Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29598 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Gela il 23/01/1971
COGNOME NOME, nato a Gela il 06/12/1977
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte d’appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di COGNOME, e, con riguardo al ricorso di COGNOME, per l’annullamento senza rinvio limitatamente alla quantificazione della pena in ordine al reato di cui al capo 4 da rideterminare in un mese di reclusione e per l’inammissibilità nel resto;
lette le conclusioni, per il ricorrente NOME COGNOME dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 17 ottobre 2024, l a Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gela del 15 marzo 2024, ha confermato sia la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 e di NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen., sia la pena irrogata a NOME COGNOME, quantificata in un anno di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, mentre ha rideterminato la pena per NOME COGNOME ritenuto il vincolo della continuazione con i reati di cui alla sentenza n. 546 del 2021 de lla Corte d’appello di Caltanissetta in data 12 maggio 2021, in complessivi tre anni e quattro mesi di reclusione.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito: a) NOME COGNOME in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe omesso di presentare la dichiarazione annuale ‘UNICO SC 2014’, relativa all’anno d’imposta 2013, sottraendo così a tassazione elementi positivi di reddito pari ad euro 1.522.798,58, con conseguente evasione d’imposta pari ad euro 418.769,60 ai fini IRES e ad euro 126.272,21 ai fini IVA; b) NOME COGNOME nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in data 8 giugno 2016, data di inizio di una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza, avrebbe occultato le scritture contabili della società al fine di non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari ed avrebbe inoltre prodotto ai militari verificatori una dichiarazione sostitutiva falsa, funzionale ad attestare la consegna della documentazione contabile e fiscale di detta impresa al legale rappresentante a lui subentrato.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta NOME COGNOME e NOME COGNOME con atti sottoscritti, rispettivamente, dall ‘Avv. NOME COGNOME e dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in un solo motivo.
Con il motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., avendo riguardo alla ricostruzione del fatto.
Si deduce che il giudice di secondo grado ha fatto erronea applicazione del principio processuale in tema di valutazione della prova indiziaria, perché la penale responsabilità del ricorrente non risulta provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi, preceduti da una premessa sullo svolgimento del processo.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avendo riguardo alla violazione del divieto di reformatio in peius .
Si rappresenta che la Corte territoriale ha violato il principio del divieto di reformatio in peius, avendo irrogato una pena più grave rispetto a quella inflitta dal giudice di primo grado per il reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. (capo 4). Si precisa che, per il reato in questione, la pena irrogata in primo grado era stata quantificata in un mese di reclusione, mentre in appello è stata fissata in tre mesi di reclusione. Si sottolinea che in tal modo è stata vanificata anche la disciplina del reato continuato.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo al rispetto del principio del ne bis in idem processuale.
Si deduce che la Corte d’appello ha erroneamente escluso un rapporto di identità tra i fatti giudicati con la sentenza n. 688 del 2019 emessa dal Tribunale di Gela (divenuta irrevocabile il 14 aprile 2022) e i fatti di cui al presente giudizio. Si osserva come tutti i precisati reati si riferiscano, in realtà, al medesimo fatto storico, in quanto tutti risultanti dagli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza di Gela nell’anno 2016 a carico della RAGIONE_SOCIALE Si osserva che, alla luce del principio del ne bis in idem processuale, così come definito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016, il giudizio all’esito del quale è stata emessa la sentenza impugnata in questa sede integra un ulteriore procedimento penale concernente un fatto che, nella sua dimensione storico-naturalistica, era già stato oggetto di una pronuncia definitiva. Più precisamente, si rappresenta che, in forza della citata pronuncia della Corte costituzionale, il fatto storico rilevante ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem processuale deve individuarsi, nel caso di specie, nell’accertamento operato dalla Guardia di Finanza ; l’unitario accertamento della Guardia di Finanza costituisce la fondamentale fonte di prova sia per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sia per il reato concernente la formazione del falso verbale societario, entrambi fatti di cui alla sentenza irrevocabile, sia per i reati oggetto del presente processo, e in particolare per quello relativo alla falsa dichiarazione sostitutiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, mentre il ricorso di NOME COGNOME è fondato limitatamente al motivo concernente la violazione del divieto di reformatio in peius , ed inammissibile nel resto.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché privo di specificità.
L’art. 582 cod. proc. pen., al comma 1, lett. d) , prevede «a pena di inammissibilità», in relazione a qualunque atto di impugnazione, l’obbligo di «enunciazione specifica» «dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta».
E, sulla base di questa disposizione normativa, è costante l’affermazione secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione nel caso in cui manchi la correlazione tra le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata e quelle argomentate nell’atto di impugnazione, atteso che questo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 19364del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 -01). Ovvero che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (così Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, COGNOME, Rv. 264441 -01).
Nella specie, il ricorso si limita a dedurre la violazione dei principi in materia di valutazione della prova indiziaria e di necessità di una certezza al di là del ragionevole dubbio per affermare la penale responsabilità di un imputato, senza confrontarsi in alcun modo con le puntuali indicazioni della sentenza impugnata in ordine alle fonti di prova, al loro contenuto e alla loro efficacia dimostrativa, e senza nemmeno fornire la benché minima indicazione di elementi istruttori (in ipotesi) non considerati, travisati o anche solo erroneamente apprezzati.
