Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24120 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24120 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 settembre 2023 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Alessandria in data 10 ottobre 2020, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in quella di nove mesi di reclusione e 1.300 euro di multa.
I giudici di merito hanno ritenuto sussistente la prova della penale responsabilità dell’imputato per due delitti di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione agli artt. 3 e 4 dello stesso d.lgs. in quanto l’imputato, destinatario dell’avviso orale del Questore di Alessandria del 17 settembre 2015, notificato il 1° ottobre 2015, con il quale gli si era fatto divieto di possedere o utilizzare apparati di comunicazione ricetrasmittenti, era stato trovato in possesso, il 19 gennaio 2018, di un telefono cellulare e il 22 febbraio 2018 di due telefoni cellulari.
I fatti sono incontroversi e sono emersi, rispettivamente, in occasione di un servizio di perlustrazione e dell’arresto in flagranza per il delitto di cui all’art. 7 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, che ha articolato un motivo con il quale ha eccepito il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen. in misura prevalente sulle aggravanti.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La legittimità della condotta contestata all’imputato, ex art. 76, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, deve essere valutata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2023.
Con tale pronuncia è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 «nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo».
La norma oggetto dell’intervento della Corte costituzionale stabiliva che «con l’avviso orale il questore, quando ricorrono le condizioni di cui al comma 3, può imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni (…)».
La Corte ha, in primo luogo, incluso i telefoni cellulari fra gli apparecchi radiotrasmittenti e radioriceventi richiamando la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui «il telefono cellulare è un apparecchio radiotrasmittente o radioricevente per la comunicazione in radiotelefonia, collegato alla rete telefonica di terra tramite centrali di smistamento denominate stazioni radio base».
Le questioni di legittimità sollevate sono state quindi decise sul presupposto che l’art. 3, comma 4, cit., nella parte in cui si riferisce a «qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente», consenta al questore di vietare il possesso e l’uso anche di telefoni cellulari.
2.1. La sentenza, nel ritenere fondate le questioni di legittimità per violazione dell’art. 15 Cost., ha premesso che la tutela della libertà e della segretezza della corrispondenza individuale di cui alla norma costituzionale, deve essere estesa a ogni forma di comunicazione, anche quelle più avanzate.
Ha, quindi, osservato che «le regole attinenti al mezzo che, per comunicare, venga di volta in volta utilizzato sono cosa in sé diversa dalla disciplina relativa al diritto fondamentale in esame e, anzi, sempre in termini generali, ben può dirsi che limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo o strumento non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo o strumento consenta di soddisfare».
La Corte costituzionale ha precisato che ove la disciplina del mezzo coinvolga il nucleo essenziale del diritto, determina restrizioni alla libertà di comunicazione tutelata dalla Costituzione.
Tali ricadute sono state giudicate particolarmente evidenti nella materia delle misure di prevenzione che assolvono alla finalità di controllare la pericolosità sociale di un determinato soggetto, ma non anche alla punizione per le sue condotte pregresse (tra le altre, Corte cost. n. 180 del 2022 e n. 100 del 1968).
Ha ricordato le proprie precedenti decisioni con le quali è stato stabilito che la qualificazione come «inviolabile» della libertà di comunicazione tutelata dall’art. 15 Cost. implica che il contenuto essenziale della libertà non può subire restrizioni, se non in ragione della necessità di soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente rilevante, «sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice
garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria».
Sul punto ha richiamato le sentenze nn. 81 del 1993; 366 del 1991Y:
Ha, in seguito, precisato che «le esigenze di prevenzione e difesa sociale ben possono giustificare (…) misure restrittive, e queste possono incidere anche su diritti fondamentali. Ma, proprio ove ciò accada, le garanzie costituzionali reclamano osservanza. Nel caso della disposizione censurata ciò non avviene: la misura limitativa non è disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria, bensì, direttamente, dall’autorità amministrativa, cui è attribuito perciò un potere autonomo e discrezionale, senza nemmeno la necessità di successiva comunicazione all’autorità giudiziaria (per un’analoga fattispecie, pure oggetto di pronuncia di illegittimità costituzionale, sentenza n. 100 del 1968)».
E giunta così alla conclusione che, in presenza di misure di prevenzione che comportino restrizioni rispetto a diritti fondamentali della persona assistiti da una riserva assoluta di legge, l’intervento dell’autorità giudiziaria presenta connotazioni sostanziali e non meramente formali.
Il vaglio giurisdizionale, infatti, GLYPH risulta associato alla garanzia del contraddittorio e alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura di prevenzione, consentendo, in questo modo, il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del prevenuto, che non è altrimenti comprimibile (tra le altre, Corte cost., n. 177 del 1980 e n. 53 del 1968).
Ulteriore precisazione è stata resa con l’affermazione secondo cui la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione limitative della libertà di comunicazione dell’individuo, protetta dall’art. 15 Cost., è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di legalità e alla tutela delle garanzie giurisdizionali, che costituiscono due requisiti essenziali e, tra loro, intimamente connessi, essendo evidente che la mancanza dell’uno vanifica le esigenze di tutela dell’altro, la cui protezione, diversamente, finisce per assumere connotazioni meramente apparenti.
Sul punto ha richiamato, tra le altre, le sentenze nn. 177 del 1980 e 11 del 1956.
Ha, quindi, conclusivamente affermato che «come accade nell’ambito delle stesse misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria (ai sensi, ad esempio, dell’art. 5, comma 1, cod. antimafia), ben può spettare anche al questore la titolarità del potere di proporre che a un determinato soggetto sia imposto il divieto di possedere o utilizzare un telefono cellulare, ma non gli compete di adottare il provvedimento, poiché l’art. 15 Cost. non lo consente: la decisione non può che essere dell’autorità giudiziaria, con le procedure, le
modalità e i tempi che compete al legislatore prevedere, nel rispetto della riserva di legge prevista dalla Costituzione. L’art. 3, comma 4, cod. antimafia va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 15 Cost., nella parte in cui – sul presupposto che il telefono cellulare rientra tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente – consente al questore di vietarne, in tutto o in parte, il possesso e l’utilizzo».
Alla luce di tali argomentazioni, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui «non integra il reato di cui all’art. 76 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, la violazione del divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari da parte del destinatario di un mero avviso orale del questore, emesso ai sensi dell’art. 3 d.lgs. citato, non rientrando tale condotta, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2023, tra quelle sanzionabili, posto che il divieto può essere disposto solo con provvedimento dell’autorità giudiziaria» (Sez. 1 – , Sentenza n. 9653 del 05/10/2023, dep. 2024, Piccolo, Rv. 285918; conforme Sez. 1, n. 36865 del 04/07/2023, COGNOME, Rv. 285269).
A tale affermazione va assicurata ulteriore continuità in quanto basata sulla declaratoria di illegittimità costituzionale ampiamente illustrata.
Le considerazioni sin qui esposte impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Così deciso il 19/04/2024