Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10356 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10356 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in LITUANIA il 09/05/1977
avverso la sentenza del 25/09/2024 della CORTE D’APPELLO DI MILANO Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni depositate dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente, che ha illustrato i motivi di ricorso, in replica alle conclusioni della Procura generale, e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 25 settembre 2024, confermava la sentenza del Tribunale di Monza, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in relazione al delitto di possesso di documenti di identificazione falsi, quali una carta di identità e una patente di guida
apparentemente rilasciate dalle autorità lituane (art. 497-bis cod. pen.- capo a), nonché per falsa attestazione all’ufficiale di stato civile delle generalità riportate in altra carta di identità rilasciata dal Comune di Varedo (art. 495 cod. pen. – capo b).
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse del ricorrente consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al capo b).
La Corte di appello avrebbe ritenuto la falsità delle generalità quanto al capo b) esclusivamente perché l’ipotesi sostenuta dalla difesa – che l’imputato avesse nel 2010-2011 ufficialmente modificato il proprio cognome in Lituania, acquisendo quello della madre – risulterebbe priva di ogni sostegno probatorio. Osserva il ricorrente che la documentazione allegata anche in appello – oltre che al ricorso – attestante che l’imputato fin dal 2012 chiese con tali generalità il codice fiscale, come anche i rilievi dattiloscopici fin dal 2012 collegati alle generalità attuali dell’imputato, risulterebbero dimostrare la sussistenza di un principio di prova a riguardo, non potendo farsi dipendere l’infondatezza della tesi difensiva dalla circostanza che la documentazione che si sarebbe voluta produrre non è stata rilasciata dalle autorità lituane.
Né basta la circostanza che il Tribunale, nella sentenza di primo grado, abbia fatto riferimento alla natura contraffatta dei documenti, in quanto la affermata falsità del documento non deve necessariamente riguardare la falsità delle generalità ivi indicate.
Vi sarebbe, pertanto, una omessa motivazione a riguardo.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine ai capi a) e b).
In primo luogo, lamenta il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe valutato adeguatamente la doglianza con la quale veniva prospettata la necessità di espungere dal capo a) il riferimento alla patente di guida, non essendo la stessa documento valido per l’espatrio.
In secondo luogo, il ricorrente si duole della motivazione offerta in ordine al dolo, ritenuto sussistente per i reati in contestazione, depotenziando però la narrazione dell’imputato sulle modalità di acquisizione del documento di identità presso il consolato, anzi rilevandone la informalità che sarebbe comprovante il dolo, come anche ritenendo neutro il dato che – nel corso degli anni – a più riprese i documenti con le (ritenute) false generalità siano stati esibiti. Ciò integrerebbe una motivazione apparente.
Invece, illogica risulterebbe la motivazione che trascura che l’imputato non solo aveva mostrato il documento di identità italiano, ma in aggiunta anche quelli stranieri, compresa la patente, cosicché se fosse stato consapevole della falsità di questi ultimi non li avrebbe certamente esibiti, in quanto superflui e falsi, tanto più che l’imputato non era alla guida dell’autovettura. Il che esclude la neutralità dell’aver mostrato plurimi documenti.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Quanto al primo motivo va osservato che il capo b) dell’imputazione riguarda la contestazione della falsa attestazione, all’ufficiale di stato civile del comune, delle false generalità, rifluite poi nella carta di identità italiana.
Corretta e fondata è l’obiezione difensiva: la circostanza che tali generalità coincidono con quelle dei documenti di cui al capo a), ritenuti contraffatti, non induce automaticamente la falsità delle generalità medesime, quelle che sono state dichiarate all’ufficiale di stato civile.
In vero sia il Tribunale, sia anche la Corte di appello, si limitano a dare atto che dai contatti con l’autorità lituana emergeva la contraffazione della carta di identità lituana e della patente. Ma tale affermazione, non approfondita, su quale sia il profilo attinto dalla contraffazione – che potrebbe riguardare i documenti lituani nella loro materialità ma non le generalità – rende oltremodo fondato il dedotto vizio di motivazione.
Sul punto, pertanto, va disposto l’annullamento con rinvio, spettando alla Corte del giudizio rescissorio la necessità di approfondire la motivazione – se del caso anche a seguito di rinnovazione – al fine di accertare quale sia l’oggetto della contraffazione comunicato dalle autorità lituane, per trarne poi la prova della falsità (o meno) delle generalità dichiarate all’ufficiale di stato civile italiano.
Anche il secondo motivo è in parte fondato, mentre nel resto è assorbito e resta impregiudicato.
Deve osservare questa Corte che l’art. 497 -bis riguarda i documenti validi per l’espatrio e la Corte territoriale esclude correttamente che la patente possa essere tale tipologia di documento – in tal senso gli artt. 4 e 5 della Direttiva 2004/38/CE che richiedono la carta di identità o il passaporto per il diritto di uscita e ingresso negli stati membri, mentre invece l’art. 35 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 equipara la patente di guida agli altri documenti di identità ai fini del solo riconoscimento: non di meno, però, la Corte di appello non esclude la responsabilità dell’imputato in ordine al capo a) quanto alla patente.
Quanto al secondo profilo di doglianza, invece, deve osservarsi che la valutazione sul dolo della contraffazione si fonda sulla circostanza che i documenti contraffatti fossero caratterizzati dalla apposizione della fotografia dell’imputato.
Si tratta di un principio corretto, in quanto appare evidente come il possesso di un documento di identità falso, da parte di colui che vi è effigiato, dimostri sia che lo stesso aveva fornito la propria fotografia a tale scopo, sia che era nel suo diretto interesse la formazione del falso documento di identità.
D’altro canto, però, il motivo nella sua seconda parte di doglianza è assorbito, in quanto l’accertamento in ordine alla tipologia di contraffazione (materiale o anche relativa alle generalità), disposto in ordine al capo b), ha una evidente incidenza sulla prova del dolo, ed anche sulla valorizzazione del non illogico argomento speso dalla Corte di merito quanto alle modalità informali narrate dall’imputato per ottenere urgentemente i documenti. Oltre che in ordine alla valutazione della stessa narrazione dell’imputato e alla circostanza della esibizione sovrabbondante dei documenti lituani anche non necessari, a fronte della disponibilità della carta di identità italiana.
Ben diverso è, infatti, il caso in cui la contraffazione abbia riguardato le generalità, da quello in cui il documento è altrimenti falso.
Resta pertanto assorbita e impregiudicata la seconda doglianza.
Va pertanto annullata con rinvio la sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 28/1/2025