Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7966 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7966 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a San Teodoro il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
preso atto che l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, ha fatto pervenire, a mezzo della PEC, dichiarazione di rinuncia alla trattazione orale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 44428 del 05/10/2022, resa sui ricorsi che erano stati proposti avverso la sentenza del 09/07/2021 della Corte d’appello di Catania, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione: a) annullava senza rinvio la
sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo Y), in quanto assorbito nel reato di cui al capo W); b) annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. nei confronti di: b.1) NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi D), H), M), P), Q), R), S), U) e Z); b.2) NOME COGNOME in relazione ai re di cui ai capi D) e H); b.3) NOME COGNOME in relazione al reato di cui al cap D); b.4) NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi D), F) e H); b.5 NOME COGNOME NOME in relazione ai reati di cui capi D) e G); b.6) NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi D) e W); c) rinviava ad alt Sezione della Corte d’appello di Catania per la rideterminazione della pena nei confronti dei menzionati imputati; d) rigettava, nel resto, i ricorsi degli stess dichiarava irrevocabile l’affermazione di responsabilità dei medesimi imputati per i reati sopra indicati loro rispettivamente ascritti.
Con sentenza del 04/04/2023, la Corte d’appello di Catania, giudicando in sede di rinvio – giudizio che, per quanto si è detto, atteneva esclusivamente alla rideternninazione della pena in conseguenza dell’esclusione, per tutti gli imputati, dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e, per quanto riguardava il sol NOME COGNOME, anche dell’assorbimento del reato di cui al capo Y) nel reato di cui al capo W) – rideterminava la pena: a) per NOME COGNOME, in dieci anni e quattro mesi di reclusione; b) per NOME COGNOME in sette anni d reclusione; c) per NOME COGNOME in sette anni e quattro mesi di reclusione; d) per NOME COGNOME in sette anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione; e) per NOME COGNOME in tredici anni e dieci mesi di reclusione; g) per NOME COGNOME COGNOME in cinque anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione.
Avverso tale sentenza del 04/04/2023 della Corte d’appello di Catania, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite dei propri rispettivi difensor NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale i ricorrente deduce il «vizio della motivazione» della sentenza impugnata, in quanto la Corte d’appello di Catania si sarebbe «limitat ad evidenziare generiche affermazioni, assolutamente inidonee a fungere da motivazione» e, in particolare, «ad esplicitare i calcoli matematici senza nulla aggiungere in ordine alla valutazione discrezionale del quantum».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 60 comma 1, lett. b) ed e), violazione di legge per avere la Corte d’appello di Catania rideterminato la pena in violazione dei divieto di reformatio in peius.
COGNOME deduce che la Corte d’appello di Catania, in quanto giudice del rinvio, sarebbe stato «obbligato mera determinazione della pena previa l’esclusione della contestata recidiva; senza possibilità di rimodulare il computo dosimetrico attraverso l’applicazione di ulteriori circostanze aggravanti precedentemente escluse (anche implicitamente attraverso la decisione di non aggravare ulteriormente l’aumento per l’aggravante speciale di cui all’art. 416 bis 1 c.p.)» e che la stessa Corte d’appello, «travalicando i limiti imposti dal giudiz di legittimità incorso ha determinato un trattamento sanzionatorio in violazione del divieto di reformatio in peius».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), la mancanza della motivazione con riguardo agli aumenti della pena “base” operati dalla Corte d’appello di Catania per ciascuno dei reati-fine attribuitigli.
Il ricorso di NOME COGNOME NOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce che, «e è pur vero che l’aggravante di cui all’a 416 bis n. 1 fosse già stata esclusa nei confronti del COGNOME, la Corte territorial avrebbe potuto rivalutare l’incidenza della stessa sulla pena e rideterminarla di conseguenza», mentre, «ul punto nessuna motivazione è stata offerta».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la «violazione di legge» e l’«insufficienza» e la contraddittorietà del motivazione, con riguardo all’irrogato aumento di pena di un anno di reclusione per la continuazione per il reato di cui al capo W).
