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Divieto reformatio in peius: i limiti in Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un liquidatore condannato per occultamento di scritture contabili. L’imputato lamentava la violazione del divieto di reformatio in peius, poiché la Corte d’Appello aveva modificato la data di consumazione del reato. La Suprema Corte ha stabilito che tale modifica rientra nella libera valutazione delle prove da parte del giudice di secondo grado e non viola il divieto, che si applica solo all’aggravamento della pena o a decisioni formalmente più sfavorevoli per l’imputato.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Reformatio in Peius: la data del reato può essere cambiata in appello?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38803 del 2024, torna a pronunciarsi su un principio cardine del processo penale: il divieto di reformatio in peius. La questione centrale è se la modifica della data di consumazione del reato da parte del giudice d’appello costituisca una violazione di tale divieto. La Corte offre una risposta chiara, distinguendo tra la valutazione del fatto e la determinazione della pena.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda il liquidatore di una società cooperativa, condannato in primo grado dal Tribunale di Brescia per il reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era quella di aver occultato o distrutto le scritture contabili della società per evadere le imposte o permettere ad altri di farlo. La Corte d’Appello di Brescia, in parziale accoglimento dell’impugnazione, aveva rideterminato la pena, considerandola come aumento in continuazione con un’altra condanna divenuta irrevocabile, ma aveva confermato nel resto la sentenza di primo grado.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su due argomenti principali:
1. Violazione del principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.): sosteneva di essere già stato condannato per lo stesso fatto in un altro procedimento.
2. Violazione del divieto di reformatio in peius (art. 597 c.p.p.): lamentava che la Corte d’Appello avesse ‘riformato’ in peggio la sentenza di primo grado, individuando una data di consumazione del reato più recente rispetto a quella stabilita dal Tribunale. Secondo la difesa, questa modifica era illegittima e pregiudizievole.

La Valutazione della Data del Reato e il Divieto di Reformatio in Peius

Il fulcro della decisione della Suprema Corte risiede nell’analisi dei limiti del divieto di reformatio in peius. La difesa sosteneva che spostare in avanti la data del reato rappresentasse un peggioramento della posizione dell’imputato. La Cassazione ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza.

Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento consolidato: il divieto sancito dall’art. 597, comma 3, c.p.p. impedisce al giudice d’appello di applicare una pena più grave, una misura di sicurezza nuova o più grave, revocare benefici o prosciogliere per una causa meno favorevole. Tuttavia, questo limite non si estende ai criteri di valutazione delle prove o alla ricostruzione del fatto storico.

La Corte ha chiarito che la facoltà del giudice d’appello di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa, anche più grave, o di determinare diversamente il tempo necessario alla prescrizione, non rientra nell’ambito del divieto. Questi sono effetti sfavorevoli ‘estranei’ al divieto di riforma peggiorativa. Di conseguenza, la differente valutazione espressa dalla Corte territoriale sulla data di consumazione del reato non integra alcuna nullità, ma rappresenta una legittima rilettura del materiale probatorio.

L’Insussistenza del ‘Bis in Idem’

Una volta chiarito che la modifica della data era legittima, è crollato anche il presupposto per la doglianza relativa al bis in idem. La Corte ha infatti confermato la valutazione del giudice di merito, secondo cui non vi era una ‘corrispondenza storico-naturalistica’ tra il fatto giudicato nel presente procedimento e quello oggetto della precedente condanna. Il procedimento in esame presentava una contestazione più ampia, sia dal punto di vista dell’oggetto (tutte le scritture contabili della cooperativa) sia dal punto di vista temporale, coinvolgendo fatture diverse ed emesse in epoca successiva.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato l’inammissibilità del ricorso sulla base della palese infondatezza dei motivi addotti. Il principio del divieto di reformatio in peius è stato interpretato in senso restrittivo, limitandolo agli aspetti sanzionatori e decisori in senso stretto. La rivalutazione degli elementi di prova, inclusa la determinazione del momento consumativo del reato, è un’attività fisiologica del giudizio di appello che non può essere inibita da tale divieto. La Corte ha ritenuto che il giudice di secondo grado avesse correttamente esercitato il proprio potere di riesame degli atti, ancorando la consumazione del reato a un dato certo (la richiesta di esibizione delle scritture contabili) anziché a una data ‘aleatoria’ come quella individuata in primo grado. Questa ricostruzione ha fatto venir meno anche il presupposto per l’eccezione di bis in idem, poiché i due fatti storici non risultavano sovrapponibili.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di procedura penale: il divieto di reformatio in peius tutela l’imputato da un peggioramento del trattamento sanzionatorio, ma non lo mette al riparo da una diversa e più approfondita valutazione dei fatti da parte del giudice d’appello. La determinazione della data del reato rientra in questa attività di valutazione e la sua modifica non costituisce, di per sé, una violazione del divieto. La decisione ribadisce l’ampia autonomia del giudice di secondo grado nella ricostruzione del fatto, purché ciò non si traduca in un inasprimento della pena in assenza di un’impugnazione del pubblico ministero.

Il giudice d’appello può modificare la data di commissione del reato senza violare il divieto di reformatio in peius?
Sì. Secondo la sentenza, il divieto di reformatio in peius si applica all’esito sanzionatorio (la pena, le misure di sicurezza, i benefici) ma non alla valutazione delle prove e alla ricostruzione del fatto storico, che include la determinazione della data in cui il reato è stato commesso.

Quando due procedimenti penali riguardano lo ‘stesso fatto’ ai fini del divieto di ‘bis in idem’?
Perché si possa applicare il divieto di un secondo processo per lo stesso fatto (bis in idem), deve esserci una completa corrispondenza storico-naturalistica della condotta e delle circostanze di tempo, luogo e persona. In questo caso, la Corte ha escluso tale corrispondenza perché il secondo procedimento aveva un oggetto più ampio e riguardava un periodo temporale e documenti diversi da quelli del primo.

Quali sono i limiti esatti del divieto di reformatio in peius secondo la giurisprudenza?
Il divieto impedisce al giudice di appello, su impugnazione del solo imputato, di applicare una pena più grave per specie o quantità, una misura di sicurezza nuova o più grave, revocare benefici concessi in primo grado, o prosciogliere per una causa meno favorevole. Non impedisce, invece, di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica o di valutare diversamente le prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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