Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22954 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME) NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del Tribunale di Sorveglianza di Firenze; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
NOME.) NOME è detenuto dal 12/10/2023 presso la Casa Circondariale di Pistoia in espiazione della pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione oggetto del provvedimento di cumulo n. 508/2019 della Procura della Repubblica di Pistoia.
Con l’ordinanza in questa sede impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 58 quater, comma 3, ord. pen., le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare presentate nell’interesse del NOME], rilevando che lo stesso aveva iniziato ad espiare la pena oggetto di un precedente provvedimento di cumulo in data 10/11/2012, aveva ottenuto il beneficio della detenzione domiciliare in data 12/02/2013, ed era evaso in data 29/04/2013, facendo perdere le sue tracce fino al 12/10/2023; in conseguenza dell’evasione (in relazione alla quale il 10/02/2017 diveniva irrevocabile la sentenza di condanna alla pena di anni 1 e
stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell’articolo 47, comma 11, dell’articolo 47 ter, comma 6, o dell’articolo 51, primo comma. 3. Il divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2».
Questa Corte ha già avuto modo di statuire che «In caso di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale nei confronti di condannato resosi irreperibile, il termine di tre anni durante il quale, ai sensi dell’art. 58-quater, comma terzo, legge 26 luglio 1975, n. 354, vige il divieto di concessione di nuovi benefici, decorre dalla data di ripresa della esecuzione della pena e non da quella della revoca della misura alternativa» (Sez. 1, n. 31 del 20/11/2018, dep. 2019, Husovic, Rv. 274643).
Come si è ben chiarito nelle motivazioni dell’appena indicata sentenza, l’impossibilità di ottenere i benefici delle misure alternative per disposizione legislativa si fonda sulla presunzione di non meritevolezza del beneficio e di pericolosità sociale a carico di chi si trovi in dette situazioni, evidenziando una serie di ragioni di cautela sociale che verrebbero compromesse dalla liberazione, sia pur temporanea e breve, del soggetto.
In altri termini, attraverso la disposizione in oggetto viene ad essere sanzionata la scarsa affidabilità di un condannato responsabile di condotte negative emblematiche, quali i comportamenti che abbiano condotto alla revoca dei benefici precedentemente concessigli, introducendo una presunzione di inidoneità temporanea del soggetto a forme di attenuazione della pena detentiva; in particolare, si può individuare nella norma l’intento di manifestare particolare severità nei confronti di quei condannati che, dopo avere illuso su una loro presunta capacità di percorrenza del cammino rieducativo, rivelino successivamente la propria inadeguatezza.
Dunque, la revoca di una misura alternativa importa l’operatività del divieto triennale di concessione di benefici indipendentemente da qualsivoglia verifica sugli eventuali successi trattamentali del condannato.
Occorre, però, distinguere nettamente tra le ipotesi dell’evasione e quella degli altri comportamenti che comportano la revoca della misura alternativa.
Ed invero, l’evasione rappresenta una condotta di palese sottrazione all’esecuzione penale stessa e determina, di per sé, una cesura nell’esecuzione: è immediatamente conseguente la disposizione che prevede che il termine di decorrenza del divieto triennale di concessione dei benefici si individui nella ripresa della espiazione.
Diversamente da ciò, non ogni altra violazione delle prescrizioni di una misura alternativa determina un’interruzione dell’esecuzione: si può pensare,
di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva dell sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/04/2024
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mesi 3 di reclusione inflitta dal Tribunale di Pistoia), il 06/05/2013 il Tribunale di sorveglianza di Firenze aveva revocato la misura alternativa già concessa.
La nuova richiesta di concessione di misura alternativa è stata, dunque, dichiarata inammissibile dai giudici fiorentini ai sensi dell’art. 58 quater ord. pen., essendo decorsi meno di tre anni dalla data (12/10/2023) in cui è ripresa l’esecuzione della pena.