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania non avrebbe dato conto «del percorso motivazionale seguito nel giungere alla detta determinazione sanzionatoria» e deduce, altresì, l’eccessività del suddetto aumento di pena di un anno di reclusione per la detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, atteso che «rattasi del reato fine utilizzato per affermare la pronunci responsabilità per il reato associativo, contestato al capo D) della rubrica. La pena avrebbe dovuto essere fissata in misura sensibilmente inferiore, ma sulle ragioni che hanno indotto la Corte alla quantificazione censurata, come già evidenziato, non c’è traccia in sentenza».
7. Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 597, comma 3, dello stesso codice, «per violazione del divieto di reformatio in peius».
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania, in sede di rinvio, abbia aumentato di un anno di reclusione la pena del reato “base” di cui al capo D) per l’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990
(erroneamente qualificata come a effetto speciale), nonostante, per la stessa circostanza aggravante, la sentenza di primo grado avesse irrogato il minore aumento di pena di due mesi di reclusione e la sentenza della Corte d’appello di Catania, annullata dalla Sesta sezione penale della Corte di cassazione, nessun aumento di pena (pag. 46: «non si reputa ex art. 63 di dover fare un ulteriore aumento per l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 74 DPR 309/90»). Con la conseguenza che, anche a ritenere, come affermato nella sentenza impugnata, che l’aumento di pena per l’aggravante prevista dal comma 3 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 «non è “facoltativo”», il giudice del rinvio avrebbe violato il divie di reformatio in peius, atteso che, in virtù di tale divieto, «in ogni caso Giudice del rinvio non poteva applicare tale aumento in misura maggiore rispetto a quello già quantificato nella sentenza di primo grado».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 627, comma 3, dello stesso codice.
Il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Catania, nel rispetto di tale disposizione, la quale impone al giudice del rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, si sarebbe dovuta limitare a eliminare, come pure ha fatto, l’aumento di pena che era stato irrogato per la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bís.1 cod. pen., la quale era stata esclusa dalla Corte di cassazione, che aveva rinviato ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo per la conseguente rideterminazione della pena.
Secondo il ricorrente, la stessa Corte d’appello non avrebbe invece potuto, come ha tuttavia fatto, modificare, in senso peggiorativo per l’imputato, l’aumento di pena per l’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, il quale era stato originariamente determinato (dal G.u.p. del Tribunale di Catania, la cui sentenza era stata sul punto confermata dalla Corte d’appello di Catania) in due mesi di reclusione e che «era uscito indenne e confermato nell’ammontare dal giudizio di legittimità», portandolo alla più grave misura di un anno di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME, con il quale il ricorrente lamenta che la Cort d’appello di Catania non avrebbe motivato «in ordine alla valutazione discrezionale del quantum», non è fondato.
Con riguardo alla determinazione della pena, infatti, la Corte d’appello di Catania, nell’escludere l’aggravante di cui all’art. 416-bís.1 cod. pen. con riguardo sia al più grave reato “base” associativo di cui al capo D) (art. 74 del d.P.R. n. 309
del 1990) sia al reato “satellite” di cui al capo H) (art. 73 del d.P.R. n. 309 1990): a) quanto al reato “base” di cui al capo D), ha correttamente eliminato l’aumento di pena di tre anni e quattro mesi di reclusione che era stato inflitto con la sentenza annullata per la suddetta aggravante “privilegiata” e, di conseguenza, ha altrettanto correttamente irrogato, per lo stesso reato di cui al capo D), la sol pena “base” di dieci anni di reclusione che era stata inflitta con la sentenza annullata; b) quanto al reato “satellite” di cui al capo H), ha ridotto la pena di o mesi di reclusione che era stata irrogata dalla sentenza annullata a titolo di aumento per la continuazione per tale reato alla pena di sei mesi di reclusione, aumento che, oltre a tenere adeguatamente conto dell’eliminazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., appare, altresì, assai contenut e manifestamente congruo, alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen., tenuto conto della pena edittale che è prevista dall’art. 73 del d.P.R. n. 309 de 1990 per il suddetto reato “satellite” (reclusione da sei a venti anni, oltre a multa).
Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo non è fondato.
La Corte d’appello di Catania, posta l’esclusione della circostanza aggravante prevista dall’art. 416-bis.1, cod. pen., ha irrogato, sulla pena base per il più gra reato di cui al capo D) dell’imputazione, l’aumento di pena di un anno di reclusione per la già riconosciuta circostanza aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, per la quale la sentenza annullata, facendo applicazione dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., non aveva operato alcun aumento.
Ciò sul presupposto che l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. comportasse «”l’espansione” di quelle altre circostanze aggravanti (ove riconosciute), il cui aumento di pena, nella sentenza annullata, era stato mitigato o escluso in virtù del principio di cui all’art. 63 c.p riferimento si deve intendere, evidentemente, al quarto comma di tale art. 63 cod. pen.).
Tale assunto è corretto.
L’art. 63, quarto comma, cod. pen., prevede un meccanismo di contenimento della pena, basato sul principio del cumulo giuridico, in virtù del quale, nel caso d concorso omogeneo tra più circostanze aggravanti autonome o a effetto speciale, il giudice deve applicare soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma può discrezionalmente aumentare la pena così determinata fino a un massimo di un terzo.
Dunque, in base a tale meccanismo, la circostanza aggravante concorrente meno grave può: a) non assumere alcun rilievo, qualora il giudice decida di non aumentare la pena stabilita per la circostanza più grave; b) assumere un rilievo
analogo a quello di una circostanza ordinaria, qualora il giudice decida di aumentare la pena stabilita per la circostanza più grave fino a un terzo (che è, appunto, l’aumento di pena previsto per le circostanze ordinarie).
Orbene, nel caso in cui, come nella specie, la più grave delle circostanze aggravanti a effetto speciale sia stata esclusa, il meccanismo di contenimento della pena previsto dal quarto comma dell’art. 63 cod. pen. non opera più, in quanto è venuto meno il concorso di circostanze aggravanti che costituisce il presupposto di applicabilità di tale norma, con la conseguenza che la circostanza aggravante meno grave, divenuta ormai l’unico fattore di aggravamento della pena, acquisisce piena rilevanza ed efficacia di circostanza aggravante a effetto speciale, per la quale l’aumento di pena è quindi previsto: a) come obbligatorio (non potendosi, perciò, escludere la rilevanza dell’aggravante); b) in misura superiore a un terzo (e, quindi, senza il limite previsto dal combinato disposto degli artt. 63, quar comma, e 64, primo comma, cod. pen.).
Pertanto, si deve ritenere che non violi il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, essendo stata accolta l’impugnazione dell’imputato limitatamente all’esclusione della più grave delle circostanze aggravanti a effetto speciale, provveda a rideterminare la pena in misura complessivamente inferiore a quella che era stata irrogata in primo grado, da un lato, eliminando l’aumento di pena per la circostanza più grave, e, dall’altro lato, irrogando, per la circostanza a effe speciale meno grave, un aumento di pena, o un aumento di pena superiore, ancorché, per tale circostanza, il primo giudice, rispettivamente, non avesse applicato alcun aumento o ne avesse applicato uno inferiore ai sensi del quarto comma dell’art. 63 cod. pen., proprio perché tale norma, esclusa la circostanza a effetto speciale più grave, non è più applicabile (in senso analogo: Sez. 2, n. 18089 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266837-01. In senso contrario, peraltro: Sez. 1, n. 37985 del 08/06/2021, COGNOME, Rv. 282145-01).
Tale conclusione appare anche in linea con l’orientamento delle Sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2013, C., Rv. 25865301).
Analogamente, nel caso in esame, si può ritenere che sia venuta meno la struttura dei fattori di aggravamento della pena, con la conseguente “riespansione” – come correttamente affermato dalla Corte d’appello di Catania –
dell’ordinaria efficacia di circostanza a effetto speciale della circostanza meno grave.
“Riespansione” che si determina, evidentemente, sia quando la più grave delle circostanze aggravanti a effetto speciale venga esclusa dal giudice d’appello sia quando la stessa circostanza aggravante venga esclusa, come nella specie, dalla Corte di cassazione; con la conseguenza che la stessa “riespansione” spiegherà i propri effetti nel giudizio di rinvio, senza ciò trovi ostacolo nei vincoli impos giudice del rinvio a norma dell’art. 627 cod. proc. pen.
2.2. Il secondo motivo non è fondato.
Con riguardo ai reati “satellite” di cui ai capi H), M), P), Q), R), S), U), Z Ybis (tutti di traffico illecito di sostanze stupefacenti e tutti aggravati ai sens comma 6 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990), la Corte d’appello di Catania, nell’escludere l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ha ridotto la pena otto mesi di reclusione che era stata irrogata dalla sentenza annullata a titolo d aumento per la continuazione per ciascuno di detti reati alla pena di sei mesi di reclusione.
Tale aumento si deve ritenere tenere adeguatamente conto dell’eliminazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e appare, altresì, assai contenut e manifestamente congruo, alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen., tenuto conto della pena edittale che è prevista dall’art. 73 del d.P.R. n. 309 de 1990 per il suddetto reato “satellite” (reclusione da sei a venti anni, oltre a multa).
L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
La Corte d’appello di Catania ha rilevato come l’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. fosse stata esclusa già dal G.u.p. del Tribunale di Catania (pag. 138 della sentenza di primo grado: «con esclusione per tutti i reati della aggravante prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/91») e come la stessa aggravante non fosse stata considerata nella determinazione del trattamento sanzionatorio che era stato irrogato con la sentenza della Corte d’appello di Catania annullata dalla Corte di cassazione (come risultava dalla pag. 54 della stessa sentenza, dove la Corte d’appello di Catania aveva determinato la pena irrogata al COGNOME nei seguenti termini: «ritenuto più grave il reato di cui all’art. 74 DPR 309/90, esclus l’aggravante di cui all’art. 74/3 DPR 309/90 (l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. era già stata esclusa dal primo Giudice) anni 10 di reclusione ridotta per effett delle concesse attenuanti generiche ad anni sette e mesi sei di reclusione aumentata a titolo di continuazione per il reato di cui al capo G) di ulteriori me sei di reclusione, e così complessivamente anni otto di reclusione, pena ridotta di 1/3 per il rito nella misura finale di anni cinque mesi cinque e giorni dieci reclusione»). Con la conseguenza che l’annullamento che era stato operato dalla
Sesta sezione della Corte di cassazione limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. nei confronti del COGNOME NOME, con il rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catania per la conseguente rideterminazione della pena, si doveva ritenere il frutto di una «svista» della stessa Sesta sezione e che la pena per lo stesso COGNOME NOME doveva essere confermata nella medesima misura che era stata determinata dalla Corte d’appello di Catania nella sentenza annullata.
Ciò posto, davvero non si comprende il senso di quanto viene sostenuto dal ricorrente, cioè che, avendo la Corte d’appello di Catania motivatamente e logicamente escluso che la pena dovesse essere ridotta in conseguenza dell’eliminazione di una circostanza aggravante che, in realtà, era già stata esclusa in primo grado e non aveva perciò avuto alcun effetto sulla determinazione della misura della pena, la stessa Corte d’appello avrebbe dovuto «rivalutare l’incidenza della stessa sulla pena e rideterminarla di conseguenza», atteso che la pena era stata già determinata senza attribuire alcuna «incidenza» alla stessa circostanza aggravante.
4. L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
Con riguardo al reato “satellite” di cui al capo W) (di detenzione illecita d sostanze stupefacenti, aggravato ai sensi del comma 6 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché ai sensi del comma 2 dell’art. 80 dello stesso decreto), la Corte d’appello di Catania, nell’escludere l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod pen., ha ridotto la pena di un anno e cinque mesi di reclusione che era stata irrogata dalla sentenza annullata a titolo di aumento per la continuazione per il suddetto reato alla pena di un anno di reclusione.
Tale aumento si deve ritenere tenere adeguatamente conto dell’eliminazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e appare, altresì, assai contenut e manifestamente congruo, alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen., tenuto conto della pena edittale che è prevista dall’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 per il suddetto reato “satellite” (reclusione da sei a venti anni, oltre a multa) e – come è stato pure sottolineato dalla Corte d’appello di Catania – anche della sussistenza dell’aggravante che il fatto riguardava una quantità ingente di sostanza stupefacente (il che comporta, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, l’aumento delle pene dalla metà a due terzi).
5. L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
In proposito, si rinvia integralmente alla motivazione che si è esposta con riguardo all’analogo primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, in ordine alle ragioni dell’insussistenza della lamentata violazione del divieto di reformatio in peius.
6. L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
Anche con riguardo a tale motivo, si rinvia integralmente alla motivazione c si è esposta con riguardo al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, ordine alle ragioni dell’insussistenza della violazione sia del divieto di reformatío in peius sia dei vincoli che sono imposti dall’art. 627 cod. proc. pen. al giudice del rinvio.
Pertanto i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu Così deciso il 09/01/2024.