In particolare, la Corte d’appello ha osservato che la società ‘RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore l’imputato, ha omesso di presentare qualunque dichiarazione in ordine ai redditi percepiti nell’anno 2013, e che questi, però, erano quantificabili in 1.522.798,58 euro, con conseguente superamento della soglia di punibilità di un’evasione pari a 50.000,00 euro. Ha poi puntualizzato che l’importo dei redditi percepiti nel 2013 dalla ‘RAGIONE_SOCIALE è stato calcolato, come precisato dai militari della Guardia di Finanza preposti alle indagini, sulla base non di criteri presuntivi, bensì di risultanze obiettive desunte da l c.d. ‘spesometro’, d alle dichiarazioni dei soggetti i quali avevano intrattenuto rapporti economici con la
società, interpellati mediante i c.d. ‘questionari’ , e dalle fatture emesse dalla medesima società verificata. Ha inoltre aggiunto che l’imputato, né nel corso delle indagini, né durante il processo, ha mai prodotto documenti o formulato deduzioni, per contestare le risultanze acquisite o per evidenziare costi d’impresa.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato limitatamente al primo motivo, che denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius , mentre è inammissibile con riguardo alle censure enunciate nel secondo motivo, le quali assumono la violazione del divieto di bis in idem processuale.
3.1. Con il primo motivo del ricorso, si contesta la violazione del divieto di reformatio in peius , perché il Giudice di appello ha irrogato, a titolo di aumento per la continuazione, una pena per il reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. (capo 4 dell’imputazione) pari a tre mesi di reclusione, mentre in primo grado, sempre per lo stesso reato era stata inflitta la pena di un mese di reclusione.
Il motivo è fondato.
Invero, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, NOME COGNOME, Rv. 232066 -01). E, in applicazione di questo principio, si è anche specificamente precisato che deve ritenersi sussistente la violazione del divieto di reformatio in peius se il giudice del l’impugnazione aumenta la pena per il reato satellite determinandola in misura superiore a quanto disposto nel primo giudizio, pur irrogando una pena finale complessivamente inferiore (cfr., in particolare, Sez. 4, n. 13806 del 07/03/2023, Clemente, Rv. 284601 -01).
Nella specie, per il medesimo reato cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. (capo 4 dell’imputazione), mentre in primo grado era stato apportato un aumento per la continuazione pari a un mese di reclusione, in appello, sempre a titolo di aumento per la continuazione, e in assenza di appello del pubblico ministero, è stato disposto un aumento pari a tre mesi di reclusione, ossia di due mesi superiore.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione del divieto di bis in idem processuale, perché i fatti contestati nel presente giudizio, ossia quello di occultamento delle scritture contabili (capo 2 dell’imputazione) e quello di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. (capo 4 dell’imputazione), risultano da quelle stesse attività di indagine e di accertamento compiute dalla Guardia di Finanza da cui è derivata la condanna del medesimo imputato per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di formazione del falso verbale societario, pronunciata in altro processo dal Tribunale di Gela con la sentenza n. 688 del 2019, e divenuta irrevocabile il 14 aprile 2022.
Il motivo è manifestamente infondato.
Invero, costituisce principio assolutamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem , l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (cfr. Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799 -01, nonché, per citare la più recente massimata, Sez. 1, n. 41867 del 26/06/2024, COGNOME, Rv. 287251 01).
Nella specie, le condotte per le quali sono state pronunciate le affermazioni di responsabilità sono ontologicamente diverse e realizzate in tempi e contesti molto lontani tra loro. Invero, come indicato nella sentenza impugnata e non contestato nel ricorso, le condotte oggetto della sentenza n. 688 del 2019 del Tribunale di Gela, divenuta irrevocabile il 14 aprile 2022, sono datate in epoca non successiva al 2010 (il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti risale al 2010; la condotta di formazione del falso verbale societario è stata commessa il 30 marzo 2010), mentre le condotte oggetto del presente processo risalgono al 2016 (il reato di occultamento delle scritture contabili si è perfezionato nel 2016, in relazione alla verifica effettuata dalla Guardia di Finanza a partire dal 26 settembre 2016; il reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. è costituito dalla redazione di una falsa dichiarazione sostitutiva, in ordine al passaggio di consegna della documentazione contabile e societaria della RAGIONE_SOCIALE‘ al nuovo amministratore, esibita alla Guardia di Finanza nel corso della precisata verifica).
Di conseguenza, deve escludersi che vi sia qualunque identità rilevante, ai fini della violazione del divieto di bis in idem processuale, tra i fatti oggetto della sentenza n. 688 del 2019 del Tribunale di Gela, e i fatti di cui ai capi 2 e 4 oggetto di accertamento nel presente processo.
In conclusione, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Alla fondatezza del primo motivo e alla manifesta infondatezza del secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME seguono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti del medesimo, che deve essere rideterminato in tre anni e due mesi di reclusione, invece che in tre anni e quattro mesi di reclusione, e la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione nel resto. Invero, la rilevata violazione del
divieto di reformatio in peius , secondo quanto analiticamente precisato supra , nel § 3.1., può essere emendata direttamente in questa sede, previa eliminazione della pena irrogata in violazione del limite di cui all’art. 597 cod. proc. pen., a norma dell’art. 620, comma 1, lett. l) , cod. proc. pen. Deve escludersi, inoltre, che la fondatezza del primo motivo possa comportare la dichiarazione di estinzione del reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen., posto che, come evidenziato nella sentenza impugnata, e non contestato nel ricorso, la data di commissione di tale reato si individua nel giorno 8 giugno 2016, e debbono essere inoltre computati almeno 594 giorni di sospensione, sicché alla data della presente pronuncia, il 4 giugno 2025, non era ancora decorso il tempo necessario a prescrivere.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio nei confronti di COGNOME NOME la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni tre e mesi due di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 04/06/2025