Il difensore del COGNOME ha presentato ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, articolando un unico motivo con il quale deduce «inosservanza e erronea applicazione della legge penale (art. 606 lett. b c.p.p.) e mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 lett. e c.p.p.) per avere il Tribunale di sorveglianza ritenuto che non ricorressero le condizioni per detenzione domiciliare ex art. 58 quater l’accoglimento della istanza di ordinamento penitenziario».
Rappresenta che il divieto di concedere nuovamente un beneficio penitenziario opera nei tre anni successivi al momento in cui interviene la revoca del precedente beneficio: nel caso di specie, la revoca era intervenuta in data 06/05/2013, sicché il prescritto triennio è ampiamente decorso; evidenzia, altresì, che il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto comunque procedere ad un esame approfondito della personalità del condannato e della sua effettiva e perdurante pericolosità sociale, nella prospettiva del percorso di risocializzazione intrapreso dal condannato: esame del tutto pretermesso dai giudici fiorentini.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile per la manifesta infondatezza dei suoi motivi, inidonei a scalfire l’impugnata ordinanza, che con motivazione adeguata ed esauriente ha ritenuto operativa la preclusione prevista dall’art. 58 quater ord. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile a cagione della manifesta infondatezza dei motivi che lo sostengono.
Ai sensi dei primi tre commi dell’art. 58 quater, comma 1, ord. pen., «1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell’articolo 385 del codice penale. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è
cioè, al caso di un detenuto domiciliare che si intrattenga in casa con soggetti pregiudicati, in violazione di un divieto espresso; o al caso di un semilibero che non si attenga strettamente alle disposizioni sui mezzi di trasporto da utilizzare; oppure al caso di un affidato in prova che non mantenga adeguati e costanti rapporti con il servizio sociale o non informi quest’ultimo di circostanze rilevanti (quali, ad esempio, la perdita del lavoro): si tratta, in altri termini, certamente di violazioni della prescrizioni, ma dalle stesse non deriva un’interruzione dell’esecuzione penale, la quale prosegue nelle sue forme sino alla eventuale revoca decisa dal Tribunale di Sorveglianza.
Al contrario, un affidato in prova che si renda irreperibile non si limita a violare le prescrizioni, ma si sottrae all’esecuzione stessa.
Da queste osservazioni consegue che il sistema complessivo in esame va ricostruito ritenendo che, ogni qual volta vi sia stata un’interruzione dell’esecuzione penale, la decorrenza della preclusione normativa non possa che operare dalla ripresa della pena stessa in forma restrittiva: in caso contrario, il condannato, permanendo irreperibile, verrebbe ad avvantaggiarsi dalla sua azione violativa dei doveri e farebbe trascorrere senza effetto il tempo di vigenza della preclusione medesima.
Nel caso di specie, il COGNOMENOME, già sottrattosi all’esecuzione il 29/04/2013, è stato nuovamente sottoposto all’esecuzione della pena in data 12/10/2023: di conseguenza, correttamente il Tribunale di Sorveglianza ha dichiarato inammissibile la richiesta di concessione di nuovi benefici penitenziari, non essendo ancora decorso il termine triennale di cui all’art. 58 quater, comma terzo, ord. pen.
L’indiscutibile operatività della preclusione in oggetto palesa la manifesta infondatezza dell’ulteriore motivo di ricorso, poiché la decisione impugnata non poteva comunque essere influenzata dall’invocato esame della personalità e della pericolosità sociale del condannato.
Il provvedimento impugnato non ha, dunque, violato le norme in tema di misure alternative alla detenzione, ed esibisce una motivazione puntuale, logica, coerente ed esaustiva che si rispecchia fedelmente negli elementi che possono trarsi dagli atti in carteggio . , una motivazione che, pertanto, non può essere affatto ritenuta né manifestamente illogica, né contraddittoria, dovendosi, in proposito, rammentare che «Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso