Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31415 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31415 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 06/12/2023 della Corte di Appello di Catanzaro udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 6/12/2023, ha rigettato l’istanza proposta da COGNOME NOME di dichiarare che la stessa è stata condannata due volte per i reati di cui all’art. 73 D.P.R. 309 del 1990 commessi nelle date del 14/3/2002 e 28/3/2002, oggetto di tre diverse sentenze di condanna, la numero 1320/2019 emessa dalla Corte di appello di Catanzaro il 19/4/2019 (nella quale sarebbero compresi entrambi i fatti) e la n. 1018/09, emessa dalla stessa Corte il 9/11/1009 (relativa al fatto commesso il 14/3/2002 a Santa Severina), e la n. 444/05, pronunciata sempre dalla stessa Corte il 4/3/2005 (relativa ai fatti avvenuti il 28/3/2002 a Gabella).
Il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’istanza ritenendo che la sentenza che comprenderebbe entrambi i fatti, quella emessa da ultimo dalla Corte di
appello di Catanzaro nell’anno 2019, in realtà si riferisce a una pluralità indeterminata di ipotesi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (contestate come commesse dall’anno 1997 all’anno 2003).
In tale specifica situazione, che è il risultato che deriva dalla riqualificazione operata in sede di rinvio a seguito dell’annullamento della precedente condanna per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 3039 del 1990, pertanto, l’indicazione dei due fatti contenuta nel capo di imputazione avrebbe, secondo il giudice dell’esecuzione, valore esclusivamente esemplificativo e ciò, di conseguenza, non consentirebbe di ritenere che la pronuncia contenga una condanna per i due medesimi episodi specifici, oggetto delle due altre precedenti sentenze. Conclusione questa che, d’altro canto, sempre secondo il giudice dell’esecuzione, sarebbe confermata dal fatto che la pena inflitta per il reato, contestato ai sensi degli artt. 81, 73 D.P.R. 309 del 1990, sia stata comminata in termini indistinti e complessivi in anni sei di reclusione ed euro 21.000,00 di multa senza specificare a quali e a quanti fatti si riferisce.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso l’interessata che, ha mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. pen. In un unico motivo la ricorrente rileva che la conclusione del giudice dell’esecuzione sarebbe errata. Dalla lettura del capo di imputazione oggetto del processo e della sentenza emessa nel 2019, infatti, sarebbe evidente che la contestazione si riferisce, tra gli altri, a quei due fatti, espressamente indicati, in ordine ai quali erano già state pronunciate due distinte sentenze di condanna.
In data 2 marzo 2024 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.
La doglianza è fondata nei termini che seguono.
La conclusione cui è pervenuto il giudice dell’esecuzione, che si fonda sull’affermazione per cui il riferimento contenuto nel capo di imputazione in ordine al quale si è pronunciata la Corte di appello di Catanzaro il 19 aprile 2019 ai due episodi specifici -quello commesso il 14/3/2002 a Santa Severina, oggetto della
sentenza n. 1018/09, e a quello commesso il 28/3/2002 a Gabella, oggetto della sentenza n. 444/05- sarebbe “esemplificativa”, risulta errata.
Dalla lettura del capo di imputazione, derivato dalla diversa qualificazione attribuita ai fatti a seguito dell’annullamento disposto da questa Corte in relazione alla condanna pronunciata per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309 del 1990, infatti, emerge che i due episodi erano espressamente indicati, anche con riferimento alle indagini effettuate e ai sequestri disposti.
A fronte di tale specifica e concreta indicazione, pertanto, l’affermazione per cui l’imputazione sarebbe formulata in termini “esemplificativi” e si riferirebbe a una condotta continuata di detenzione e di spaccio di sostanze stupefacenti durata dall’anno 1997 all’anno 2003 è apodittica e non dà conto di una corretta ed effettiva valutazione dell’operatività o meno del divieto di cui all’art. 649 cod. proc. pen.
Ciò in quanto il giudice, pure in presenza della specifica formulazione del capo di imputazione, non ha dato adeguato conto di avere proceduto alla necessaria verifica degli elementi concreti in odine ai quali si sono pronunciati i giudici di merito che hanno nella sentenza n. 1320/2019, emessa dalla Corte di appello di Catanzaro il 19/4/2019 e, quindi, di avere effettivamente considerato e valutato se la sentenza di condanna pronunciata si riferisce ai medesimi fatti già in precedenza giudicati.
Né, d’altro canto, risulta decisivo l’argomento per cui con la sentenza pronunciata dalla Corte di appello nel 2019 all’imputata “è stata indistintamente comminata una pena complessiva di anni sei di reclusione e 21 mila euro di multa”.
La contestazione in ordine alla quale si è pronunciata la Corte, infatti, era formulata si sensi degli artt. 81 cod. pen. e 73 D.P.R. 309 del 1990 e ciò, al di là dell’errore nel quale è eventualmente incorso il giudice di merito nel calcolo e nella motivazione della pena, comporta una condanna per una pluralità di episodi e, pertanto, la necessità di individuare un fatto più grave e poi operare degli aumenti in continuazione per i singoli reati satellite in quanto il reato continuato non è unico ma si compone di due o più fatti, in ordine ad alcuno dei quali è possibile che si sia anche separatamente proceduto.
Aspetti e questione questi che il giudice ha del tutto omesso di considerare, errando così nell’applicazione in concreto dell’art. 649 cod. proc. pen.
Né, ancora, appare pertinente l’ultima affermazione, indicata come “ulteriore (indiretta) conferma”, fondata sulla considerazione che la difesa aveva richiesto applicarsi la disciplina della continuazione tra i fatti oggetto delle diverse sentenze e che questa è stata respinta e la statuizione sul punto non è stata impugnata.
Anche tale argomento, infatti, non coglie nel segno in quanto si riferisce
alla richiesta di applicare un istituto diverso da quello ora invocato per cui, proprio in virtù del rigetto della domanda, non è rilevabile alcuna preclusione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro.
Così deciso il 26/4/2024