, comma secondo, cod. pen., e non quello meno grave di cui al comma primo della stessa norma, il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest’ultimo
alla contraffazione del documento (Sez. 5, n. 25659 del 13/03/2018, Busa, Rv. 273303, Sez. 2, n. 15681 del 22/03/2016, COGNOME, Rv. 266554).
Del resto, appare evidente come il possesso di un documento di identità falso in capo a colui che vi è effigiato dimostri sia che lo stesso aveva fornito la propria effigie proprio a tale scopo sia che era nel suo diretto interesse la formazione del falso documento di identità.
Quanto al luogo del commesso reato – di concorso nella contraffazione del documento – operando i coimputati, esperti in tali falsificazioni, in Italia, se ne deduce la manifesta infondatezza dell’eccezione di giurisdizione.
Manifesta infondatezza che sussisterebbe anche nel caso in cui si fosse proceduto alla diversa qualificazione del fatto, visto che appare evidente come almeno parte del possesso del documento contraffatto si sia consumata in Italia alla consegna del medesimo da parte dei materiali contraffattori).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese Così deciso, in Roma il 18 settembre 2024.