Possesso di Documento d’Identità Falso: Quando l’Uso Personale non Basta
Il possesso di un documento d’identità falso è un reato che può avere conseguenze molto diverse a seconda delle circostanze. Spesso si crede che l’utilizzo per scopi puramente personali possa attenuare la gravità del fatto, ma una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la partecipazione alla falsificazione del documento stesso aggrava la posizione dell’imputato, anche se l’intento è solo l’uso personale. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Caso in Esame: Un Passaporto con la Propria Foto
Un individuo è stato condannato in primo grado e in appello per i reati di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi e per false dichiarazioni a un pubblico ufficiale. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il possesso del documento falso era finalizzato esclusivamente all’uso personale e che, pertanto, dovesse essere applicata la fattispecie meno grave del reato.
Il punto cruciale del caso riguardava un passaporto contraffatto sul quale era stata apposta la fotografia dell’imputato. Questo dettaglio, apparentemente secondario, è diventato l’elemento centrale della valutazione dei giudici.
La Distinzione nell’Art. 497-bis c.p. sul documento d’identità falso
L’articolo 497-bis del codice penale distingue due diverse ipotesi di reato:
Possesso per Uso Personale (Comma 1)
Questa norma punisce con una pena meno severa chiunque è trovato in possesso di un documento di identificazione falso valido per l’espatrio, ma solo se il fatto non costituisce un reato più grave. La giurisprudenza ha interpretato questa disposizione come applicabile ai casi di mero possesso per uso personale, dove il soggetto non ha avuto alcun ruolo nella creazione del falso.
Fabbricazione e Possesso Qualificato (Comma 2)
La pena è significativamente più alta per chi fabbrica o forma, in tutto o in parte, il documento falso, oppure lo detiene al di fuori dei casi di uso personale. La Corte di Cassazione ha chiarito che in questa fattispecie rientra anche chi, pur detenendo il documento per uso personale, ha partecipato alla sua contraffazione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: integra il reato più grave di cui al secondo comma dell’art. 497-bis c.p. il possesso di un passaporto contraffatto da parte dello stesso possessore.
La ratio della norma, spiegano i giudici, è quella di punire più severamente chi fabbrica o contribuisce a formare il documento falso. L’atto di apporre, o far apporre, la propria fotografia su un documento con generalità false è considerato una forma di partecipazione diretta alla contraffazione. La presenza della foto del possessore non è una mera coincidenza, ma presenta una “considerevole efficacia indiziaria” che dimostra un concorso nella condotta illecita.
Di conseguenza, la tesi dell'”uso personale” come scriminante per la fattispecie più grave non regge. Il possesso per uso personale rientra nell’ipotesi meno grave solo se non è accompagnato da un contributo attivo alla falsificazione da parte del possessore.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza un importante principio di diritto: chi si procura un documento d’identità falso fornendo la propria fotografia per completare la contraffazione non può sperare di beneficiare della fattispecie più lieve prevista per il solo possesso. Tale condotta viene equiparata a una partecipazione attiva al processo di falsificazione, giustificando l’applicazione della sanzione più severa. La decisione sottolinea come il sistema giuridico intenda punire in modo più significativo non solo l’utilizzo, ma soprattutto la creazione e la messa in circolazione di documenti falsi, considerata una minaccia più grave alla fede pubblica.
Quando il possesso di un documento d’identità falso per uso personale integra un reato più grave?
Quando il possessore ha partecipato attivamente alla sua contraffazione, ad esempio fornendo la propria fotografia per essere apposta sul documento con generalità false. In questo caso si applica la pena più severa prevista dal secondo comma dell’art. 497-bis c.p.
Avere la propria fotografia su un documento falso è prova di concorso nella falsificazione?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la presenza della fotografia del possessore sul documento falso presenta una “considerevole efficacia indiziaria” che dimostra una sua condotta di concorso nella contraffazione, anche se non si può provare che abbia materialmente creato il documento.
Qual è la differenza fondamentale tra il primo e il secondo comma dell’articolo 497-bis del codice penale?
Il primo comma punisce il mero possesso di un documento falso per uso personale, quando il possessore non ha contribuito a crearlo. Il secondo comma, più grave, punisce chi fabbrica il documento o chi, pur detenendolo per uso personale, ha partecipato alla sua contraffazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31505 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31505 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
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dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che l’imputato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna dello stesso per i reati di cui agli artt. 497 -bis comma 2 (capo A) e 495 comma 2 (capo B) cod. Pen.;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta violazione di legge in relazione all’art. 497 -bis cod. pen., ritenendo che, nel caso in esame, l’imputato abbia agito per uso personale e che quindi non ricorra alcun elemento per giustificare la maggiore gravità della pena, è manifestamente infondato perché, nel ricondurre la condotta dell’imputato all’ipotesi di cui all’art. 497-bis, comma 2, cod. pen., la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del dato normativo e del principio di legittimità affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. In particolare, si afferma che integra il reato di cui all’art. 497-bis, comma secondo, cod. pen. (possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi), il possesso di un passaporto contraffatto dallo stesso possessore (nel caso di specie, egli ha partecipato alla contraffazione apponendo, o facendo apporre, al documento la propria fotografia), considerato che la “ratio” di cui all’art. 497-bis cpv cod. pen. è quella di punire in modo più significativo chi fabbrica o comunque forma il documento, oppure lo detiene fuori dei casi di uso personale, con la conseguenza che il possesso per uso personale rientra nella previsione di cui all’art. 497-bis, comma primo, cod. pen. solo se non accompagnato dalla contraffazione ad opera del possessore (cfr. tra tutte, Sez. 5, Sentenza n. 18535 del 15/02/2013, Lorbek, Rv. 255468; nonchè Sez. 5, Sentenza n. 25659 del 13/03/2018, Rv. 273303 01, secondo cui integra il reato di cui all’art. 497-bis, comma secondo, cod. pen., e non quello meno grave di cui al comma primo della stessa norma, il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest’ultimo alla contraffazione del documento;in motivazione questa Corte ha precisato che, pur potendo ipotizzare in astratto che il soggetto in possesso del documento falso riportante la Corte di Cassazione – copia non ufficiale
propria fotografia non abbia concorso alla contraffazione, tuttavia la presenza della fotografia del possessore presenta una considerevole efficacia indiziaria in ordine alla condotta di concorso nell contraffazione);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 maggio 2024.